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Eileen Agar (1899–1991), fotografata da Orde Eliason a Holland Park nel 1988

Photo: © Orde Eliason

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Eileen Agar (1899–1991), fotografata da Orde Eliason a Holland Park nel 1988

Photo: © Orde Eliason

Eileen Agar, l’anima libera che ha riscritto le regole del Surrealismo

La pittrice e fotografa britannica ampliò i canoni dell'arte del tempo sperimentando tecniche e materiali nuovi, portando avanti la sua causa femminista

Nicoletta Biglietti

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Eileen Agar non seguiva le regole: le frantumava, letteralmente. Come accadde nel 1924, quando ruppe uno specchio e sentì di aver distrutto la vecchia immagine di sé. Quello fu l'inizio di qualcosa di nuovo. Non si accontentava di essere definita una surrealista, anche se fu l’unica donna britannica ammessa alla celebre Esposizione Internazionale Surrealista di Londra nel 1936. Agar era molto di più. Con la sua arte, trasformava oggetti trovati, piume, corna e fotografie in visioni oniriche e simboliche.

Era nata a Buenos Aires nel 1899 da una famiglia benestante, divisa tra la forza selvaggia del paesaggio argentino e l’ordine borghese europeo. Dopo gli studi a Londra, si immerse nel fervente clima delle avanguardie, attraversando surrealismo e cubismo, ma sempre a modo suo. «Un’opera non può nascere dal caso, deve essere pensata», diceva, rifiutando l’idea di automatismo tanto cara ai seguaci di Breton. Perché l’arte, per lei, era atto libero ma consapevole.

Fin dagli anni scolastici, Agar sentì l’arte come una chiamata irresistibile. Alla Heathfield School, una delle sue insegnanti, la pittrice Lucy Kemp-Welch, intuì subito il suo talento, incoraggiandola a mantenere sempre un legame stretto con l’arte. Nel 1919 si iscrisse alla Byam Shaw School of Art, ma nel 1921, dopo soli due anni, decise di sfidare le convenzioni sociali iscrivendosi alla prestigiosa Slade School of Fine Art di Londra. Qui Agar sperimentò i limiti imposti alle donne nel mondo artistico: «Molti uomini pensavano che le donne si sarebbero dimenticate dell’arte una volta sposate e madri», raccontava, «per questo decisi di non avere figli: volevo dedicarmi solo alla mia arte». Questa scelta, tanto radicale quanto consapevole, rappresentò una dichiarazione di autonomia che l’avrebbe accompagnata in tutta la carriera.

Con una piccola eredità e una grande forza d’animo, aprì uno studio a Kensington Square, dove iniziò a costruire la sua nuova immagine artistica e personale. Abbiamo già fatto riferimento all’episodio emblematico del suo percorso, che avvenne nel 1924, quando mentre osservava un suo dipinto urtò contro uno specchio, frantumandolo. Quel momento segnò una svolta: «Ho distrutto la vecchia immagine di me stessa per dar vita a un essere più libero e fantasioso», ricordava, entrando così nel «mondo reale e illusorio dell’arte». In quello stesso anno, Agar iniziò a studiare con Leon Underwood, uno dei pionieri della scultura moderna in Gran Bretagna, e due anni dopo incontrò Joseph Bard, scrittore ungherese che sarebbe diventato suo marito nel 1940.

Eileen Agar, «Angelo dell’Anarchia», 1936-40

Dopo gli studi Agar sentì il bisogno di superare il tradizionale e di esplorare le avanguardie europee. Nel 1929 si trasferì a Parigi, città in cui entrò in contatto con André Breton, Paul Éluard e altri protagonisti del Surrealismo, e prese lezioni dal cubista ceco František Foltýn, su consiglio dell’architetto Adolf Loos. Qui nacque anche la sua cifra stilistica: una fusione tra la sensualità e il mistero del Surrealismo e la rigida logica del Cubismo, che caratterizzò tutta la sua opera. Nel 1931 Agar concepì la «magia dell’utero», un’idea di creatività femminile capace di contrastare il militarismo maschile in ascesa. Questo concetto, insieme al suo interesse per la psicoanalisi junghiana, rimase una costante nel suo lavoro, che esplorava le profondità del subconscio con uno sguardo femminile originale e consapevole.

Gli anni ’30 furono un periodo di grande fermento e successo: con Joseph Bard divise la sua vita tra Parigi, Londra e Portofino, frequentando artisti e intellettuali come Picasso e Dylan Thomas; nel 1936 tenne la sua prima mostra personale a Londra, esponendo collage, sculture e dipinti realizzati con oggetti trovati nelle sue passeggiate. Amava raccogliere stelle marine o corna di montone, trasformandoli in opere che mescolavano sogno e realtà, il visibile e il nascosto. Quello stesso anno fu anche l’unica donna selezionata per la prestigiosa Esposizione Internazionale Surrealista di Londra, un traguardo straordinario in un contesto artistico fortemente dominato dagli uomini. «All’epoca le donne erano viste solo come muse, non come artiste vere», osservava con lucidità, quasi ancora sorpresa di essere stata ammessa. Il suo lavoro, caratterizzato da un linguaggio visivo lirico e inquietante, conquistò fama internazionale approdando in città come New York, Tokyo e Amsterdam.

