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La Corte di Cassazione di Roma che ha recentemente affrontato la tematica delle plusvalenze derivanti dalla vendita di beni da collezione effettuate da privati

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La Corte di Cassazione di Roma che ha recentemente affrontato la tematica delle plusvalenze derivanti dalla vendita di beni da collezione effettuate da privati

Collezionista, speculatore o mercante?

Una proposta di legge delega cerca di fare chiarezza tra i diversi tipi di investimento nell’arte.

Giuseppe Calabi

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In un contesto economico in cui il mercato globale dei pleasure assets è ancora in espansione, la Corte di Cassazione dopo circa dieci anni dall’ultima pronuncia, secondo una recente ordinanza n. 6874 dell’8 marzo 2023 ha confermato la rilevanza della distinzione (elaborata dalla dottrina) tra collezionista, speculatore occasionale e mercante d’arte e quasi contemporaneamente la proposta di legge, approvata dal Consiglio dei ministri il 16 marzo 2023, ha previsto l’introduzione di una disciplina ad hoc in materia. A oggi, il regime fiscale applicabile ai plusvalori derivanti dalla cessione di beni da collezione si caratterizza per l’assenza di una disciplina specifica, lacuna questa parzialmente colmata (con risultati non sempre soddisfacenti) dalla giurisprudenza e dalla prassi dell’amministrazione finanziaria.

Ad esempio, secondo la recente ordinanza della Cassazione possono essere qualificati come collezionisti e quindi non essere soggetti ad alcuna imposizione sulle plusvalenze, soltanto coloro che acquistino le opere «per scopi culturali, con la finalità di incrementare la propria collezione e possedere l’opera, senza l’intento di rivenderla generando una plusvalenza». L’ordinanza prosegue precisando che «l’interesse del collezionista è quindi rivolto non tanto al valore economico della res quanto a quello estetico-culturale, per il piacere che il possedere le opere genera, per l’interesse all’arte, per conoscere gli artisti, per vedere le mostre». Secondo la Cassazione, invece, le plusvalenze realizzate dagli speculatori occasionali e i mercanti d’arte sono assoggettabili a tassazione come redditi diversi (in capo ai primi), ovvero come redditi di impresa (in capo ai secondi), in quanto questi soggetti acquistano beni da collezione al solo fine di rivenderli sul mercato e ritrarne un utile, con la principale differenza che le vendite realizzate dagli speculatori occasionali non rientrano nell’ambito di applicazione dell’Iva per carenza del requisito dell’abitualità.

Nel tracciare le linee di confine tra le figure del collezionista, dello speculatore occasionale e del mercante d’arte, la Corte ha elencato gli elementi su cui fondare la diversa qualificazione, ossia: lo scopo dell’acquisto, la durata del possesso, la frequenza e il numero delle transazioni, le attività finalizzate a facilitare la vendita e l’esame delle motivazioni sottese all’alienazione. Nel caso specifico, la Corte ha concluso che il contribuente fosse qualificabile come mercante d’arte in ragione della rilevanza e della numerosità delle vendite effettuate negli anni, valorizzando altresì la circostanza che in talune interviste e incontri lo stesso si fosse presentato come mercante d’arte.

Se è intuitivo che coloro che sistematicamente comprano e rivendono opere d’arte, con frequenza e ridotti intervalli di tempo possano, a seconda dei casi, essere considerati mercanti d’arte (mascherati da collezionisti) o speculatori occasionali, non è altrettanto chiaro come possa essere individuato lo «scopo culturale» o la mera «finalità di accrescere la propria collezione» o l’interesse «estetico-culturale» che, secondo la Cassazione, dovrebbe guidare l’attività del «mero» collezionista, il quale dovrebbe quindi essere disinteressato al valore economico di ciò che acquista ed essere mosso unicamente dal «piacere» di possedere l’arte e «conoscere gli artisti». A parere di chi scrive, questi criteri sono vaghi e difficilmente dimostrabili. E come si può provare di avere acquistato solo per soddisfare un interesse estetico-culturale e non un altro più prosaico interesse, ad esempio quello di diversificare il proprio patrimonio prevalentemente investito in immobili e strumenti finanziari, con una asset class alternativa?

Per rispondere a detto interrogativo, la recente proposta di legge delega di riforma fiscale, varata dal Governo, prevede l’introduzione di norme a disciplina della materia. In passato, l’articolo 76 del Dpr 597/1973 (abrogato a seguito dell’introduzione del testo unico delle imposte sui redditi del 1986) prevedeva l’assoggettabilità a tassazione delle plusvalenze di natura «speculativa», ponendo una presunzione assoluta dell’intento speculativo ogni volta in cui fosse trascorso, tra il momento d’acquisto dell’opera d’arte e quello della rivendita, un periodo di tempo inferiore a due anni. La proposta di legge delega (prendendo spunto da quanto previsto in passato) propone di escludere da imposizione i casi in cui è assente l’intento speculativo, comprese le operazioni relative a beni acquisiti per successione e donazione (le quali dovrebbero quindi essere considerate come non speculative ipso iure).

Si auspica che il Governo (nei 24 mesi previsti per l’attuazione della delega fiscale) non faccia riferimento al criterio vago e arbitrario, valorizzato in giurisprudenza, dell’aspetto esclusivamente culturale e volto a soddisfare un piacere estetico che dovrebbe caratterizzare il collezionista «puro». Sarebbe invece preferibile, prendendo come esempio la normativa fiscale di altri Paesi europei o il regime fiscale italiano delle plusvalenze immobiliari, che venissero considerati indici oggettivi, come ad esempio la durata del possesso del bene dalla sua vendita e, come già attualmente previsto dalla delega fiscale, l’acquisto del bene mortis causa o per donazione. Infine, la bozza di legge delega è da salutare con favore per quanto previsto in materia di Iva. L’articolo 7 della proposta, infatti, prevede di ridurre l’Iva all’importazione di opere d’arte, recependo la Direttiva europea del 5 aprile 2022 (2022/542/Ue) ed estendendo l’aliquota ridotta anche alle cessioni di oggetti d’arte, antiquariato e da collezione.

Come noto, il regime Iva applicabile in Italia alle importazioni, ovvero alle cessioni di opere d’arte, risulta particolarmente svantaggioso se paragonato con gli altri mercati europei. In Italia, infatti, l’importazione di opere d’arte è soggetta a Iva nella misura del 10% e la vendita di opere d’arte è generalmente all’aliquota del 22% (eccezion fatta per le vendite di opere d’arte effettuate direttamente dagli artisti, tassate al 10%). All’estero, invece, a simili operazioni è riservato un trattamento Iva più mite. Si pensi, ad esempio, che in Francia l’Iva sull’importazione di opere d’arte è applicata nella misura del 5,5%, mentre l’Iva sulle cessioni di detti beni è applicata al 10%. È evidente che il principio posto dalla proposta di legge delega potrebbe avere effetti benefici sull’intero settore del mercato dell’arte, soprattutto se, come dichiarato dal sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi, sia le importazioni, che le cessioni di oggetti d’arte verranno assoggettate a Iva nella misura del 5,5% (senza però la possibilità per le gallerie d’arte di optare per l’applicazione del regime del margine in caso di applicazione dell’Iva in misura ridotta, come disposto dalla citata Direttiva n. 2022/542/Ue).

Giuseppe Calabi, 02 agosto 2023 | © Riproduzione riservata

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