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Dopo i «superventi» ecco i «superdieci»

Prosegue la riforma Franceschini. Sei archeologi e quattro storici dell’arte (sei interni) sono i nuovi «direttori manager» dei musei statali autonomi

Alessandro Martini

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Seconda tappa della riforma Franceschini dei principali musei e parchi archeologici statali. Conclusa la procedura di selezione internazionale indetta dal Mibact per i direttori manager di dieci grandi istituti, sono stati nominati sei archeologi e quattro storici dell’arte. Tutti italiani. Se la prima tornata, quella dei venti superdirettori del 2015, aveva provocato non poche polemiche, anche per la presenza di sette «stranieri» (cfr. n. 356, set. ’15, p. 1), oggi la nomina è passata quasi sotto silenzio. Nessuna discussione sul merito delle scelte, al limite qualche leggera espressione di stupore: «Chi sono? Mai sentiti nominare». O ancora: «Ma che c’azzecca in quel museo?».

Certo, la selezione condotta dalla commissione presieduta da Paolo Baratta ha portato ai vertici dei nuovi musei alcuni nomi noti, già ben inseriti nell’amministrazione pubblica: sei, tre funzionari e tre dirigenti, provengono dal Mibact. Ritenuti forse più adatti in ragione della natura di questi secondi dieci istituti, perlopiù siti archeologici e musei non di prima fascia, con tutto ciò che comportano in termini di complessità gestionale e conseguente necessità di una maggiore conoscenza dei meccanismi interni. Più ancora che la nomina dei precedenti venti superdirettori, questa seconda tornata ha così visto prevalere le «competenze interne» garantite da direttori come Daniela Porro al Museo Nazionale Romano, Rita Paris al Parco dell’Appia Antica, Filippo Maria Gambari al Museo della Civiltà (tutti a Roma)oltre ad Adele Campanelli al Parco archeologico dei Campi Flegrei (Na). Ma è soprattutto dai «giovani» (non soltanto anagraficamente) che ci si attende un vero segno di rinnovamento.

La comunicazione ministeriale, prontamente seguita da tutti gli organi d’informazione in Italia, ha soprattutto elogiato il «ritorno a casa» di Simone Verde, a lungo tra Parigi e Abu Dhabi per l’«antenna» locale del Louvre, nominato alla direzione del Complesso della Pilotta a Parma e di Andreina Contessa da Gerusalemme, esperta di arte ebraica, sulla via giuliana di Miramare. Stupisce e incuriosisce la scelta di una figura come Andrea Bruciati, la cui storia professionale nel segno del contemporaneo (dopo la nomina ha lasciato la fiera ArtVerona, di cui era direttore dal 2014) dovrà garantire una nuova centralità a luoghi straordinari e bisognosi come Villa Adriana e Villa d’Este a Tivoli. 

Le nomine, secondo quanto previsto dal bando, sono in carico al ministro Franceschini (che ha scelto personalmente il direttore del Museo Nazionale Romano) e al direttore generale dei Musei, Ugo Soragni (che ha indicato gli altri nove), all’interno delle terne individuate dalla Commissione presieduta da Paolo Baratta e composta da Lorenzo Casini, consigliere giuridico di Franceschini, Keith Christiansen del Metropolitan Museum di New York, Claudia Ferrazzi del Louvre-Lens e Michel Gras del Centre national de la recherche scientifique di Parigi. Dopo la presentazione delle domande entro il 20 luglio 2016 (450 candidature, di cui il 10% dall’estero), le nomine attese per lo scorso dicembre sono giunte a inizio febbraio, in lieve ritardo. 





Chi rimane fuori? Le terne per ogni museo, cioè i «finalisti» proposti al ministro per ognuno dei dieci musei, saranno rese pubbliche soltanto dopo la firma di tutti i contratti. Sono però disponibili i dieci arrivati alla penultima selezione. Salta all’occhio qualche nome noto, alla fine non nominato. Dal Museo Nazionale Romano restano fuori l’anglo-americana Eleni Vassilika, già direttrice del Museo Egizio di Torino (fuori anche dal Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, per cui si era candidata: ogni partecipante non aveva limiti al numero di preferenze), Mariarosaria Barbera, soprintendente speciale ai Beni archeologici di Roma prima di Francesco Prosperetti, e Alfonsina Russo, soprintendente archeologo dell’Etruria meridionale.


Ancora a Roma, dal Museo delle Civiltà (che unisce i musei preistorico etnografico Pigorini, delle Arti e tradizioni popolari, dell’Alto Medioevo e dell’Arte orientale Tucci) rimangono fuori Vito Lattanzi, curatore delle collezioni del Mediterraneo al Pigorini, e Alexander Koch, presidente della Stiftung Deutsches Historisches Museum di Berlino.


Gli altri semifinalisti internazionali sono i francesi Nicolas Dupont (archeologo del Musée des Confluences di Lione) candidato al Museo Nazionale Romano e, a Villa Giulia, Stéphane Verger (studioso di archeologia in area mediterranea), oltre al tedesco Bruno Richtsfeld (vicedirettore del Museum Fünf Kontinente, il Museo etnografico nazionale di Monaco di Baviera) e all’olandese oggi in Usa Ivo van der Graaff (specialista dell’Italia preromana nella University of New Hampshire) ai Campi Flegrei. Solo quest’ultimo (via Skype) e la Vassilika hanno partecipato alla selezione orale. Per alcuni stranieri, forse, le condizioni non sono parse sufficientemente allettanti: i nuovi direttori godono di un contratto quadriennale per 78mila euro lodi annui, con «eventuale retribuzione di risultato» per un massimo di 7.500 euro.


Alla Pilotta di Parma erano tra i dieci «semifinalisti» Giovanna Damiani, già soprintendente del Polo Museale Veneziano e oggi alla guida del Polo della Sardegna, Marco Biscione, già direttore dei Musei Civici di Udine e ora alla guida del Mao-Museo d’Arte Orientale di Torino, e Matteo Ceriana, dal 2014 a capo della Galleria Palatina di Firenze dopo essere stato vicedirettore di Brera. A Miramare, Davide Banzato, già direttore dei Musei Civici di Padova, e Giuseppe Pavanello, professore di Storia dell’Arte moderna all’Università di Trieste. Ai Campi Flegrei, Teresa Elena Cinquantaquattro, già soprintendente archeologo di Napoli e Pompei e della Basilicata.

Alessandro Martini, 07 marzo 2017 | © Riproduzione riservata

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