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Franco Fanelli
Leggi i suoi articoliUn ritratto pettegolo di Lucian Freud
Il tasso di gossip, nelle biografie degli artisti, è proporzionale al loro successo in libreria. Ecco perché resterà deluso chi si aspetta da quella dedicata da Geordie Greig a Lucian Freud (Berlino, 1922-Londra, 2011) qualcosa di davvero inedito su un pittore che in pubblico parlava pochissimo del suo lavoro. Dal fatto che a scriverla sia stato un giornalista e non un critico o uno storico dell’arte, scaturisce quindi non tanto una narrazione di Freud pittore, ma una pettegola ricostruzione di vicende arcinote anche a chi non faceva parte della sua ristretta cerchia di amicizie.
Poco importa, insomma, che Greig, a forza di insistere, fosse riuscito a essere ammesso nella sua corte, al punto da poter partecipare alla prima colazione, che Freud consumava da Clarke’s, un piccolo ristorante in Kensington Church Street a Londra. Qui l’artista, prima di immergersi nel lavoro in studio, svolgeva, affiancato dal fedelissimo assistente e modello David Dawson, varie attività, ricevendo bookmaker corniciai, galleristi, banditori d’asta e altre variopinte figure del suo entourage.
Il ritratto che emerge dopo dieci anni (gli ultimi di vita dell’artista) di frequentazione tra pittore e biografo è quello di un erotomane dotato, oltre che di testosterone sempre ai livelli di guardia (verso l’alto), di un indice di fertilità da far gola a una banca del seme, visto che, tra mogli (due) e un numero imprecisato di amanti, mise al mondo 14 figli o forse più.
La fisionomia di questo satiro che a ottant’anni suonati perseverava in una delle sue attività preferite, ossia il sesso praticato in atelier con modelle di ogni estrazione sociale, anche se escluderemmo dal novero, quanto meno per evidenti limiti di età, la regina Elisabetta che pure posò per lui, è completata da una spiccata predilezione per il gioco d’azzardo e ingenti debiti connessi, pagati spesso con quadri, e per una ossessiva attrazione per il sangue blu, precocemente manifestata.
Siccome Freud dedicò buona parte della sua vita fuori dall’atelier al safari sessuale abbinato all’ascesa sociale tra i membri dell’aristocrazia, una cospicua parte del libro è costituita da una puntigliosa, molto british e altrettanto noiosa elencazione di complicati intrecci genealogici con i quali questo artista-cortigiano ebbe a che fare, nonostante certe sue frequentazioni, non si sa se vere o millantate, con la malavita.
Nipote di Sigmund Freud, rese onore alle teorie del nonno intrattenendo con la madre un rapporto conflittuale; con i modelli, nudi o vestiti che fossero, figlie comprese, ebbe una relazione vampiresca e dispotica, imponendo loro sfibranti sedute di posa, spesso in posture tutt’altro che comode.
Cinico nella vita privata quanto nell’arte, seducente e arrogante, il suo ego era arginato e forse frustrato soltanto da alcuni colleghi. A parte Picasso, uno dei pochi a tramutare questo indefesso cornificatore in cornificato, seducendone la seconda moglie Caroline Blackwood, si tratta di due pittori attivi sulla scena londinese. Uno era Frank Auerbach, al cui giudizio si sottometteva prima di licenziare un quadro; l’altro era Francis Bacon, che un po’, a dire la verità, lo snobbava e in pubblico lo sfotteva: un altro pittore passato alla storia per la drammatica indagine nella figura umana ma che, a differenza di Freud, fece della trasgressione non una sorta di irrisolto complesso ma un piacere e, probabilmente, un’arte.
Colazione con Lucian Freud. Ritratto di una vita nell’arte
di Geordie Greig
traduzione di Massimo Parizzi
265 pp., ill. col. e b/n
Mondadori, Milano 2015
€ 25,00
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