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Il soffitto al neon «Fonti di energia» (1961-2017) di Lucio Fontana per «Italia 61» al Pirelli HangarBicocca di Milano nel 2017 Cortesia di Pirelli. HangarBicocca, Milano. © Fondazione Lucio Fontana

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Il soffitto al neon «Fonti di energia» (1961-2017) di Lucio Fontana per «Italia 61» al Pirelli HangarBicocca di Milano nel 2017 Cortesia di Pirelli. HangarBicocca, Milano. © Fondazione Lucio Fontana

Il neon di Fontana si è esaurito: la difficoltà di sostituirlo

L’autenticità di un’opera è determinata anche dalla sua integrità artistica. Ecco che cosa sono i PACTA, il modello di certificazione varato dal Ministero per la cura e la tutela di un’opera

Alessandra Donati

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Restauro e conservazione di opere di arte hanno, in prospettiva giuridica, immediate ricadute nell’ambito della tutela dell’integrità dell’opera d’arte, chiamando in gioco diritti morali dell’artista: il Diritto d’autore assegna cioè all’artista il diritto a che la sua creazione sia considerata così come l’ha concepita, diritto che non è affievolito da trasferimenti del corpus mechanicum dell’opera successivi alla sua creazione.

Va precisato che, diversamente da quando sancito per i Beni culturali (art. 30 del Codice dei Beni culturali: «La corretta conservazione dell’opera d’arte è un obbligo per il proprietario»), non è normativamente previsto nel nostro ordinamento in capo al collezionista (in termini giuridici cioè l’opera di artista vivente e creata da meno di 70 anni) l’obbligo di conservare l’opera d’arte contemporanea, mentre isolata giurisprudenza ha affermato: «Il degrado di un’opera dell’arte figurativa, causato dal trascorrere del tempo, può integrare una violazione del diritto morale alla paternità dell’opera, in quanto lesiva della reputazione dell’artista, qualora il proprietario non abbia provveduto al suo restauro» (Trib. Milano, 20 gennaio 2005).

Soprattutto per alcune forme di espressione artistica contemporanea, la salvaguardia nel tempo dell’integrità dell’opera d’arte, anche in relazione a interventi conservativi e di restauro e, dunque, la salvaguardia della sua autenticità, è strettamente condizionata dalla qualità ed esaustività della documentazione del processo creativo dell’artista, dell’originario intervento creativo, dei successivi interventi conservativi o di riattivazione dell’opera o, successivamente, di restauro, richiedendosi pertanto una complessa certificazione di autenticità che deve essere supportata da una archiviazione probatoria.

L’archivio ha assunto, di conseguenza, una dimensione nuova: non più ente specificamente preposto alla conservazione del passato, ma soggetto di riferimento anche per il presente, per la determinazione della consistenza e della riferibilità della creazione e della garanzia della permanenza nel tempo della autenticità stessa della creazione.

Il rapporto tra rispetto dell’intenzione contenuta nelle istruzioni dell’autore e autenticità dell’opera dà luogo a una delle problematiche più interessanti suscitate dalle multiformi espressioni dell’arte contemporanea, amplificate in particolar modo dalle opere da riattivare. È di significante rilevanza, in questo contesto, la recente adozione da parte del nostro Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo di un innovativo modello di certificato per l’acquisizione di opere d’arte contemporanea da parte dei Musei statali e dei musei con statuti diversi, nonché fondazioni, istituzioni e privati: PACTA, «Protocolli per l’autenticità, la cura e la tutela dell’arte contemporanea».

Si tratta di un modello di certificato di autenticità volto a supportare il disposto delle attestazioni previste dall’art. 64 del Codice dei Beni culturali, uno strumento utile per la conoscenza dell’opera d’arte e per tutelarne l’identità attraverso la definizione dei parametri di identità e autenticità della stessa. Tale modello è stato strutturato con il fine primo di garantire la corretta conservazione e permanenza nel tempo dell’opera d’arte e la sua continuità percettiva, e di valutazione anche dell’opportunità e della sostenibilità della acquisizione da parte del museo.

