David LaChapelle

© Thomas Canet

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David LaChapelle

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David LaChapelle: «La gente venera le icone pop come se fossero Gesù e Maria»

Il fotografo americano ha dialogato con il pubblico nell’Auditorium Santa Giulia in Brescia in occasione della mostra in cui ha accostato i suoi scatti alle opere di Giacomo Ceruti

«Nella fotografia esiste una forma di spiritualità intrinseca, che si manifesta nella fase preparatoria, anche nei casting. Io lascio che tutto fluisca e si ricomponga da sé». Chi parla è il fotografo statunitense David LaChapelle (Connecticut, 11 marzo 1963). L’occasione è quella della sua lectio magistralis-dialogo con il pubblico tenutasi domenica 22 ottobre presso l’Auditorium Santa Giulia in Brescia, di cui ripoponiamo la registrazione video, a latere di un «finissage anticipato» della mostra «David LaChapelle per Giacomo Ceruti. Nomad in a Beautiful Land» (14 febbraio-19 novembre 2023, a cura di Denis Curti), nata per dialogare con le opere pauperistiche del pittore milanese del XVIII secolo, ora in prestito al Getty Center di Los Angeles.

Un controcanto della marginalità, quello di LaChapelle, che sceglie di raccontare con la foto «Gated community» la presenza stridente degli homeless losangelini nella terra dell’opulenza, dove «la gente ti giudica in base al lusso che ostenti». Con «Gated community» (2022), la Pinacoteca Tosio Martinengo ospita la celebre serie «Jesus is my homeboy» (2003), frutto della fascinazione che l’artista da sempre ha per la potenza dell’icona, sia essa sacra o profana, nella veicolazione del messaggio.

«La gente venera le icone sportive o pop come fossero Gesù e Maria; scoppia in lacrime davanti alle popstar. Assimilo questa adorazione dei personaggi popolari a una forma di rispetto religioso». Del resto, «nella storia umana sono due gli eventi importanti: la nascita di Cristo, che regola la nostra datazione, e la rivoluzione industriale, che ha accelerato moltissimo la nostra esistenza, regalandoci sia squilibri che aspetti positivi».

L’artistica religiosità di David non ha nulla di angelico ed etereo, come insegna il suo adorato Michelangelo, la cui «potenza drammatica niente condivide con la quiete dell’arte rinascimentale». Del Buonarroti LaChapelle ricorda la folgorazione avuta davanti al Giudizio Universale della Cappella Sistina; e lo fa immedesimandosi nell’uomo di 500 anni fa: «Che cosa mai poteva provare innanzi a un’opera simile, se non una sorta di vertigine, una persona che mai aveva visto foto, film, video?».
 

Teresa Scarale, 25 ottobre 2023 | © Riproduzione riservata

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