«La storia della fotografia nelle tue mani». © Cortesia di Camera - Centro Italiano per la Fotografia. Immagine di Rachele Nani

Image

«La storia della fotografia nelle tue mani». © Cortesia di Camera - Centro Italiano per la Fotografia. Immagine di Rachele Nani

Da oggi a Camera le fotografie si possono toccare

Il progetto «Open Camera» vede un rinnovamento degli spazi per garantire maggiore accessibilità, ma anche un nuovo percorso espositivo visivo-tattile pensato per rispondere alle esigenze dei diversi pubblici. Ne abbiamo parlato con Cristina Araimo, responsabile delle attività educative

Oltre ad inaugurare le due mostre «André Kertész. L’opera 1912-1982» e «Nuova Generazione. Sguardi Contemporanei sugli Archivi Alinari» (aperte fino al 4 febbraio), oggi lo spazio torinese svela finalmente i risultati di «Open Camera»: un importante progetto di rinnovamento architettonico e un nuovo percorso espositivo permanente dal titolo «La storia della fotografia nelle tue mani». Concepiti per migliorare la fruizione dello spazio e l’esperienza di visita a favore di pubblici con esigenze specifiche e disabilità, questi interventi si concretizzano nell’abbattimento delle barriere fisiche, cognitive e sensoriali attraverso accorgimenti pratici e creativi.

«Benché Camera sia uno spazio considerato privato per la semplice ragione che fa capo a una fondazione sostenuta da capitali privati, siamo fortemente consapevoli della sua funzione pubblica» ci racconta Emanuele Chieli, presidente di Camera. «Vorremmo che sempre di più diventasse un luogo di destinazione, dove le persone possano venire a vedere una mostra ma anche fermarsi per sfogliare un libro e prendere un caffè… Ed è importante che tutti possano vivere la propria esperienza e fruirne nel modo più completo».

Prima tra le realtà fotografiche nazionali a impegnarsi in modo così diffuso e consapevole al tema dell’accessibilità museale, oltre ad avviare un restyling architettonico (un sistema di rampe, ancora in lavorazione, facilita l’accesso dal marciapiede alle sale espositive, biglietteria e libreria sono più spaziose e più accoglienti, e a integrare il percorso di visita vi sono sedute e un angolo caffè per sostare, allattare o semplicemente riposarsi), Camera si è coraggiosamente messa in gioco decidendo di dedicare una parte dei suoi ambienti a un’installazione visivo-tattile che racconta l’evoluzione del linguaggio fotografico e che rimarrà allestita in maniera permanente. Avvalendosi di tecniche sofisticate e diversi elementi che facilitano la comprensione delle immagini e in alcuni casi ne ampliano il racconto, questo percorso è disegnato in modo da consentire un’esperienza paritaria per tutti, abbracciando il principio cardine dell’inclusività: progettare con l’ottica di individuare soluzioni di cui possa beneficiare la collettività.

«Open Camera» risponde ovviamente a quella che è la visione strategica dell’istituzione. «Per noi è un progetto fortemente identitario, tappa importante di un percorso intrapreso da anni e che intendiamo continuare, diretto a rendere il nostro Centro uno spazio sempre più accessibile e fruibile, da tutti» aggiunge Chieli. «Inoltre, al di là dell’attenzione per i temi dell’accessibilità, “Open Camera” per noi vuol dire anche superare il vincolo territoriale. Ci chiamiamo Centro Italiano per la Fotografia perché fin dall’origine questa è la nostra missione. Oggi stiamo facendo circuitare mostre da noi prodotte in giro per l’Italia, e abbiamo attive diverse collaborazioni internazionali, per esempio con la Médiathèque du patrimoine et de la photographie di Parigi per la mostra di André Kertész. Non ultimo a maggio ci sarà il primo Festival Internazionale di Fotografia di Torino e ovviamente noi abbiamo la totale disponibilità per essere attivi in questa iniziativa e fare rete anche con le altre istituzioni che non si occupano specificatamente di fotografia. Questo evento potrebbe essere davvero qualcosa di importante per mettere a sistema tutto quello che a Torino già esiste. Oggi chi gioca da solo per me è un perdente».

Per approfondire il percorso «La storia della fotografia nelle tue mani» abbiamo parlato con Cristina Araimo, responsabile delle attività educative.

