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I Bronzi di Riace nella ricostruzione dell’archeologo tedesco Vinzenz Brinkmann

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I Bronzi di Riace nella ricostruzione dell’archeologo tedesco Vinzenz Brinkmann

I Bronzi di Riace a colori esposti al Met oltre l’evidenza archeologica e il dato storico artistico

Nella mostra «Chroma: Ancient Sculpture in Color» al Metropolitan risulta poco convincente la ricostruzione dell’archeologo tedesco Brinkmann che assegna i due capolavori alla mano di Mirone e allo stesso monumento votivo

Gianfranco Adornato

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Hanno da poco spento 50 candeline dalla scoperta avvenuta nel mar Ionio davanti alla costa di Riace, a cui si sommano più di 2.400 anni dalla loro creazione. Eppure, i Bronzi di Riace continuano a sollevare «vecchie» domande agli studiosi di arte antica. Alcune senza risposta. Chi li realizzò? Come e dove erano esposti? Quando furono strappati dai rispettivi monumenti? Quale la destinazione finale e la loro fruizione secondaria? Proprio per questo importante anniversario, alcuni studiosi si sono cimentati ancora una volta in questa sfida, sfruttando le potenzialità delle nuove tecnologie.

In occasione della mostra «Chroma: Ancient Sculpture in Color» al Metropolitan Museum of Art di New York (5 luglio 2022-26 marzo 2023) viene presentata una ricostruzione del supposto gruppo scultoreo da parte di Vinzenz Brinkmann e Ulrike Koch-Brinkmann: lo studioso tedesco ne aveva dato notizia, a mostra avvenuta, in un intervento presso la Curia Iulia al Foro Romano (12 luglio 2022) sottraendosi però al dibattito scientifico con gli specialisti. Sebbene sia stata presentata come definitiva su alcune pagine di stampa divulgativa, come avremo modo di dimostrare, la ricostruzione di Brinkmann, che riguarda sia la composizione del Bronzo A e B e il loro posizionamento sulla base che la policromia dei due personaggi raffigurati, non solo non è convincente, ma, per certi aspetti, altera l’evidenza archeologica e il dato storico artistico. 

Nella sala del museo newyorkese i due bronzi sono stati collocati su una piattaforma e risultano affrontati: partendo da un riesame della statua B e delle sue peculiarità (dagli attributi tenuti nelle mani al copricapo), lo studioso tedesco propone di riconoscere nelle due figure la rappresentazione del re tracio Eumolpo (B) e del mitico re ateniese Eretteo (A) in monomachia esposti sull’Acropoli di Atene, come si apprende dal resoconto di Pausania, opera di Mirone di Eleuthere. Proprio quel Mirone che fuse, tra le altre sue sculture, il celebre «Discobolo». 

La questione più importante, risolta un po’ sbrigativamente, riguarda proprio la pertinenza delle due statue allo stesso monumento e la loro cronologia assoluta (secondo alcuni studiosi le due opere sono state realizzate in momenti distanti tra loro), che non trovano ancora oggi una risposta certa e univoca: date le significative differenze tecniche (per esempio la resa delle ciocche della barba e dei capelli) e stilistico-formali (il corpo), con quanta sicurezza possiamo associare queste due sculture allo stesso maestro e allo stesso monumento votivo? Se si accetta l’ipotesi di un singolo monumento, bisognerà concludere che il medesimo scultore (Mirone) utilizzò due tecniche differenti per realizzare parti anatomiche di due statue: basta osservare le lunghe e naturalistiche ciocche tortili della barba del bronzo A, realizzate a parte e martellate successivamente, per notare la distanza tecnica e tecnologica con cui furono plasmate quelle del bronzo B.

I risultati provenienti dalle analisi fisico-chimiche delle terre di fusione, purtroppo, non consentono di dirimere questo aspetto cruciale e, secondo Brinkmann, il range cronologico non risulta troppo ampio per disgiungere le due statue bronzee. Eppure, lo sviluppo della scultura greca di età classica è fin troppo nota per poter dismettere così velocemente la questione; siamo infatti in grado di periodizzare opere della metà del secolo e dei decenni successivi. L’attribuzionismo dei Bronzi al magistero di Mirone, poi, ci invita a mettere a confronto queste opere originali con le copie di età romana delle sue creazioni: in questa prospettiva, difficilmente i volti dei Bronzi di Riace possono avvicinarsi all’ovale allungato del «Discobolo» mironiano!

Altra questione centrale riguarda l’«alopekis», vale a dire il berretto di pelliccia di volpe, ricostruito e collocato sulla calotta cranica del bronzo B: attributo iconografico attorno al quale ruota l’impianto ipotetico dello studioso tedesco. Questo genere di berretto aderisce morbidamente alla testa, come possiamo notare dai paralleli iconografici sia nella pittura vascolare che nella scultura.

Sorge a questo punto una domanda essenziale: per quale motivo il bronzista avrebbe concepito un profilo così allungato per la testa del bronzo B? Non sarebbe stato più economico dare un andamento meno pronunciato alla testa? Il reale andamento della calotta cranica del bronzo B ci permette di escludere proprio questo copricapo; la coda della volpe, poi, sollevata in aria non trova confronti nelle raffigurazioni scultoree di età classica: i cavalieri con berretto sul fregio del Partenone ricordati proprio da Brinkmann ci illuminano su entrambe le questioni (nessuno dei giovani ateniesi presenta una testa allungata) e offrono un contro-argomento significativo a quanto avanzato.

Nel testo di Pausania, infine, Eretteo ed Eumolpo erano raffigurati in atto di iniziare a combattere: la disposizione stante, paratattica e obliqua dei due bronzi sul basamento allestito al Metropolitan di New York consente di visualizzare bene quello che stava accadendo tra i due personaggi mitici?

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Gianfranco Adornato, 20 febbraio 2023 | © Riproduzione riservata

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