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Camilla Bertoni
Leggi i suoi articoliCristiana Collu, alle spalle la direzione della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, da settembre 2024 è entrata alla guida della Fondazione Querini Stampalia di Venezia, succedendo a Marigusta Lazzari. Con l’apertura della mostra dedicata a John Baldessari (in coso fino al 23 novembre), ha annunciato il suo programma messo a punto in questi primi mesi dall’insediamento. Con un patrimonio librario enorme e una preziosa raccolta di arte antica da una parte, una vocazione alla contemporaneità dall’altra, la Fondazione Querini Stampalia è una realtà complessa, ricca e molto articolata.
Dottoressa Collu, qual è la sua visione per questa istituzione museale e quale impronta vorrebbe darle durante il triennio della sua direzione?
La Querini è una macchina del tempo che funziona solo se la si tiene accesa. Un luogo dove il passato è un interlocutore, fa da cerniera, è il ponte. Il suo patrimonio (librario, artistico, architettonico...) è monumentale, ma mai retorico: è vivo, stratificato, capriccioso. La mia direzione nasce da una triplice consapevolezza: che tutto è già lì, che molto è ancora da scoprire, e che senza una visione contemporanea (necessaria e inevitabile) si corre il rischio di una paralisi per eccesso di memoria. L’impronta che vorrei dare è quella di un’istituzione osmotica, radicale, curiosa e coraggiosa, capace di esporsi, di prendere la parola, di parlare la lingua del presente senza tradire la propria storia, fedele a Giovanni Querini, uomo esemplare, generoso e lungimirante. La Querini, come una casa veneziana aperta sul mondo, può fare miracoli, come Venezia che «cammina» da secoli sull’acqua e ha sempre spinto più in là l’orizzonte del suo sguardo.
Lei ha già predisposto una serie di riletture agli spazi: quali sono le novità attuate, e nell’ambito di quale visione e di quale progetto?
Abbiamo lavorato (il plurale è d’obbligo anche quando dovessi usare la prima persona, perché tutto quello che ho fatto è stato possibile grazie al mandato e alla fiducia del presidente Paolo Molesini, dei membri del Consiglio e di tutte le persone che lavorano alla Querini) mettendoci all’ascolto; abbiamo ricucito, reso leggibili le intenzioni, riattivato dialoghi, messo in evidenza le rivoluzioni estetiche preesistenti. Siamo salpati (è il caso di dire) facendo una torsione prima di tutto dello sguardo e poi invertendo la rotta. Chi visita oggi la Querini troverà spazi che si raccontano in continuità e in stretta relazione, un paesaggio da attraversare per fare il pieno di meraviglia.

Davide Rivalta, «Leoni in campo». Photo: Adriano Mura. Courtesy of Fondazione Querini Stampalia, Venezia
In che cosa consiste la sua nuova attività culturale e in quale direzione condurrà la Fondazione?
Abbiamo ripensato l’attività culturale come un gesto di responsabilità, cura e posizionamento. Non si tratta solo di programmare mostre o conferenze, ma di costruire, alimentare e promuovere un’attitudine. La Fondazione oggi si interroga su che cosa significa essere un’istituzione culturale a Venezia, nel cuore di una città che è insieme mito e materia fragile. Il «pensamento», termine caro all’antropologia, consiste in uno scarto: non semplicemente fare, ma domandarsi che cosa, come e quando. La nuova traiettoria è fatta di attraversamenti disciplinari, ibridazioni, ascolto. Senza perdere mai di vista la radicalità visionaria del fondatore, che aveva capito che la cultura è un atto pubblico, concreto, quotidiano.
Una data non casuale quella del 5 maggio scelta per la presentazione della «sua» nuova Querini, tra l’anniversario di Giovanni Querini e l’apertura della Biennale di Architettura…
Il 5 maggio abbiamo celebrato la nascita del nostro eroe, la ragione per cui oggi esiste la Querini e noi siamo qui a parlarne. Noi, eredi di un legato non solo materiale ma soprattutto intellettuale, festeggiamo e onoriamo la sua visione pionieristica della cultura come bisogno primario e come leva di trasformazione. Giovanni Querini ha costruito la sua Fondazione, e potrebbe per questo ricevere una laurea honoris causa in architettura, ha contribuito a modellare la città e la forma mentis di generazioni di persone. Ha costruito per sé e per gli altri con uno slancio e una determinazione da fuoriclasse. Per questo alla Querini, a Venezia, si sono stratificati gli interventi di architetti incredibili che hanno accettato la sfida di confrontarsi con spazi difficili e con eredità importanti. È difficile trovare altrove un contesto che mescoli ingredienti così diversi, improbabili e sorprendenti. Per questo in concomitanza della Biennale di Architettura ho immaginato una variante che risuonasse con questa affascinante e densa complessità: una mostra di John Baldessari, architetto e artista, professore, uno scultore come Davide Rivalta e un designer come Martí Guixé, anche loro insegnano (come ha fatto Baldessari), e questo fa la differenza: sono a stretto contatto con le nuove generazioni. Insieme a loro tre, tutte e tutti noi siamo all’opera.
Per iniziare, John Baldessari, un maestro dell’arte concettuale e della fotografia. Quale dialogo instaura con il contesto veneziano e i linguaggi artistici presenti alla Querini?
John Baldessari, un artista formidabile, architetto per formazione, professore e sperimentatore per vocazione, ha sempre abitato lo spazio tra immagine e parola, tra insegnamento e pratica artistica, tra bidimensionalità e installazione, tra gesto e performance. Non ha mai smesso di interrogarsi su che cosa significa occupare uno spazio (visivo, fisico, iconico) e su come sovvertirne le regole con precisione analitica e ironica, insegnandoci a vedere e a disimparare quello che pensavamo di sapere sulle immagini. La mostra «No Stone Unturned. Conceptual Photography» è la più ampia mai realizzata a Venezia dell'artista californiano, un’occasione unica e particolarmente puntuale di rileggerlo attraverso oltre 70 opere, la maggior parte mai esposte in Italia e mai esposte in assoluto. Un progetto che ha messo al centro l’esplorazione del medium fotografico smontando le convenzioni narrative e formali, uno strumento capace di indagare la realtà in modo inaspettato e sorprendente.
Le sculture monumentali di Davide Rivalta e l’intervento di Martí Guixé portano l’arte nello spazio pubblico, trasformando la Fondazione in un organismo diffuso. Quale funzione si assegna all’arte nello spazio urbano veneziano?
Le sculture di Davide Rivalta, «Leoni in campo», e l’installazione di Martí Guixé, «Q Spot. Seat, read, think, repeat», agiscono e insistono sulla ridefinizione dello spazio urbano. La loro presenza sposta l’asse percettivo. Sono atti di resistenza al consumo visivo, lavorano per addizione, sono dispositivi relazionali. Con loro, la Fondazione amplifica quel principio osmotico che è intrinseco alla natura stessa di Venezia, un organismo permeabile, dove terra e acqua, interno ed esterno, pubblico e privato si intrecciano in una rete di connessioni fluide e dinamiche.

Cristiana Collu. Foto: Adriano Mura
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