Ci può raccontare come è nato «Open Camera»?
Il progetto nasce grazie all’aggiudicazione di un bando ministeriale, finanziato con fondi del Pnrr, dedicato all’accessibilità nei musei, negli archivi e nelle biblioteche. In realtà, questa opportunità è arrivata in un momento in cui avevamo già avviato un percorso finalizzato e all'inclusione di pubblici diversi. Già nella mostra di Robert Doisneau, nell’autunno del 2022, avevamo introdotto un breve percorso, un segnale di apertura verso altri linguaggi a favore dell'inclusione di un pubblico più ampio, in quel caso di visitatori ciechi e ipovedenti. Abbiamo poi continuato verso questa direzione con Eve Arnold e Dorothea Lange (in primavera ed estate 2023). Dopo queste esperienze ci siamo resi conto che nel momento in cui fai un passo verso una direzione di maggiore inclusività, non puoi più tornare indietro. Quando offri una nuova porta di accesso ai contenuti delle mostre non puoi più chiuderla. Inoltre, nell’ultimo periodo abbiamo introdotto una serie di novità in merito all'accessibilità che forse sono meno evidenti ma altrettanto importanti: per esempio, abbiamo ridotto l’altezza delle opere a parete, per favorire la lettura dell’immagine e dei contenuti ai bambini e alle persone in sedia a rotelle, e abbiamo iniziato a utilizzare un linguaggio più accessibile nella redazione dei testi in mostra, senza mai dare per scontato che siano tutti critici o esperti di fotografia.

«La storia della fotografia nelle tue mani» vanta due primati: innanzitutto per la prima volta l’istituzione torinese avrà un percorso permanente; oltre a ciò, il progetto è un unicum nel panorama nazionale e internazionale. Ci può raccontare di più?
L’esposizione è allestita nella Manica Lunga di Camera, lungo i primi 30 metri. Presenta una selezione di una ventina di opere che coprono i 200 anni di storia della fotografia. Partiamo dalle primissime sperimentazioni con Daguerre fino ad arrivare al «Balenciaga Pope» realizzato con l’intelligenza artificiale. È un viaggio nella storia della tecnica, ma anche nella storia della società. Vengono raccontati quelli che sono gli snodi principali nello sviluppo del linguaggio fotografico, ma inevitabilmente anche i momenti cruciali nello sviluppo della società nei 200 anni in cui la fotografia si è evoluta. Troviamo infatti diversi approcci visuali: il primo dagherrotipo, il ritratto, la fotografia di paesaggio, quella documentaria, e così via. Solo per citare alcuni degli autori, ci sono Daguerre, Man Ray, Robert Capa, Ansel Adams, Luigi Ghirri, Thomas Ruff, Paolo Pellegrin…

Come si sviluppa dal punto di vista installativo?
Il percorso di visita è costituito da pannelli visivo-tattili realizzati secondo una tecnica che consente un’esperienza paritaria per tutti: sono rappresentazioni dell’immagine a colori o in bianco e nero, quindi visibili nella loro originalità, realizzate su un pannello in resina con la tecnica della adduzione, che consente una riproduzione fedele dell’immagine. In trasparenza, c’è un profilo in resina, in bassorilievo, in corrispondenza dei tratti principali della fotografia, che permette la fruizione tattile della fotografia. Inoltre, per consentire alle persone di fare un’esperienza in autonomia, ciascun pannello ha una audio-descrizione dettagliata e una video descrizione in Lis, la lingua dei segni italiana, attivabili mediante Qr Code e Nfc (Near Field Communication), una tecnologia presente in tutti i telefoni cellulari che attiva automaticamente i contenuti. Chiunque osserva la fotografia, può accedere a una serie di contenuti extra attraverso questi supporti multimediali.

La fotografia è un linguaggio in continua evoluzione, quindi questo non sarà un allestimento statico, ma le tavole visivo-tattili sono ancorate a un binario che permette di spostarle per fare spazio ad altre immagini. Le opere infatti potranno aumentare e ogni periodo della storia della fotografia potrà essere integrato. Inoltre, lungo il binario sono presenti dei monitor su cui girano contenuti video che integrano il racconto delle diverse epoche storiche con filmati legati alla storia del cinema e dell’attualità. L’obiettivo è contestualizzare le immagini e raccontare quello che è accaduto negli anni in cui sono state realizzate.

