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François-Xavier Lalanne, «Troupeau de moutons», 1965-79 e, sullo sfondo, Francis Bacon, «Three Figures in a Room», 1964

© Adagp, Paris, 2025. © The Estate of Francis Bacon/All rights reserved/Adagp, Paris and DACS, London 2025. © Centre Pompidou-Metz/Marc Domage/2025/Exposition Dimanche sans fin

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François-Xavier Lalanne, «Troupeau de moutons», 1965-79 e, sullo sfondo, Francis Bacon, «Three Figures in a Room», 1964

© Adagp, Paris, 2025. © The Estate of Francis Bacon/All rights reserved/Adagp, Paris and DACS, London 2025. © Centre Pompidou-Metz/Marc Domage/2025/Exposition Dimanche sans fin

Con Cattelan è sempre domenica

Il Centre Pompidou-Metz festeggia il suo 15mo anniversario con una mostra, cocurata dall’artista italiano presente anche con 37 opere, che ha il merito di attenuare la noia per il manierismo contemporaneo. Ha visitato la mostra per «Il Giornale dell’Arte» Rosa Martínez

Rosa Martínez

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Le mostre in cui opere contemporanee dialogano con capolavori del passato sono solitamente collettive, in cui singolari lavori di artisti attuali vengono associati ad altri storici, tralasciando l’ordine cronologico e privilegiando le connessioni iconografiche o formali che stabiliscono nuovi significati tra loro. Portano al presente il «vecchio» e mostrano come si stabilisce una linea di pensiero con il «contemporaneo». In questo modo chiariscono come le immagini ci rappresentano, ampliano la nostra visione critica, ci offrono esperienze del sublime e, in casi eccezionali, ci fanno ridere. Se sono ben fatte, sono spesso un win-win in cui le opere antiche rinascono e gli artisti viventi crescono iscrivendosi in una genealogia significativa.

Sono pochi gli artisti contemporanei la cui produzione ha l’importanza e la rilevanza sufficienti per resistere, con grazia e senso, alla continua interazione con i maestri delle collezioni museali. Non è questo il caso di Maurizio Cattelan che, già nel 2024, ha combinato alcune delle sue opere più iconiche con quelle del Moderna Museet di Stoccolma in una mostra vitale, densa e divertente. Ora, per celebrare il 15mo anniversario del Centre Pompidou-Metz, Cattelan ha curato insieme a Chiara Parisi, direttrice del museo, una mostra che riunisce quasi 400 opere della grande collezione permanente del Pompidou di Parigi e 37 dell’artista stesso.

Due assi portanti articolano questa mostra: l’idea della domenica come giorno solare in cui le attività quotidiane si fermano per lasciare spazio alla gioia del riposo, e l’alfabeto (latino) come insieme di 27 segni fondamentali a partire dai quali si articola il linguaggio. L’incrocio di questi due temi consente un’ampiezza concettuale che propone di navigare attraverso le diverse sezioni, creando un sorprendente itinerario di circonvallazioni formali e concettuali senza seguire la sequenza correlativa delle lettere. In questo ambizioso esercizio curatoriale si riuniscono entità di diverso spessore. Il potere economico e i saggi criteri che hanno plasmato la collezione del Pompidou brillano con opere come il «Quadrato nero» di Malevic (non quello dipinto su tela, ma quello che ha dipinto su un blocco compatto di gesso) o il complesso murale che ricostruisce la parete dello studio di André Breton, dov’erano riuniti quadri di contemporanei come Joan Miró, Francis Picabia o il doganiere Rousseau insieme a feticci e ornamenti di culture non occidentali ed elementi naturali che sfumavano le categorie di ciò che consideriamo arte.

