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Genio anche nell’abbandono

Luca Scarlini

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Sembra scoccata l’ora di un ritorno di interesse per Vincenzo Gemito. Il Museo di Capodimonte fino al 16 luglio accoglie una ampia mostra, con una selezione delle opere recentemente acquisite nella collezione Minozzi. Dopo l’illustre precedente narrativo di Alberto Savinio (Seconda Vita di Gemito in Narrate uomini la vostra storia, 1942), giunge ora il notevole romanzo di Wanda Marasco Il genio dell’abbandono, dedicato alla vicenda umana e artistica dello scultore partenopeo (1852-1929). L’autrice usa una lingua mescolata, dove italiano e napoletano si fondono (fornendo anche un ampio glossario al lettore), e in cui si percepisce chiaramente una frequentazione dei meccanismi del teatro. La vicenda si apre sulla fuga dell’artista dalla clinica psichiatrica dove è recluso, mentre intraprende per forre e scoscesi un itinerario che lo riporterà a casa. Gemito, scompigliato, con aspetto profetico (come nel magnifico «Autoritratto» del 1887, scelto come immagine di copertina), dialoga con la propria identità schizofrenica, che ha nome Peppino, e viene indicato come «amico profondo», necessario controcanto ai suoi travagliati pensieri. Una creatura che, come lui, ha avuto una vicenda personale complessa, e viene curato per le conseguenze della sifilide. Gemito odia l’acqua, detesta l’igiene, affabula e verbigera, dà fiato a un universo di parole, talvolta smozzicate, talaltra compiute. Parla, ossessivamente, di se stesso, del proprio legame con l’arte e con gli artisti (notevolissimo l’inserto in cui compare in scena Antonio, detto Totonno, Mancini), del momumento a Carlo V, commissionato dall’autorità e che tanti problemi gli ha creato. Il romanzo si conclude con una visione profetica in punto di morte, mentre immagini di persone e opere si affollano nella mente dell’artista.

Il genio dell’abbandono, di Wanda Marasco, 352 pp., Neri Pozza, Vicenza 2014, € 18,00

Luca Scarlini, 29 aprile 2015 | © Riproduzione riservata

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