Redazione GdA
Leggi i suoi articoliÈ diffusa su cinque sedi la mostra «La materia parla. Sculture d’autore in dialogo con la città», che dal 3 novembre la città di Chieri propone a coloro che affollano il weekend dell’arte torinese, complici le numerose fiere ed eventi di inizio mese (fino al 7 gennaio 2024). La Cappella di San Filippo Neri, la Cappella dell’Ospizio di Carità (Giovanni XXIII) e l’Imbiancheria del Vajro, a cui si aggiungono i sagrati della chiesa di San Bernardino e di San Filippo, accolgono le opere di artisti che dalla fine degli anni Ottanta ai giorni nostri hanno sviluppato originali ricerche, in ambito plastico, utilizzando i materiali più disparati.
Nel gruppo dei 18 autori selezionati, emergono due presenze «fuori tempo» rispetto al periodo preso in considerazione, Umberto Mastroianni (Fontana Liri, 1910-Marino, 1998), con l’opera di matrice informale «Ritmo frenetico», un bronzo del 1965 collocato nel giardino antistante l’Imbiancheria del Vajro, e Maria Lai (Ulassai, 1919-Cardedu, 2013), con il bronzo «Presepio» (1956) dalla raffigurazione semplificata e geometrizzate, esposto nella Cappella del Giovanni XXIII, a segnare un’ideale introduzione alle sperimentazioni più ardite del percorso.
I lavori degli altri artisti, Salvatore Astore, Stefano Bonzano, Domenico Borrelli, Umberto Cavenago, Giacinto Cerone, Carlo D’Oria, Piero Fogliati, Theo Gallino, Gabriele Garbolino Rù, Paolo Grassino, Marco Mazzucconi, Aldo Mondino, Diana Orving, Carlo Pasini, Antonio Riello e Silvano Tessarollo, sono allestiti senza alcun filo tematico se non quello dell’originale utilizzo della sostanza del loro fare creativo per raggiungere risultati talora dall’inaspettata tensione e drammaticità.
Chi con il bronzo, chi con il marmo ma anche con il legno, la cera, la resina, il cemento, la plastica, leghe variamente composte, acciaio, ferro, spugna, gesso, juta ecc., ha coniugato espressione formale e contenuto in opere che oggi risultano, a seconda delle circostanze espositive, variamente classificabili. Che si tratti di installazioni site specific o sculture in senso più stretto non è rilevante quanto l’approccio alla base del modus operandi.
«L’artista è andato ad assumere atteggiamenti sempre più radicali nei confronti della materia: talora si piega alle sue forze interne condizionando forme e superfici delle opere, talora gioca con le sue caratteristiche intrinseche praticando differenti aggregazioni e giustapposizioni, talvolta ne stravolge la natura provocando interessanti slittamenti di senso e spiazzamenti percettivi», afferma Monica Trigona, curatrice della collettiva.
All’Imbiancheria spicca una stanza dedicata a Piero Fogliati (di cui in questi giorni è visibile una personale nella fiera torinese Flashback). Quest’ultimo (Canelli, 1930-Torino, 2016), utilizzando svariati mezzi tecnologici, ha sollecitano i meccanismi umani della percezione dando alla scienza uno sbocco, per così dire, alternativo. I lavori dal sibillino titolo «Latomia», realizzati in alpacca alla fine anni Ottanta, si inseriscono in un incessante sforzo di trasmutare in pratica artistica la percezione di fenomeni fisici.
Tra le altre stupisce l’opera di Diana Orving, la più giovane del gruppo e l’unica presenza non italiana, alla Cappella del Giovanni XXIII per il forte impatto visivo. «Sospesa nella volta, la sua scultura tessile di juta riciclata, che ricorda una placenta e di conseguenza il legame tra madre e figlio, omaggia la ricerca di Lai, richiamandone i celebri lavori tessili», chiosa la curatrice.
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