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Kurgan di Nachaeva in Ucraina. Wikipedia Creative Commons. Foto di Valerij Ded

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Kurgan di Nachaeva in Ucraina. Wikipedia Creative Commons. Foto di Valerij Ded

Dove sono gli ori degli Sciti di Melitopol’

I presunti e recenti saccheggi al Museo di Melitopol’ riportano l’attenzione sui raffinati manufatti realizzati dalle popolazioni nomadi delle steppe che nel VI secolo a.C. occuparono le coste settentrionali del Mar Nero entrando in contatto con il mondo greco

Manuel Castelluccia

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Dopo Iraq, Siria, Afghanistan e Nagorno-Karabach, anche l’attuale conflitto tra Russia e Ucraina rischia di coinvolgere il delicato patrimonio artistico e culturale delle aree contese. Sullo sfondo della ben più grande tragedia umana ed economica provocata dalla guerra in corso, un articolo del «The New York Times» (30 aprile) ha suscitato sconcerto e richiamato l’attenzione internazionale sulle antichità ucraine.

Nel testo si accennava infatti a un possibile saccheggio di oggetti in oro riferibili alla cultura degli Sciti e provenienti dal museo di Melitopol’, nell’Ucraina meridionale, ora sotto controllo militare russo. Benché le informazioni siano ancora frammentarie e non confermate, il presunto furto di oggetti antichi, oltre ad aver destato un certo clamore e un’immediata riprovazione, ha riportato alla luce culture e contesti archeologici che parevano da tempo dimenticati in un Occidente perennemente focalizzato sulle antichità classiche.

Scizia e Sarmazia: così gli autori classici chiamavano i vasti territori a settentrione e oriente del Mar Nero, sulle cui coste i Greci avevano fondato numerose colonie. Ben poco era noto di quella sterminata pianura che si estendeva nell’entroterra, «totalmente priva di alberi, dove non cresce nulla». Oggi noi la chiamiamo steppa: un’immensa prateria pianeggiante che si dipana orizzontalmente, come un vero e proprio corridoio euroasiatico, dall’Europa orientale fino ai confini occidentali della Cina.

Di steppe ne esistono diverse, ognuna con le sue peculiarità climatiche e geografiche. Quella europea, compresa dall’attuale Ungheria sino al Volga, presenta le condizioni più favorevoli: suoli fertili, un clima mitigato dalla vicinanza al Mar Nero e Caspio, precipitazioni sufficientemente abbondanti durante tutto l’anno. I Greci vi arrivarono nel VI secolo a.C., attirati dalle potenzialità economiche del territorio. Le colonie greche, veri e propri empori commerciali multietnici, gestivano il commercio del grano coltivato nei ricchi territori adiacenti.

Inoltre, sfruttando il cordone ombelicale rappresentato dai grandi fiumi dell’Europa orientale, il Volga, il Don e il Dnipro, si garantivano l’accesso a numerosi altri prodotti: pelli, metalli grezzi, oro, schiavi affluivano dalle profondità della steppa euroasiatica, della taiga e dei monti Urali. A controllare questa complessa rete commerciale vi erano i «nomadi abitanti sui carri», chiamati Sciti dai Greci, Saka dai persiani. Si tende oggigiorno a considerare gli Sciti come una popolazione iranica, parte di un ben più vasto mosaico di popolazioni nomadiche euroasiatiche.

La storia scita, così come l’arte scita, può essere suddivisa in tre periodi distinti. Ogni periodo ha le sue peculiarità, nello stile e nei soggetti rappresentati. Nel periodo arcaico, tra VII e VI secolo a.C., gli Sciti andarono a occupare le pendici del Caucaso settentrionale e del Mar Nero orientale, entrando in contatto con le culture, i regni e gli imperi della Mesopotamia, dell’Anatolia e del mondo iranico. Una volta oltrepassata la barriera del Caucaso per spedizioni e saccheggi, generando timori e paure i cui echi si trovano nella Bibbia, negli autori classici e nelle fonti mesopotamiche, acquisirono sia ricchezze che influenze artistiche, evidenze ben note grazie ai numerosi rinvenimenti da contesti funerari del Caucaso settentrionale.