Nel suo insieme, questa parete funge da archivio e autoritratto simbolico dello stesso Breton, nonché da raccolta delle energie di altri mondi che affascinavano i surrealisti. C’è anche l’autentico tavolo da scacchi utilizzato da Marcel Duchamp, una delle acquisizioni più recenti del Pompidou, esposto per la prima volta. E poi ci sono, su piedistalli, le sculture biomorfiche di Jean Arp, che sono come corpi senza organi, allo stesso tempo androgini, mutanti ed essenziali. Solo l’impatto magnetico di questi pezzi, insieme al crollo mistico generato dal bassorilievo pompeiano della Gradiva (colei che cammina), prestato dai Musei Vaticani, meriterebbero già una visita alla mostra. Ma questo percorso ha altri punti di sosta obbligatoria per vedere lo scontro tra gli autoritratti beffardi dello stesso Cattelan e i personaggi torturati di Francis Bacon, o i manichini sdoppiati della pittura metafisica di de Chirico accanto alla coppia di cani da pastore sezionati che circondano un pulcino, anch’esso sezionato e dello stesso colore giallastro dei loro corpi. È uno strano dialogo interspecie. E poi c’è «Comedian», la controversa banana attaccata al muro. Da sola in una stanza, orgogliosa e stoica allo stesso tempo, fa eco alla storica scultura di Giuseppe Penone, presentata in un’altra sala vicina, in cui una lattuga è sostenuta tra due blocchi di granito da un filo di rame. L’imponente tavolo rotondo di Chen Zhen con le sedie incastrate nella sua circonferenza e sospese sul pavimento è affiancato da una delle opere più recenti di Cattelan, il pannello dorato e riflettente le cui ondulazioni scultoree sono state create da colpi di pistola.

La metafora delle conversazioni sospese tra le Nazioni è associata al silenzio imposto dalla violenta avidità della guerra. Questi paesaggi di opere e proiezioni fantasmatiche sono abitati dal personaggio di un bambino che percorre il museo sul suo triciclo. È «Charlie», una scultura meccanica azionata a distanza che personifica lo stesso Cattelan e sembra chiedersi «che cosa ci fa un bambino come me in un posto come questo?». Sebbene nella selezione non vi sia parità di genere, di tanto in tanto compaiono sculture inquietanti di grandi artiste, come quella di Dorothea Tanning «De quel amour», del 1970, una figura di stoffa, metallo e pelle, la cui forma ambigua, tra corpo e fallo, pulsa di un pathos avvolgente. Ci sono disegni sconvolgenti come quelli di Niki de Saint Phalle (solo uno, sulla madre) o quelli di Sandra Vásquez de la Horra (oltre 60 opere telluriche con visioni della santería, detti popolari, ricordi e leggende di vari miti e religioni). Ci sono acquerelli e guazzi o acrilici su carta di Rosemarie Trockel; fotografie poeticamente messe in scena di Birgit Jürgenssen o duramente documentarie come quelle di Diane Arbus. E lasciano un segno indelebile i dipinti radicali di Miriam Cahn sulla brutalità dell’uomo sull’uomo.

Sono presenti anche i testi delle detenute del carcere della Giudecca («Casa di reclusione femminile» nella sua denominazione ufficiale) di Venezia, creati appositamente per questa mostra. Sono raccolti in un libro le cui copie sono state disposte sulle panchine delle diverse sale. Erano così belli e così liberi che il giorno dell’inaugurazione sono scomparsi, forse nelle borse di qualche vip. Questi testi seguono la sequenza classica dell’alfabeto e danno continuità alla collaborazione che Chiara Parisi ha iniziato con le detenute nell’indimenticabile Padiglione Vaticano della Biennale di Venezia del 2024. Lì Maurizio Cattelan presentò il gigantesco e forse un po’ rozzo dipinto murale dei piedi di suo padre, che rimandavano a quelli del Cristo di Andrea Mantegna. Ora, quegli stessi piedi, sempre in formato gigante, sono delicatamente ricreati a grafite su carta. E ridisegnano quella linea segreta che collega il passato e il presente. Cattelan dice che l’originalità non è altro che una continuità, un’evoluzione per costruire su ciò che è già stato creato. Cercando di portarlo, direi, un po’ più lontano da ciò che è già stato fatto. Circuiti rizomatici, ideologici, estetici o di qualsiasi altro tipo sono benvenuti affinché l’intelligenza faccia, come fa questa mostra, attenuare la noia per il manierismo contemporaneo e l’intensità dell’arte più vera e audace renda indimenticabile una domenica senza fine.

«Dimanche sans fin. Maurizio Cattelan et la collection du Centre Pompidou», a cura di Maurizio Cattelan e Chiara Parisi, Metz, Centre Pompidou-Metz, 8 maggio 2025-2 febbraio 2027

Rosa Martínez, scrittrice e curatrice, è attualmente direttrice artistica della Biennale di Malta 2026

Rosa Martínez, 15 giugno 2025 | © Riproduzione riservata

Con Cattelan è sempre domenica | Rosa Martínez

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