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La Grande Galleria Assira con il lungo corridoio dopo gli interventi italiani di riallestimento

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La Grande Galleria Assira con il lungo corridoio dopo gli interventi italiani di riallestimento

C’è la Mesopotamia in riva al Po

A cento anni dalla nascita di Giorgio Gullini la scuola archeologica torinese festeggia sessant’anni di ricerche con gli scavi (ora ripresi) a Seleucia in Iraq e il riallestimento del Museo di Baghdad

Laura Giuliani

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Esattamente vent’anni fa, nel 2003, in seguito allo scoppio della seconda guerra del Golfo, le immagini del Museo Nazionale dell’Iraq di Baghdad, sfregiato e saccheggiato dei suoi più importanti capolavori, facevano il giro del mondo. Uno dei musei più straordinari e unici per la storia della Mesopotamia e della civiltà tutta era stato colpito dalle devastazioni all’indomani dell’ingresso delle truppe angloamericane nella capitale irachena. Vetrine in frantumi e reperti fortemente danneggiati: il saccheggio, perpetrato a più riprese, aveva anche causato il trafugamento di circa 14mila pezzi, di cui in seguito molti restituiti all’Iraq.

La mobilitazione per la ricostruzione del museo fu grande e immediata. A intervenire subito, grazie anche al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, al Ministero dei Beni culturali e all’Unesco, il Centro Ricerche Archeologiche e Scavi di Torino per il Medio Oriente e l’Asia (Crast), allora guidato dall’orientalista Antonio Invernizzi (1941-2021), che in quei luoghi aveva maturato un’indiscussa esperienza grazie anche all’opera del suo predecessore e fondatore, l’archeologo Giorgio Gullini (1923-2004) il quale, nel 1964, un anno dopo la creazione dell’Istituto, aveva iniziato a scavare a Seleucia al Tigri, 38 chilometri a sud della capitale irachena.

Tra Oriente e Occidente
«Con la missione a Seleucia, incentrata sullo studio della diffusione dell’Ellenismo in Asia, Gullini, di cui tra l’altro quest’anno ricorre il centenario della nascita, intendeva creare un ponte tra Occidente e Oriente», racconta Stefano de Martino, fiorentino, dal 2008 ordinario di Ittitologia all’Università degli Studi di Torino e direttore scientifico del Centro Scavi che quest’anno celebra sessant’anni di attività. «Era l’epoca in cui emergevano le discipline archeologiche: si pensi anche a Sabatino Moscati per quanto riguarda i Paesi del Mediterraneo». Gli scavi a Seleucia sono andati avanti fino agli anni ’70, per poi subire una pausa a causa della guerra con l’Iran (nel 2000 il sito non era sicuro perché ritenuto sede di una cellula di Al Qaeda) e riprendere solo nel 2022.

Qui, il mese scorso, è partita la missione capeggiata da Carlo Lippolis, presidente del Crast, e Vito Messina, entrambi dell’ateneo torinese che con la Fondazione Crt, insieme a Comune, Provincia e Regione, sono i massimi sostenitori del Centro. «Negli anni in cui lo scavo era chiuso, continua de Martino, l’intera area del sito (500 ettari) è stata mappata grazie all’ausilio di droni. L’operazione ha messo in evidenza un impianto urbano di tipo ellenistico con grandi piazze e tracce di strutture architettoniche sepolte a 6/7 metri di profondità. Ci aspettiamo di trovare sotto la stratigrafia partica (del II secolo a.C., Ndr) testimonianze ben più antiche, pertinenti a strutture sacre e pubbliche. Ci vorrà sicuramente tempo, ma siamo ottimisti».

A Seleucia gli archeologi sono di casa nella grande e bellissima residenza della missione, messa a nuovo dall’Università di Torino: al suo interno anche un laboratorio per il restauro dei materiali, attività, insieme a quella della formazione e della disseminazione dei risultati, che sta molto a cuore agli archeologi torinesi. Fiore all’occhiello del Museo Nazionale di Baghdad, infatti, è il Vaso di Uruk, restaurato dopo il suo recupero sul mercato clandestino: anche la Dama di Warka e i gioielli delle Tombe di Ur della metà del III millennio a.C. (una parte di questi si trova al British Museum) costituiscono i capolavori della Galleria Sumerica (2021-23), riallestita dal Centro Scavi in collaborazione con Aics (Amman) e l’agenzia Unops delle Nazioni Unite.

Il Museo dell’Iraq
«La Galleria Sumerica è ancora vuota, dice de Martino, ma gli spazi sono molto grandi e moderni, più fruibili di prima. L’idea progettuale è opera dell’architetto Roberto Parapetti, autore anche degli interventi riguardanti la Grande Galleria Assira (2004-08) con le maestose sculture dai siti di Khorsabad e Nimrud, la Galleria Islamica e, successivamente, la Seconda Galleria Assira (2010-13) con i reperti provenienti da Tell al-Rimah e Nimrud». Nel contempo, il Crast si è occupato degli apparati didattici e di un volume in arabo e inglese (cfr. n. 363, apr. ’16, p. 22). «Il lavoro è ormai terminato, aggiunge lo studioso, le sale sono pronte ad accogliere i reperti da parte dello staff del museo diretto da Luma Yas al-Duri e l’inaugurazione dovrebbe essere imminente, accompagnata anche da un video realizzato dal Politecnico di Torino con scansioni ad alta definizione».

In virtù del significativo contributo alla rinascita del Museo di Baghdad, Carlo Lippolis il 12 giugno scorso è stato invitato al Quirinale dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in occasione del pranzo di Stato per la visita del presidente della Repubblica dell’Iraq (c’erano anche i direttori delle missioni italiane in territorio iracheno, Nicolò Marchetti dell’Università di Bologna e Daniele Morandi Bonacossi dell’Università di Udine). Una gratificante soddisfazione per gli archeologi italiani, per il Centro Scavi e per Lippolis che con Roberta Menegazzi dal 2018 organizzano corsi di formazione e didattica anche in Mongolia, presso il Museo di Kharkhorin, allo scopo di avvicinare la popolazione al ricchissimo patrimonio storico-artistico di Karakorum, la capitale fondata da Gengis Khan nel 1220: anche qui, sempre nell’area di Kharkhorin, l’Università degli Studi di Torino ha avviato una serie di prospezioni geofisiche in collaborazione con il Politecnico.

Le nuove tecnologie e il sapere umanistico dialogano tra loro anche nel progetto condotto dal Dipartimento di Studi storici dell’ateneo torinese con la scansione di 650 tavolette cuneiformi della collezione dei Musei Reali di Torino, reso possibile grazie al Pnrr: «Abbiamo ricevuto 1,2 milioni di euro che ci permetteranno in due anni e mezzo di scansionare tavolette e sigilli cilindrici attraverso scanner portatili: i manufatti risalgono all’ultimo secolo del III millennio a.C. e appartengono alla III dinastia di Ur. Una parte di questi minuscoli oggetti è possibile ammirarla nella nuova Galleria Archeologica dei Musei Reali», conclude de Martino, alla guida del Dipartimento e responsabile del progetto che annovera una decina di studiosi. L’utilizzo dello scanner portatile consente di velocizzare la lettura della superficie degli oggetti, rilevando particolari non visibili a occhio nudo, a conferma di quanto sia indispensabile ancora una volta il contributo delle discipline scientifiche alle scienze umane.

La Grande Galleria Assira con il lungo corridoio dopo gli interventi italiani di riallestimento

Laura Giuliani, 06 novembre 2023 | © Riproduzione riservata

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