A partire dalla fine del VI secolo a.C. gli Sciti iniziarono a insediarsi sulle coste settentrionali del Mar Nero, entrando quindi in contatto con il mondo greco da poco stabilitovi. Il periodo medio-scita, tra V e IV secolo, è il momento di maggior splendore: grazie al controllo delle reti commerciali e a una fruttuosa collaborazione con i mercanti greci, infatti, enormi ricchezze affluirono alle élite scite. Nonostante il potere che avevano accumulato, gli Sciti non riuscirono apparentemente a raggiungere un’unitarietà politica solida e strutturata, ma al contrario rimasero suddivisi in una serie di tribù autonome guidate da capi riconosciuti.

Queste élite, per rimarcare la loro legittimazione al potere, investirono ingentissime risorse nella ritualità funeraria, costruendo grandi tumuli, noti anche con il termine russo di kurgan, sotto i quali farsi seppellire accompagnati da preziosi corredi di oggetti. Sacrifici di cavalli e, talvolta, anche umani completavano le sepolture in questi tumuli, dislocati nelle steppe euroasiatiche e oggi ormai noti in tutto il mondo. Sebbene molti di essi siano già stati saccheggiati in antico, hanno comunque rivelato numerosi oggetti di eccellente fattura in oro, argento, bronzo. I tumuli più ricchi si trovano principalmente lungo il basso corso del Dnipro, lungo la costa settentrionale del Mar Nero, e in Crimea, spesso in prossimità delle colonie greche.

L’arte scita del periodo è espressione di due stili differenti: il primo caratterizza oggetti realizzati secondo il tipico «stile animalistico» delle popolazioni delle steppe; il secondo, invece, è proprio di oggetti prodotti da botteghe e artigiani greci per i loro committenti nomadi. La maggior parte dei manufatti in oro è in stile ellenico e in essi vi è una compresenza di tematiche caratteristiche del mondo sia greco sia scita.

Al momento attuale, questi ori sono conservati principalmente nei musei russi e ucraini, e il conflitto che oppone i due Paesi rischia di coinvolgere i monumenti delle regioni contese. Molti degli oggetti sciti in oro si trovano nel Museo dei Tesori Storici dell’Ucraina a Kiev, e pare non abbiano subìto danni in seguito ai bombardamenti. A Melitopol’ era invece conservata una piccola parte degli oggetti in oro provenienti dallo scavo di un famoso kurgan scita indagato nel 1954: si teme che proprio questi oggetti, ora, siano scomparsi.

La famosa custodia dell’arco in oro del kurgan è invece, fortunatamente, al sicuro nel museo di Kiev. Nulla è invece noto sullo stato di conservazione dei numerosi tumuli della regione, molti dei quali ancora da indagare nella loro interezza: dal momento che si tratta di un’area totalmente pianeggiante, anche un’elevazione di alcuni metri potrebbe essere utilizzata per fini bellici e, quindi, diventare un bersaglio. Inoltre, la possibile presenza di oggetti di valore in oro, ben nota a tutti, potrebbe costituire un incentivo a compiere scavi illegali. Solo al termine del conflitto le autorità competenti, l’Unesco e gli studiosi potranno quantificare i danni ed eventualmente stabilire la scomparsa di collezioni museali.

Manuel Castelluccia è Docente di Archeologia e Storia dell’Asia centrale, Università degli Studi di Napoli «L’Orientale»

Guerra Russia-Ucraina 2022
 

Pettorale in oro dal kurgan di Tolstoja Mogila (Ucraina) © Museo dei Tesori Storici dell’Ucraina, Kiev

Pettine in oro dal kurgan di Solokha (Ucraina) © Ermitage, San Pietroburgo

Placca in oro decorativa di scudo in ferro, Kostromskaja © Ermitage, San Pietroburgo

Manuel Castelluccia, 06 giugno 2022 | © Riproduzione riservata

Dove sono gli ori degli Sciti di Melitopol’ | Manuel Castelluccia

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