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L’opera di Mondrian «Composition with Large Red Plane, Bluish Gray, Yellow, Black and Blue» (1922) venduta per 47,6 milioni di dollari da Christie’s New York a maggio

Christie’s Images Ltd

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L’opera di Mondrian «Composition with Large Red Plane, Bluish Gray, Yellow, Black and Blue» (1922) venduta per 47,6 milioni di dollari da Christie’s New York a maggio

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Il mercato dell’arte reagisce dopo che le stime non hanno centrato l’obiettivo

Un panorama caratterizzato da instabilità economica, cambiamenti generazionali e nuove tecnologie sta cambiando le regole del gioco

Scott Reyburn

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Rallentamento, crisi, recessione, stagnazione. Chiamatelo come volete, il mercato internazionale dell’arte sta attraversando quello che molti addetti ai lavori considerano un momento cruciale, forse epocale. Secondo i dati raccolti dall’agenzia londinese Pi-eX, specializzata nell’analisi delle aste, le vendite di maggio a New York di Sotheby’s, Christie’s e Phillips hanno raggiunto un totale di 1,27 miliardi di dollari nelle aste di punta dedicate all’arte moderna e contemporanea. Questo dato, uno dei pochi indicatori pubblicamente disponibili sullo stato di salute di questo settore opaco e riservato, è in calo dell’8% rispetto al totale delle vendite dello stesso periodo dello scorso anno. L’opera con il prezzo più alto di questa stagione, il busto in bronzo del 1955 di Alberto Giacometti, «Grande tête mince (Grande tête de Diego)», stimato da Sotheby’s per almeno 70 milioni di dollari, non ha trovato acquirenti. Il «Big Electric Chair» di Andy Warhol del 1967, valutato almeno 30 milioni di dollari, è stato ritirato poco prima dell’asta equivalente di Christie's per evitare un destino simile.

Nel settembre dello scorso anno, alla Art Business Conference di Londra, l’allora amministratore delegato di Christie’s, Guillaume Cerutti, si era detto ottimista sulle prospettive del settore, sottolineando che le recessioni nel mercato dell'arte del XXI secolo non erano mai durate più di due anni. A distanza di diversi mesi, nel caos geopolitico causato dal secondo mandato presidenziale di Donald Trump, il 2025 sembra destinato a essere il terzo anno consecutivo di contrazione delle vendite nel mercato dell'arte globale. «Il previsto ‘effetto Trump’ ha finito per lasciare il posto a una ‘crisi Trump’», afferma Christine Bourron, amministratore delegato di Pi-eX. «L’annuncio del ‘Liberation Day’ di Trump ha introdotto una significativa incertezza geopolitica, gettando un’ombra sull’economia globale e minando la fiducia degli acquirenti nel mercato dell’arte», aggiunge, riferendosi alla raffica di dazi proposti sui beni importati da oltre 60 Paesi che Trump ha svelato il 2 aprile, sei settimane prima delle aste di New York, che fanno da barometro del mercato (quattro settimane dopo, la Guardia Nazionale degli Stati Uniti era nelle strade di Los Angeles per sedare le rivolte). L’immagine di quelle vendite newyorkesi avrebbe potuto essere più rosea se Sotheby’s fosse riuscita a vendere il bronzo di Giacometti. La scultura era stata messa all'asta dalla Fondazione Soloviev, un’entità creata da Stefan Soloviev, figlio del defunto collezionista e magnate immobiliare newyorkese Sheldon Solow, famoso per i suoi accordi difficili con le case d’asta. Piuttosto che accettare una vendita garantita, Soloviev ha optato, come avrebbe potuto fare suo padre, per un pacchetto «enhanced hammer» più redditizio che gli avrebbe dato diritto a una quota consistente delle commissioni di Sotheby’s in caso di vendita del lotto. Ma il prezzo di 70 milioni di dollari si è rivelato troppo ambizioso in un momento di instabilità geopolitica e di calo dei valori di molte opere considerate blue chip di maestri modernisti e contemporanei classici.

Il «cambiamento epocale» del mercato
«L’arte è diventata troppo costosa e il numero di persone disposte a pagare prezzi astronomici per opere di qualità C, per non parlare di quelle di qualità A, sta diminuendo», afferma Clayton Press, collezionista, consulente d’arte e docente di lunga data alla New York University, con sede nel New Jersey. «È un cambiamento epocale. Si tratta di uno sconvolgimento molto drammatico del mercato che, sotto molti aspetti, era atteso da tempo». Negli ultimi decenni il mondo dell’arte, in particolare quello contemporaneo, ha attirato miliardi di dollari di spesa da una piccola ma importante cerchia di persone tra le più ricche al mondo. Di conseguenza, il segmento più alto del mercato internazionale dell’arte, consciamente o meno, ha tendenzialmente considerato se stesso come un business di boutique di lusso relativamente immune alle vicissitudini del mondo esterno. Ma ora quella fiducia è scossa da guerre, instabilità politica ed economica, nonché da sconvolgimenti tecnologici, generazionali e culturali. «Tutti devono cambiare il modello di business» ha affermato il gallerista contemporaneo Massimo De Carlo, intervenendo alla conferenza Art for Tomorrow tenutasi a maggio nella sua città natale, Milano. De Carlo aveva appena esposto a quella che diversi commercianti hanno definito un’edizione poco brillante della fiera Tefaf di New York.