Nel 1936, durante una visita in Bretagna, Agar fotografò le rocce di Ploumanac’h, trasformandole in mostri di luce e ombra. La fotografia, che divenne una fedele compagna di lavoro grazie alla sua Rolleiflex, entrò così stabilmente nella sua pratica artistica, permettendole di esplorare nuovi modi di raccontare il mondo. Profondamente affascinata dal mondo naturale, Agar cercava nella forma di un albero o nella caduta di un sasso la traccia di un linguaggio segreto: «La natura fa uno sforzo per parlarti», diceva. Con le sue sculture e collage, dava voce a queste conversazioni misteriose, creando opere sospese tra fragilità e gioco, leggerezza e profondità. Parallelamente all’arte visiva, Agar si dedicò anche alla moda: i suoi “cappelli surrealisti”, tra cui il «Cappello cerimoniale per mangiare la bouillabaisse» del 1936, divennero icone di stravaganza e creatività – oggi conservati al Victoria & Albert Museum. Attraverso queste creazioni indossabili, Agar portava il surrealismo nella vita quotidiana, liberando chi li indossava dalle convenzioni sociali.

Tra le sue opere più potenti del periodo pre-bellico, spicca l’«Angelo dell’Anarchia» (1936-40), una creatura metà uomo e metà uccello, ispirata alle piume dei cappelli di sua madre e impreziosita da perline africane. Questa scultura è un manifesto di trasformazione e ribellione, simbolo femminista che sfida il patriarcato e riflette l’impegno politico di Agar e dei surrealisti a sostegno degli anarchici spagnoli. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, Agar non si tirò indietro: pur pacifista, si dedicò al volontariato e all’osservazione antiaerea durante il Blitz a Londra. Il conflitto segnò una battuta d’arresto per la sua arte, ma il collage divenne il mezzo ideale per esprimere ansie, urgenza e desideri repressi. Dopo la guerra, esausta e disillusa, Agar trovò nuova linfa vitale nei paesaggi incontaminati della Cornovaglia e del Lake District, rinnovando la sua fiducia nella vita e nella creatività.

Eileen Agar, «Untitled», 1981

Gli anni ’50 rappresentarono un periodo di rinascita e sperimentazione. Dopo un viaggio a Tenerife nel 1953, Agar si sentì finalmente libera di immergersi nella natura e nella pittura, mescolando collage, disegno e tecniche surrealiste come l’automatismo e il frottage. Le sue opere di questo periodo si caratterizzano per un colorismo vibrante e una visione fluida di forme e immagini, in cui si percepisce una nuova gioia creativa. Nel 1958 Agar si trasferì in uno studio più grande e nel 1965 scoprì l’acrilico, che presto divenne il suo mezzo preferito. Negli ultimi decenni di carriera realizzò grandi tele stratificate, in cui conchiglie, uccelli, fossili e foglie si intrecciavano con precisione sorprendente, creando un universo visivo unico e riconoscibile.

Il riconoscimento arrivò anche ufficialmente: nel 1989 pubblicò la sua autobiografia e nel 1990 fu nominata Royal Academician, un traguardo che celebrava la sua lunga e instancabile dedizione all’arte. Fino alla fine Agar lavorò con passione, convinta che «il senso della vita si perda senza lo spirito del gioco», perché nel gioco risiede tutta la bellezza e l’altezza dello spirito umano. Per Eileen Agar, l’arte era, infatti, soprattutto gioco e libertà, perché «nel gioco la mente si apre a leggi diverse, può essere libera». Questa visione permeò tutta la sua carriera, durante la quale seguì sempre due filoni paralleli ma complementari: l’astrazione e il surrealismo. «Camminiamo su due gambe – spiegava – una è astratta, l’altra surrealista. Per me è un dialogo, un punto e contrappunto». 

Agar fu anche una donna indipendente e coraggiosa, capace di emergere in un mondo artistico dominato dagli uomini, come ricorda Isabel Millar, esperta di arte contemporanea di Christie’s. Dopo la guerra, pur riducendo le esposizioni per prendersi cura del marito Joseph Bard, malato fino alla sua morte nel 1975, non smise mai di creare: negli ultimi anni si appassionò all’acrilico, realizzando opere stratificate ricche di motivi naturali e simbolici. Nel 1986 Agar sorprese ancora sfilando per lo stilista Issey Miyake, portando nella moda la sua estetica surrealista con maschere che «liberavano da ogni identità» chi le indossava. Nel 1987 fu protagonista di una retrospettiva importante, e l’anno seguente pubblicò le sue memorie, «A Look at My Life», una finestra affascinante sulla vita bohémien di Parigi e Londra pre-bellica.

Morì nel 1991 a 92 anni, lasciando un’eredità artistica ricca e poliedrica. Eileen Agar incarnava uno spirito libero e sperimentale. Le sue forme fluide si muovevano armoniosamente tra pittura, scultura, collage e fotografia, dando vita a un lavoro audace e influente, spesso raccontato in relazione agli uomini del Surrealismo, ma fondato su basi uniche. Come molte donne surrealiste, Agar immaginava un mondo senza confini di genere e oppressione patriarcale. Il suo lavoro scavava nel subconscio umano, andando oltre la sessualizzazione tipica dei surrealisti maschi. «L’inconscio guida la creatività», sosteneva, «e in esso si afferma un’immaginazione femminile che rompe gli schemi classici». Ed Agar, in effetti, era proprio come quello specchio che si frantumò all’inizio della sua carriera: un’immagine antica che si rompeva, ma lasciava spazio a una nuova visione, più libera e rivoluzionaria, capace di riscrivere le regole dell’arte e dell’identità.

Nicoletta Biglietti, 21 giugno 2025 | © Riproduzione riservata

Eileen Agar, l’anima libera che ha riscritto le regole del Surrealismo | Nicoletta Biglietti

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