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Un dettaglio del fregio «Il poema della vita umana» (1907), «La luce», di Giulio Aristide Sartorio, Venezia, Ca’ Pesaro-Galleria Internazionale d’Arte Moderna

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Un dettaglio del fregio «Il poema della vita umana» (1907), «La luce», di Giulio Aristide Sartorio, Venezia, Ca’ Pesaro-Galleria Internazionale d’Arte Moderna

Il gigantesco fregio di Giulio Aristide Sartorio per la Biennale del 1907

A Ca’ Pesaro un omaggio al campione del Simbolismo italiano e alle raccolte della Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Venezia

La luce e le tenebre, l’amore e la morte. Sono i quattro temi fondanti dell’esistenza che Giulio Aristide Sartorio (Roma, 1860-1932) mise al centro del suo monumentale «Il poema della vita umana», considerato il suo capolavoro. Il lungo fregio di 240 metri quadrati ispirato alla mitologia classica, tra citazioni esotiche e intrecci con la cultura nordica, fu pensato e realizzato per il salone centrale dell’Esposizione internazionale del 1907 della Biennale di Venezia, in cui rimase esposto anche per l’edizione successiva. Il fregio condensa una visione drammatica, carica di pulsioni che scuotono e torcono i corpi dei nudi maschili e femminili, così come le creature dal mondo animale e fantastico che interpretano le 14 scene. 

Oggetto di un restauro tra il 2018 e il 2019, in occasione del quale è stata raccolta un’ampia documentazione sull’opera, il fregio è al centro della mostra visitabile dal 16 maggio al 28 settembre alla Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro a Venezia, a cura di Matteo Piccolo e di Elisabetta Barisoni. Il contesto di quell’inizio secolo si ricrea attraverso documenti provenienti da diversi archivi e le opere di autori stranieri e italiani, come Rodin e Klinger, presenti nell’allestimento del 1907, Henri Fantin Latour, Pelizza da Volpedo, Ettore Burzi e Galileo Chini, esposte alle Biennali di quel periodo e da lì giunte a Ca’ Pesaro. Un’iconografia complessa, approvata da D’Annunzio, con un enorme dispiegamento di figure in movimento in uno spazio libero, senza inquadramenti architettonici. Il fregio, realizzato in pochi mesi con una tecnica rapida e in monocromo, che lo stesso Sartorio aveva descritto come frutto di «una miscela di cera, acquaragia e olio di papavero», fu acquisito da Vittorio Emanuele III che ne fece dono a Ca’ Pesaro.

«La mostra dedicata a Sartorio, spiega Elisabetta Barisoni, direttrice di Ca’ Pesaro e del Museo Fortuny, è un viaggio nel mondo del Simbolismo dell’inizio del XX secolo in un percorso che si snoda tra due edizioni dell’Esposizione internazionale. Oltre al “poema”, vero esempio di arte immersiva, pubblica, monumentale, al centro della mostra c’è il momento aurale di Realismo, Divisionismo e Simbolismo riflessi nei percorsi rappresentati dalle collezioni civiche veneziane conservate a Ca' Pesaro. La mostra è quindi un grandioso omaggio al campione del Simbolismo Sartorio e alla sua gigantesca impresa pittorica, ma allo stesso tempo un omaggio alle raccolte della Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Venezia e alla storia che le sue collezioni narrano. Storia della Biennale, della cultura veneziana e italiana, di avanzamenti e arretramenti artistici internazionali». 

Camilla Bertoni, 12 maggio 2025 | © Riproduzione riservata

Il gigantesco fregio di Giulio Aristide Sartorio per la Biennale del 1907 | Camilla Bertoni

Il gigantesco fregio di Giulio Aristide Sartorio per la Biennale del 1907 | Camilla Bertoni