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Piero Dorazio, «Amore chiama colore IV», 1956 (particolare)

Photo: Eleonora Cerri Pecorella

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Piero Dorazio, «Amore chiama colore IV», 1956 (particolare)

Photo: Eleonora Cerri Pecorella

I Floridi mecenati a colori

Nella romana Fondazione D’ARC opere ospiti e opere della collezione esposte secondo il paradigma di «Amore chiama colore» di Piero Dorazio

Amore chiama colore, alla romana Fondazione D’ARC di Giovanni e Clara Floridi, perché «Amore chiama colore» è il titolo di un’opera di Piero Dorazio, prescelto quale titolo generale della mostra collettiva orchestrata da Giuliana Benassi (curatrice della Fondazione), aperta dal 13 novembre al 31 gennaio 2026.

Il dipinto di uno dei padri dell’astrazione italiana della seconda metà del ’900 è un’opera del 1956, giocata su una policromia lirica e sfumata, rara in un campione del geometrismo come fu Dorazio. È questo il là che attiva tutte le altre note cromatiche che intessono la mostra, a partire dagli squilli rossi delle sculture di Giacinto Cerone e Pablo Atchugarry all’albero di buste di plastica di Pascale Marthine Tayou.

La mostra si avvale di presenze già parte della collezione d’arte contemporanea dei coniugi Floridi, integrate da altre selezionate per l’occasione espositiva, per una riflessione sul colore come materia e come idea, sviluppata, oltre ai citati, da Josè Angelino, John Armleder, Monia Ben Hamouda, Ross Bleckner, Michela de Mattei, Federica Di Carlo, Alfonso Fratteggiani Bianchi, Genuardi/Ruta, Samuel Nnorom, Odili Donald Odita, Tadasky, Giulio Turcato e Austin Young. Pittura e scultura, astrazione e figurazione, installazioni luminose e tessuti sono i media che si fanno, nel contesto espositivo, portatori di un’accezione specifica di colore, che sia contemplativo o scientifico, di impegno sociale, o di condensazione di raffinate simbologie. «Il colore è linguaggio universale, dichiara Giuliana Benassi, in un’epoca dominata dall’immagine digitale, torniamo a riflettere sul colore nella sua forma più pura e complessa».

Tutto ciò avviene in una sede espositiva privata di impianto museale. La Fondazione D’ARC è nata nell’ottobre 2024 per volontà dei mecenati Floridi, con l’intento di aprire alla condivisione la loro ricchissima collezione d’arte, che annovera centinaia di opere, dalle avanguardie di primo Novecento ai giorni nostri, partendo da Balla per giungere a Kounellis, Boetti e Kosuth, ed arrivare a Giulia Cenci, Chiara Camoni e Fabrizio Prevedello.

La sua sede è il risultato di un importante intervento di riqualificazione di un’area di 6mila metri quadrati presso la Via Tiburtina, che un tempo ospitava una fabbrica di manufatti in cemento, collocata ai piedi di una parete di tufo il cui terrapieno nasconde una vasta villa romana. Archeologia industriale e archeologia tout court, in un amalgama molto romano. L’esposizione a rotazione dei tanti lotti della collezione si innerva su un programma di mostre temporanee, laboratori, eventi culturali e residenze d’artista destinate a figure internazionali, ospitate nelle casa-atelier contigue al grande capannone ex-industriale.

Guglielmo Gigliotti, 12 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

I Floridi mecenati a colori | Guglielmo Gigliotti

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