La proposta di PACTA è corredata da linee guida per la corretta redazione del certificato dalla lettura del quale emerge chiaramente che PACTA si propone quale documento integrante del contratto di acquisto dell’opera assorbendo e superando tutte le certificazioni, le pubblicazioni e le documentazioni precedenti a essa relative.

I PACTA sono stati creati in primo luogo per i musei statali e per musei pubblici con statuti diversi, ma se ne auspica un’adozione diffusa, anche da parte di fondazioni, istituzioni e privati.

A livello contrattuale, PACTA introduce specifici obblighi e responsabilità a carico delle parti del contratto: da un lato l’obbligo di informazione a carico dell’artista sulla propria opera, dall’altra l’obbligo dell’acquirente di conservare queste informazioni e di attenersi a esse.

La complessità della scheda riflette la complessità delle creazioni artistiche contemporanee. Così, ad esempio, varie sono le specifiche da inserire per la descrizione dell’opera: si chiede all’artista di distinguere tra elementi funzionali (ad esempio materiale per l’allestimento) ed elementi considerati parte fondamentale dell’opera e pertanto non sostituibili, nonché di definire la relazione tra le parti, ovvero se una o più articolazioni dell’opera possano essere esposte o prestate indipendentemente dall’insieme.

Nel caso di opera costituita da parti effimere e/o deperibili si dovrà specificare se e come prevederne la loro eventuale sostituibilità. Nel caso di opere dipendenti da tecnologia l’artista deve indicare quali elementi costitutivi si intendono essenziali dell’identità estetica dell’opera e quali sono da intendersi unicamente come strumentazione necessaria alla sua attivazione. In caso di opere «progetto» e «licenze di riattivazione» dovranno essere definite le dimensioni dell’opera oppure i criteri per stabilire la scala dimensionale dell’opera, le modalità e i materiali per la messa in opera ed eventuali limitazioni relative ai soggetti esecutori dell’opera.

Voci specifiche sono poi dedicate al carattere «site specific» (per definire le modalità di relazione con il luogo e le modalità di fruizione), «time specific» (per definire le modalità di temporizzazione) nonché alle modalità di interazione dell’opera con il pubblico.

Gli innovativi Protocolli per l’Autenticità, la Cura e la Tutela dell’opera d’Arte contemporanea costituiscono non solo il fondamento di un nuovo sistema di definizione dell’autenticità dell’opera d’arte contemporanea e di conservazione della sua identità, ma anche di un nuovo sistema di certificazione, fondato sulla necessaria valutazione dell’opera direttamente in capo al suo autore: rileva qui l’assunzione di paternità, la datazione, le qualità identificative dell’opera, le prescrizioni affinché tale identica autenticità perduri.

Proiettando queste nuove misure nel futuro: al mercante il compito di tracciare la provenienza dell’opera e di fornire e consegnare al collezionista la complessa certificazione redatta dall’artista. La prova della veridicità dei contenuti avviene con la verifica della loro corrispondenza con quelle archiviate dall’artista: si procede verso un sistema di iscrizione e trascrizione del dato informativo e costitutivo dell’identità dell’opera.

L’autenticità dell’opera non dipende pertanto solo dal fatto che l’opera sia riconosciuta espressione di quel determinato artista e che venga accompagnata da un documento di autenticità che ne attesti la riferibilità, ma anche che permanga la sua integrità artistica.

Il complesso statuto ontologico di tali opere ne ha reso altrettanto complesso lo statuto giuridico, rendendole vulnerabili per quanto concerne la loro autenticità per il rischio di disconoscimento per mancanza di conformità dell’oggetto realizzato rispetto alle indicazioni fornite dallo stesso artista.

È chiaro che il sistema di documentazione viene a costituire importanza primaria ai fini della determinazione della autenticità e identità stessa dell’opera: si conferma in questo contesto evidente l’imprescindibile ruolo dell’archivio e la necessaria relazione tra l’artista, il suo archivio e il collezionista.
 

Il soffitto al neon «Fonti di energia» (1961-2017) di Lucio Fontana per «Italia 61» al Pirelli HangarBicocca di Milano nel 2017 Cortesia di Pirelli. HangarBicocca, Milano. © Fondazione Lucio Fontana

Alessandra Donati, 23 agosto 2022 | © Riproduzione riservata

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