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Con la sentenza del 9 maggio, resa pubblica il 23 maggio, il Tribunale di Milano ha chiuso il contenzioso tra Maurizio Bernardelli Curuz e Adriana Conconi Fedrigolli, storici dell’arte bresciani, e il Comune di Milano, dando piena vittoria a quest’ultimo. È stato infatti accertato il contenuto «gravemente diffamatorio e lesivo nei confronti del Comune di Milano delle dichiarazioni rilasciate da Maurizio Bernardelli Curuz alla stampa nel luglio 2012, relativamente alla vicenda dell’attribuzione, da parte dello stesso Bernardelli Curuz e di altri convenuti, di alcuni disegni del Fondo Peterzano a Caravaggio. Pertanto, il Tribunale ha condannato i convenuti al risarcimento di 50mila euro per i gravi danni derivanti dalla lesione della reputazione e dell’immagine del Comune di Milano e della professionalità dei suoi dipendenti».
Il caso (cfr. n. 323, set. ’12, p. 12) era stato innescato dal roboante annuncio di Bernardelli e Conconi (luglio 2012) di aver ritrovato quasi 100 disegni di mano di Caravaggio nel Fondo Peterzano (Simone Peterzano fu maestro del giovane Caravaggio nei suoi anni lombardi) conservato nel Civico Gabinetto dei Disegni del Castello Sforzesco. Acquisito nel 1924 dalle Civiche Raccolte milanesi, il cosiddetto Fondo Peterzano era stato indagato a più riprese nel tempo da studiosi di rango che mai vi avevano individuato la mano del giovane Merisi.
L’annuncio di Bernardelli e Conconi era stato subito confutato da autorevoli studiosi, mentre il Comune di Milano rendeva accessibili tutti i fogli in questione nella mostra «Simone Peterzano e i disegni del Castello Sforzesco» (dicembre 2012-marzo 2013), nel Castello stesso, suscitando nella comunità scientifica internazionale ulteriori smentite. In più, Bernardelli e Conconi avevano messo in vendita un e-book con le immagini dei disegni in questione, senza avere mai ricevuto autorizzazione da parte del Comune.
Il Tribunale afferma, inoltre, che nel corso del giudizio «i convenuti non hanno offerto alcuna prova della riconducibilità a Caravaggio dei disegni in questione», e che non è accertato che li abbiano mai visti in originale.
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