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Monica Trigona
Leggi i suoi articoliLa Galleria Lombardi di Roma omaggia uno dei protagonisti dell’astrazione italiana della seconda metà del ’900 con la mostra «Antonio Sanfilippo. Segni dell’anima #1», curata da Lorenzo ed Enrico Lombardi, aperta dal 4 ottobre all’8 novembre. In mostra circa 17 opere su tela e su carta, realizzate tra il 1957 e il 1971, tra cui alcuni capolavori emblematici del suo percorso artistico. La mostra è il primo capitolo di un unico progetto espositivo, che vedrà, quale secondo capitolo, la mostra della moglie, dal titolo Carla Accardi. «Segni dell’anima #2», sempre alla Galleria Lombardi, dal 6 dicembre al 10 gennaio 2026.
L’avventura di entrambi nel «segno» è, infatti, uno degli episodi artistici più significativi dell’arte italiana della seconda metà del Novecento. Oggi, che non ci sono più, la loro opera è contemplata con la stessa venerazione dei contemporanei, ma con una consapevolezza ulteriore: i vertici raggiunti dalla coppia restano un caso unico e irripetuto. Il giudizio attuale si arricchisce dunque di un senso della storia che conferisce all’opera complessiva di questa coppia d’arte e di vita (dal fidanzamento nel 1944 alla separazione nel 1964) un valore, per citare le parole dello stesso Sanfilippo, «sublime». Scriveva infatti l’artista a Carla, in una lettera dell’ottobre 1946: «Noi siamo diversi perché al di sopra di tutte le cose che si vivono materialmente collochiamo la nostra arte sublime». Dopo il 1971, Sanfilippo (nato nel 1923 a Partanna, in provincia di Trapani) non dipinse più, sopraffatto da un profondo disagio interiore. Morì nel gennaio 1980, in seguito alle complicazioni di un incidente automobilistico. Prima di allora, Sanfilippo aveva contribuito in modo decisivo alla trasformazione dell’arte italiana, affermandosi come uno dei maggiori esponenti dell’astrattismo.
Nel 1947 fu promotore, assieme alla moglie Carla Accardi, e a Ugo Attardi, Pietro Consagra, Piero Dorazio, Mino Guerrini, Achille Perilli, Giulio Turcato, del Gruppo Forma, sodalizio artistico che promuoveva un linguaggio visivo geometrico e antinaturalistico. Dal culto della forma l’artista passò, nei primi anni Cinquanta, a quello per il segno, adottato in senso lirico: «Antonio Sanfilippo, secondo Guglielmo Gigliotti in catalogo, non è solo uno dei maggiori pittori astratti della seconda metà del Novecento europeo, è anche uno dei più poetici. Il suo piccolo segno fluttuante, non risponde a suggestioni naturalistiche, è segno dell’anima. Nasce nella sua interiorità come impulso profondo e primordiale, come un alfabeto morse che sgorga dall’inconscio, e come ritmo interno della materia di cui è fatta la realtà. Tutto vibra, pulsa, in un ritmo che scandisce il tempo per definire uno spazio, quello della tela e della carta, uno spazio mentale e reale, materialmente finito e potenzialmente infinito».

Antonio Sanfilippo, «Senza titolo», 1959