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Olga Gambari
Leggi i suoi articoliCinque anni fa l’Archivio Alinari veniva acquistato dalla Regione Toscana per 15 milioni di euro e trasformato nella Fondazione Alinari, con la presidenza affidata a Giorgio Van Straten. Anni di lavoro intenso, dedicati a rendere patrimonio pubblico una straordinaria raccolta unica al mondo, la più antica, nata a metà Ottocento a Firenze dall’intraprendenza dei tre fratelli Alinari che avevano come obiettivo la documentazione dei beni culturali. Uno sguardo che poi si ampliò verso il paesaggio urbano e naturale, dando vita a un’incredibile narrazione italiana, una miniera di meraviglie e scoperte, tra cultura, scienza e società, dai confini che appaiono infiniti ogni volta che ci si immerge. Una collezione di 5 milioni di immagini, di libri e strumenti fotografici, una storia comune che la Fondazione continua a esplorare, riportare alla luce e condividere con impegno, come un bene inestimabile e una grande risorsa per la cultura internazionale.
«Questo quinquennio è stato praticamente l’avvio di una start up dove si è trattato di mettere in piedi tutto, di fare i conti con un passaggio fondamentale da una proprietà privata a una pubblica, in cui è diventato centrale il tema della conservazione e della valorizzazione», racconta Giorgio Van Straten, che è arrivato alla direzione della Faf (Fondazione Alinari per la Fotografia) con una grande esperienza nella gestione culturale in ambiti diversi. Scrittore e traduttore, infatti, ha ricoperto ruoli di management in istituzioni italiane, per esempio come sovrintendente del Maggio Fiorentino, presidente dell’Azienda Palaexpo di Roma, membro del Cda della Biennale di Venezia e della Rai, direttore dell’Istituto di Cultura di New York.
«Un punto centrale è stato quello di conoscere meglio gli archivi, soprattutto nel settore dei negativi. Abbiamo fatto il censimento di fondi, archivi e collezioni che conserviamo (150 in tutto), una ricognizione ora consultabile on line, dove per ognuno si specifica provenienza, consistenza e datazione. Parallelamente abbiamo iniziato varie campagne di conservazione degli oggetti, per esempio gli apparecchi fotografici, dove soprattutto quelli in legno avevano bisogno di protezione particolare», aggiunge. Grande attenzione è stata anche rivolta al fondo delle fotografie uniche, cioè quelle precedenti all’invenzione del negativo, di cui la Fondazione possiede una delle collezioni più importanti al mondo, con 3 mila pezzi che sono stati digitalizzati e riposti in custodie.

Fratelli Alinari, «Torso Gaddi (Galleria degli Uffizi, Firenze)», 1880 ca, Archivi Alinari, Firenze
Entro il 2026, poi, si concluderà un enorme progetto, finanziato con il Pnrr, dedicato alla digitalizzazione della lastroteca storica, 80 mila elementi, al cui interno è racchiusa una raccolta eccezionale costituita da 170 lastre fuori formato, che arrivano fino alle dimensioni di 1x1,20 metri, molte delle quali si trovavano ancora dentro alle buste sigillate ottocentesche. «Quando gli Alinari iniziano a produrle, inventano un modo ancora oggi rimasto segreto. Allora non esistevano gli ingranditori e le stampe venivano realizzate per contatto. La loro ambizione era di fare lastre che potessero permettere una riproduzione dei dipinti in scala 1:1, anche se poi l’idea arrivò a comprendere la statuaria e il paesaggio. Era un’invenzione straordinaria quanto complessa, infatti non veniva fatta con macchine fotografiche. A oggi abbiamo trovato un solo caso simile a Sidney, dove a metà Ottocento la cima di una torre venne trasformata in una sorta di macchina fotografica con cui avevano realizzato un’enorme riproduzione del porto in tre parti. Gli Alinari andavano orgogliosi di questo metodo d’avanguardia, era un enorme biglietto da visita nelle fiere e alle esposizioni internazionali, perché costituiva un grande avanzamento tecnologico».
Un’altra linea strategica nella visione della Fondazione è stata quella di togliere una certa patina polverosa e cristallizzata all’idea dell’archivio. «Oltre all’immaginario che il nome Alinari evoca subito, cioè le foto del centro di Firenze virate seppia prima dell’abbattimento del vecchio ghetto, c’è molto di più: sono stati una grande struttura industriale e di avanguardia sia nel modo di produrre sia nel modo di commerciare le immagini». La storia dell’arte nel mondo, infatti, per decine di anni si è studiata sulle fotografie Alinari, immagini che hanno codificato e influenzato la critica e la percezione stessa dell’arte, andando anche a formare un certo gusto comune.
La scelta è stata di ricreare una comunicazione tra cultura del passato e quella contemporanea che togliesse questa patina, per esempio con alcune mostre. Una ha messo in dialogo le fotografie dell’archivio con 10 giovani fotografe contemporanee al Forte Belvedere di Firenze, in un’altra a Camera-Centro Italiano per la Fotografia di Torino l’archivio è stato d’ispirazione per giovani artisti, mentre un progetto al Museo del 900 di Firenze ha comparato le fotografie di Robert Mapplethorpe (1946-89) con gli scatti di Wilhelm von Gloeden (1856-1931) e con alcune immagini della statuaria dei Fratelli Alinari.
A fianco di molte soddisfazioni, rimane aperto il grande problema della sede della Fondazione. Mentre gli uffici sono ospitati a Villa Fabricotti, «gli archivi sono custoditi da Art Defender a Calenzano, un enorme magazzino specializzato nella conservazione delle opere d’arte dove però risulta faticoso e limitativo lavorare, visto che i materiali si trovano ancora nelle scatole del trasloco». Dopo lunghi studi e ipotesi è stata identificata come sede per il museo, la biblioteca, la fototeca e una parte degli archivi, uno degli edifici del complesso di Santa Maria Novella a Firenze, che potrebbe essere realisticamente attiva alla fine del 2027. Per un’altra parte degli archivi, invece, quelli meno attinenti all’identità storica Alinari e più recenti, per esempio la parte di fotogiornalismo, con un milione di pezzi dell’archivio romano Tim, o la fotografia di documentazione come quella dell’Archivio di Folco Quilici è stata, invece, ipotizzata come sede il complesso che una volta ospitava le Terme Excelsior a Montecatini. «Un archivio storico racconta un paese e raccontare la storia del paese è utile per il presente e per il futuro».

Wilhelm von Gloeden, «Hypnos» (Taormina), 1907-08 ca, Archivi Alinari, Firenze, Archivio von Gloeden
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