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Giovanni Pellinghelli del Monticello
Leggi i suoi articoliFino al 27 settembre la Collezione Maramotti espone una selezione di fotografie di Esko Männikkö a sottolineare le «affinità elettive» fra la sua ricerca e la Collezione. Al centro della sua poetica, l’artista finlandese, classe 1959, pone la fusione compostiva di elementi sostanziali e formali: il tempo quale presenza e assenza (soggetto dell’opera) da un lato, e la luce e la composizione come strumenti espressivi, dall’altro.
Perfino le cornici (recuperate nei mercatini o realizzate su misura con legno di riuso) intervengono a dare alle sue opere qualità tonali, compositive e luministiche di sospensione metafisica. in cui sono state ritrovate eco della ritrattistica rinascimentale e dei dipinti di Vermeer.
Männikkö (fotografo autodidatta, a lungo ostracizzato dalle tendenze di ricerca e scuole di fotografia tradizionali) indaga oggetti, luoghi, persone e stili di vita a lui familiari ma universali, in un approccio focalizzato sulla celebrazione dell’ordinaria bellezza e dignità del quotidiano.
Pur essendo ogni fotografia autonoma, il suo lavoro si sviluppa accorpandosi in una serie che a sua volta dialoga con altri cicli in un continuo in fieri, così come confermano le fotografie in mostra, scattate dal 1991 al 2013 ed estratte da numerose serie: «Female Pike» (1995) che gli ha dato notorietà, incentrata su uomini in solitudine delle aree più remote intorno a Helsinki; «Organized Freedom» (fine anni Novanta) con luoghi abbandonati e tracce di umanità tra Finlandia, Texas e Reggio Emilia; «Flora & Fauna» (2002) in cui la natura morta si fa emblema del viluppo inestricabile fra uomo e natura e fra natura e cultura; «Harmony Sisters» (2004) dedicata a dettagli di animali impagliati e addomesticati; e «Blues Brothers» (2009), omaggio alle sculture funerarie erose dal tempo ritratte in cimiteri principalmente italiani.

Esko Männikkö , «Organized Freedom 106», 2004, stampa a colori a getto d’inchiostro dalla serie Organized Freedom ©Esko Männikkö
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