Come si è organizzato lo staff di Camera per portare avanti il progetto?
Avviare questo percorso è stato possibile soprattutto grazie alla complicità della direzione e dei curatori e curatrici che lavorano a Camera. Questo tipo di innovazioni interferiscono pesantemente con la progettazione di un percorso espositivo, quindi è necessario essere tutti solidali nel raggiungimento dell’obiettivo. C’è stata una presa di coscienza da parte di tutti, al punto che l’intero staff ha seguito un percorso di formazione ad hoc. Abbiamo iniziato io e Monica Poggi (rispettivamente referenti del reparto educativo e di quello curatoriale), seguendo un corso di formazione dedicato all'inclusione per operatori culturali. Successivamente ci è sembrato necessario condividere queste competenze anche con tutto il resto del team, perché le persone in accoglienza, chi si occupa della comunicazione, ma in generale chiunque abbia a che fare con il pubblico o con la progettazione dei contenuti, deve essere formato all’utilizzo delle terminologie giuste, oppure al tipo di approccio corretto per comunicare e interagire con persone disabili. Sono particolarmente orgogliosa di fare parte di una squadra e di una istituzione culturale che ha avuto la volontà di dedicare tempo e risorse a questo progetto. Affrontare un’innovazione di questa portata implica un dispiego di energie superiore alla norma.

Un lavoro di questo tipo richiede sicuramente il confronto con persone e realtà già operanti nel settore dell’accessibilità. Chi vi ha accompagnato nella formazione?
Fondamentale è stata la figura dell’architetto Rocco Rolli di Tactile Vision Lab, una realtà che opera sul territorio locale e nazionale, impegnata nel tema dell’accessibilità e dell’inclusione nei luoghi della cultura da oltre 25 anni. Rolli ci ha accompagnato e consigliato nelle scelte con grande professionalità. Il programma di formazione è consistito in alcuni incontri organizzati dalla Fondazione Paideia di Torino. Abbiamo incontrato professionisti di settori diversi, come l’Istituto nazionale dei Sordi, neuropsichiatri che si occupano di comunicazione con le persone disabili, professionisti esperti dei disturbi dello spettro autistico… Ovviamente il percorso di apprendimento non si esaurisce in una formazione, ma poi nella pratica devi avere la capacità di approfondire, soprattutto andando a cercare il contatto con gli interlocutori a cui vuoi arrivare. Per noi è stato fondamentale interfacciarsi con i rappresentanti delle associazioni delle varie categorie, perché è impensabile proporre delle soluzioni senza che queste siano testate e confermate nella loro validità da chi poi direttamente ne fruisce.

Dal punto di vista personale, qual è stata la sua esperienza e cosa spera per il futuro di questo progetto? 
Negli ultimi mesi ho seguito visite guidate per persone cieche e ipovedenti ed è stato un momento molto significativo, perché ho realizzato che stiamo dando una possibilità di partecipazione a persone che mediamente vengono tagliate fuori dalla vita culturale della città. Inoltre, raccontare una fotografia a una persona che non ha mai visto o che vede poco ti costringe a capirne l’essenza, sia da un punto di vista narrativo, ma anche compositivo e formale, quindi a me stessa è capitato di notare dei dettagli che io per prima non avevo mai visto. Molti si chiedono se un percorso visivo tattile sulla fotografia per persone cieche e ipovedenti non sia un po’ un controsenso, [essendo la fotografia basata sull’atto della visione]. In realtà, credo che la fotografia sia capace di raccontare delle storie che vanno ben al di là dell’oggetto fotografico.

Penso che questo sia solo l’inizio per Camera. Non è un punto di arrivo, ma un primo passo verso qualcosa di molto più articolato, che risponde alla missione sociale-divulgativa che l’istituzione si è data nel suo Statuto. Dopo otto anni di esperienza e di lavoro, l’importante per noi è mettere a disposizione le nostre competenze e i contenuti dei nostri progetti a un pubblico quanto più ampio possibile e rendere Camera un luogo in cui le persone possano sentirsi accolte, che possano associare alla conoscenza della fotografia l’esperienza del benessere e della partecipazione.
 

«La storia della fotografia nelle tue mani». © Cortesia di Camera - Centro Italiano per la Fotografia. Immagine Andrea Guermani

Rica Cerbarano, 19 ottobre 2023 | © Riproduzione riservata

Articoli precedenti

Se è vero che ci sono infinite possibilità, c’è comunque un modo «giusto» di trattare le fotografie: come oggetti di valore

Sviluppato in collaborazione con «Il Giornale dell’Arte» e a cura di Rischa Paterlini, in sei puntate affronta l’importanza del dialogo tra culture e terre diverse

In pieno accordo con lo spirito della Biennale (dove condividerà il premio con Anna Maria Maiolino), l’artista turca lavora sul tema dell’immigrazione da oltre cinquant’anni, mossa da una motivazione profondamente etica. E ai giovani consiglia: «State lontani dalle gallerie commerciali»

L’allestimento rimarrà visibile fino al 2025 rinnovandosi ciclicamente

Da oggi a Camera le fotografie si possono toccare | Rica Cerbarano

Da oggi a Camera le fotografie si possono toccare | Rica Cerbarano