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Arabella Cifani
Leggi i suoi articoliLa curiosità verso la Cina è in realtà assai antica, data molto prima di Marco Polo e risale fino all’impero romano. Ma fu nel Seicento e soprattutto nel Settecento che l’Europa, con il crescere degli scambi commerciali con l’Oriente, vide esplodere il gusto per le «chinoiserie», caratterizzato dall’utilizzo di figure ispirate a una Cina rivisitata secondo l’immaginario dell’epoca.
Le porcellane e le lacche furono fra i primi oggetti di desiderio all’interno di importanti scambi culturali tra Occidente e Oriente. In Europa le chinoiserie vennero applicate in molti settori: tappeti, piatti, vasi, dipinti, ricami, tende, decorazioni parietali e su legno, sculture, anche in alcuni giardini vennero ricreati paesaggi naturali cinesi.
È difficile oggi visitare un palazzo storico europeo di livello senza trovarci dentro cineserie: dall’Inghilterra alla Francia, all’Italia alla Germania ai Paesi dell’Est. Le chinoiserie si unirono infatti con il gusto internazionale del Rococò in un matrimonio perfetto creando uno stile raffinatissimo e nuovo. Ovviamente i libri sui costumi e usi cinesi si moltiplicarono e furono spesso arricchiti da incisioni di grandi artisti che illustravano quel magico e misterioso mondo che a noi europei pareva ornato di tutti gli incanti.
Su ordine del ministro francese Henri Bertin, supervisore della Compagnia delle Indie Orientali sotto Luigi XV, appassionato cultore di arte e letteratura orientale, due preti cattolici cinesi, Aloys Ko e Etienne Yang, si recarono in Francia e per undici anni compilarono una raccolta illustrata destinata a far conoscere in Europa la Cina e i sui costumi durante il regno dell’imperatore Qianlong (1736-95).
Le loro immagini riguardano l’intera gamma della società cinese. Mostrano consuetudini militari, cerimoniali e tradizionali, armi, mezzi di trasporto, arti e mestieri, strumenti, giocattoli e altri oggetti della vita quotidiana, ma anche mezzi di punizione ed esecuzione. I disegni rimasero inediti fino a che Jean-Baptiste Joseph Breton pubblicò a Parigi La Chine en miniature, un meraviglioso compendio sulla Cina in sei piccoli ma curatissimi volumi stampati fra il 1811 e il 1812. La maggior parte delle tavole si basava su disegni originali della collezione privata di Bertin. Le 109 tavole dei volumi furono splendidamente colorate da un raffinato acquarellista.
Il compianto editore Franco Maria Ricci aveva avviato la ripubblicazione di questi rarissimi volumi (i testi originali sul mercato antiquario valgono migliaia di euro); vi ha lavorato fino a poco prima della sua scomparsa nel settembre 2020. Ne è derivato un incantevole libro, appena edito. Il volume è introdotto da due testi, il primo in inglese, il secondo in italiano.
Il saggio di Hwee Lie Blehaut, storica dell’arte cinese, racconta il clima storico e culturale in cui si sviluppò l’idea della Chine en miniature, mentre il testo di Giorgio Antei propone un focus sulla visione dello straniero nella cultura occidentale e in quella cinese, a partire dai tentativi di evangelizzazione portati avanti soprattutto dai gesuiti. Il libro ripropone tutte le tavole a colori e le descrizioni in lingua francese.
Sfogliare questo albo figurato e coloratissimo è un piacevole diletto, poiché in ogni pagina gli acquerelli settecenteschi descrivono curiosi ed eleganti costumi, fiori, omini e dame intenti alle più svariate attività. In ogni incisione è evidente l’influsso dell’arte occidentale che i due preti cinesi, autori dei prototipi iconografici, poterono assorbire durante la permanenza in Francia: vi sono dettagli che non possono far parte dell’equipaggiamento artistico dell’arte cinese, a cominciare dall’uso della prospettiva. Le illustrazioni sono piene della grazia civettuola di un salotto parigino ancien régime.
La Chine en miniature,
di Giorgio Antei, Hwee Lie Blehaut, J.B. Joseph Breton, 200 pp., 187 tavv. col.,Franco Maria Ricci, Milano 2021, € 80

Burlone vestito da donna che sembra far navigare una barca a terra
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