 

L’aumento dell’età media degli acquirenti in fiere come Art Basel avrà un impatto sul mercato. Foto: David Owens

«Il vero problema è che l’intero sistema del mondo dell’arte ha accettato una narrazione che non era la nostra. Negli anni ’80 e in particolare negli anni ’90 quella narrazione era fatta dalla finanza, dall’economia. Acquistare arte era un buon affare, un investimento. La gente comprava arte perché voleva partecipare all’affare», ha affermato De Carlo, sottolineando che il rovescio della medaglia era che investire nell’arte comportava dei rischi. Il mondo dell’arte aveva bisogno di «una nuova narrazione», ha aggiunto De Carlo; tuttavia, essendo «nel momento», non era ancora sicuro di quale fosse. I continui rischi del mercato dell’arte per chi è orientato agli investimenti erano evidenti nell’elegante nuova galleria di De Carlo, situata in un palazzo degli anni ’30 a Milano, dove erano esposte le nuove sculture e i dipinti dai colori psichedelici dell’artista Jennifer Guidi, che vive a Los Angeles. Nel 2021, quando il mercato dell’arte era in fermento per gli investimenti speculativi, i dipinti astratti di Guidi erano tra i più apprezzati del momento, venduti all'asta per ben 625mila dollari. Secondo Artprice, il prezzo più alto raggiunto da Guidi all’asta lo scorso anno è stato di 200mila dollari. Eppure, a Milano, i prezzi delle sue grandi tele erano fissati al doppio di quella cifra e anche oltre. «La gente compra, ma il prezzo è fondamentale. Siamo in un mercato sensibile ai prezzi», afferma Drew Watson, responsabile dei servizi artistici della Bank of America. «Il mercato dell’arte si è surriscaldato dopo la pandemia, insieme al mercato azionario. Era un periodo di tassi di interesse bassi, che ha spinto il capitale verso l’arte. Era anche un periodo di intensa concorrenza per l’arte ultra-contemporanea», aggiunge Watson. «Ora la situazione è cambiata».

Formidabili sfide strutturali
Alcuni acquirenti continuano a essere molto sensibili ai prezzi dell’arte ultra-contemporanea. A giugno, l’aggressivo «speculector» cinese Ding Yixiao, noto come Xiao, ha messo in vendita su Instagram numerose opere della sua collezione a prezzi fortemente scontati. In un post sulla piattaforma social, ha inveito contro il fatto che le persone fossero «stanche di acquistare dalle gallerie a causa dei fottuti pacchetti e della fottuta non rivendibilità. E le case d’asta che prendono la fottuta commissione del 26% e le fottute spese di spedizione sempre carissime». Sia De Carlo che Watson, insieme a molti altri operatori del settore, sostengono che ci sono ancora molte persone che vogliono acquistare opere d’arte, ma che semplicemente stanno aspettando che si calmino le acque nell’attuale clima febbrile. Ma al di là di questioni specifiche come i prezzi elevati, gli alti tassi di interesse e l'incertezza sui dazi, il commercio dell’arte è un business che deve affrontare sfide strutturali formidabili.

La clientela principale del mercato internazionale dell’arte, composta da collezionisti esperti e investitori che da decenni acquistano in gallerie, fiere e aste, sta invecchiando. Non è affatto certo che sarà sostituita da un numero sufficiente di acquirenti delle generazioni più giovani. Certo, si stima che nei prossimi dieci anni potrebbero essere trasferiti ai Millennial, alla Generazione Z e alla Generazione X fino a 70mila miliardi di dollari durante il «Grande Trasferimento di Ricchezza». Ma quanti di loro vorranno pagare decine di milioni per opere di artisti morti, bianchi e maschi che i loro genitori hanno collezionato? Quanti di loro vorranno acquistare opere degli artisti contemporanei, il cui numero è in continua espansione? «Ci sono troppi artisti, troppo pochi collezionisti e troppo poca domanda», afferma Press. «Le gallerie continuano a promuovere prodotti di alto valore. In parte è il risultato di costi generali elevati. Chissà quali sconti vengono offerti», aggiunge. «C’è un certo senso di uniformità in tutto questo».

È diventato un luogo comune della ricerca sociologica, e degli articoli sul mercato dell’arte, che le persone sotto i 45 anni siano più interessate a spendere soldi per esperienze che per beni materiali. Per loro, i ricordi si creano a Glastonbury o durante una mini vacanza Airbnb a Lisbona, piuttosto che visitando una galleria o una fiera d’arte. Il loro bene più prezioso è uno smartphone. Watson non prevede una ripresa del mercato dell’arte nel breve termine. «Ci vorrà un po' di tempo per ricostruire, dopo i picchi del 2021 e del 2022. Scopriremo qual è la nuova legge del mercato e da lì partiremo per ricostruirlo gradualmente», afferma. La vecchia legge, per citare il non collezionista più potente e dirompente d’America, era l’arte dell'affare. Se i prezzi scenderanno abbastanza, forse la nuova legge riguarderà più l’arte.

Scott Reyburn, 08 luglio 2025 | © Riproduzione riservata

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