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Come a Venezia: outsider e usato sicuro

Documenta imita la Biennale e richiama in servizio la vecchia guardia. La politica e il passato si rivelano le ossessioni del presente

Per comprendere l’idea che sta alla base di ogni edizione di Documenta, di solito i visitatori si dirigono direttamente al Fridericianum. Questo edificio del XVIII secolo, uno dei primi musei al mondo, è il luogo in cui i direttori artistici elaborano la struttura concettuale della fiera. I visitatori di questa 14ma edizione entreranno tuttavia in un Friedericianum trasformato nel Museo di arte contemporanea di Atene (Emst), con highlight dalla collezione del museo greco.

La scelta è in linea con i temi più ampi di Documenta 2014 e si prefigge di attenuare le gerarchie del mondo globale dell’arte, come dichiara il direttore artistico della rassegna Adam Szymczyk. Si tratta di una delle numerose differenze tra l’edizione di quest’anno e il tradizionale modello Documenta, dopo la decisione di aprire una parte della fiera ad Atene ad aprile (fino al 16 luglio, cfr. n. 375, mag. ’17, p. 42), prima di una seconda fase nella sua consueta sede tedesca, dove la mostra si svolge dal 10 giugno al 17 settembre. Per la prima volta in una storia che dura da 60 anni, Documenta ha aperto in un luogo diverso e la sua tradizionale durata di 100 giorni è stata allungata a 163. L’Emst, fondato nel 1997 ma aperto solo lo scorso anno dopo problemi finanziari e burocratici, è la sede centrale della tappa di Atene.

Quando Szymczyk ha concepito Documenta 14 nell’estate del 2013, la Grecia era in piena crisi economica e soffriva le conseguenze di dolorose misure di austerity. Anche se la crisi continua ad attanagliare l’economia e il welfare del Paese, Szymczyk considera Atene un punto di osservazione per una Documenta che mette in guardia dalle «inadeguatezze della democrazia» e sprona i visitatori «a cercare di vedere di nuovo il mondo senza pregiudizi, disimparando e abbandonando il condizionamento della cultura predominante che presuppone la supremazia dell’Occidente».
A testimoniare questo obiettivo è la presenza di molti artisti sconosciuti. Szymczyk (che si sta rivelando allergico alle interviste) ha invitato lo staff curatoriale a spingersi oltre la classica «comfort zone», come la definisce Dieter Roelstraete, un filosofo nello stand curatoriale della rassegna quinquennale. «Proprio come Documenta ha abbandonato la zona sicura di Kassel, così anche a noi è stato suggerito di ampliare il nostro orizzonte»: Hendrik Folkters e Candice Hopkins, due membri dello staff di Documenta, sono andati fino in Mongolia per cercare gli artisti (tra quelli in mostra Ariuntugs Tserenpil e Nomin Bold).

Presenti in forza, tra i circa 140 artisti (nessun italiano) anche i socio-realisti albanesi. A Documenta 14, analogamente alla Biennale di Venezia, abbondano infatti le opere di artisti più che maturi o scomparsi. Molti tra gli artisti più anziani sono donne. Le opere di artiste come Geta Bratescu, Anna Halprin (entrambe presenti anche alla Biennale di Venezia), Beatriz González e Cecilia Vicuña superano in numero quelle dei colleghi più giovani. «È come se dessimo finalmente a queste artiste il giusto riconoscimento, perché molte sono vissute all’ombra degli uomini», aggiunge Roelstraete. Un’opera della settantaquattrenne Marta Minujín sarà uno dei pezzi forti a Kassel: una grande riproduzione dell’Acropoli di Atene, fatta con 100mila libri vietati, campeggia in Friedrichsplatz di fronte al Fridericianum. L’opera è un riallestimento di «El Partenón de los libros prohibidos»», che l’artista realizzò a Buenos Aires nel 1983, poco dopo la caduta del regime dittatoriale argentino.

Non sorprende che una mostra tra i cui temi vi sono la migrazione e la difficile situazione dei rifugiati, si svolga per la prima volta nella zona nord della città di Kassel, dove vivono numerose comunità di immigrati. La fiera occuperà una serie di padiglioni di vetro collocati lungo una strada trafficata, in un magazzino industriale in disuso e nel sito dell’università e di un ex ufficio postale, con un grande spazio centrale, «la Turbine Hall di Kassel in un certo senso», sottolinea Roelstraete (il riferimento è allo spazio della Tate Modern di Londra, Ndr).

Nel centro della città, la Neue Galerie presenta opere di diversi artisti, tra cui Maria Eichhorn e David Schutter, che fanno riferimento all’affaire Cornelius Gurlitt, il collezionista possessore di un autentico tesoro in opere d’arte probabilmente confiscate agli ebrei durante il regime nazista. I curatori speravano di poter esporre tutto il tesoro di Gurlitt, ma per via delle complicazioni legali l’idea è stata abbandonata. I temi dell’espropriazione e della dittatura hanno comunque «una grande eco in tutta la mostra», conclude Roelstraete.

Julia Michalska, 12 giugno 2017 | © Riproduzione riservata

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