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Chi è Symes?

Federico Castelli Gattinara

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La vita glamour di un protagonista della «grande razzia»

Una figura da romanzo quella di Robin Symes, con Christo Michaelidis, compagno di vita e di affari, coppia glamour del commercio di antichità per una trentina d’anni, l’età della «Grande Razzia» del nostro sottosuolo, che si apre simbolicamente nel 1971 con il rinvenimento a Cerveteri del «Cratere di Eufronio» con la Morte di Sarpedonte, comprato dal Metropolitan Museum di New York per la cifra allora favolosa di un milione di dollari e rientrato in Italia a inizio 2008 (cfr. n. 272, gen. ’08, p. 52). Una razzia impressionante per volume di affari e persone coinvolte, in un vortice di tombaroli, antiquari, collezionisti, case d’asta e musei di tutto il mondo, americani in particolare, descritta nel dettaglio in due volumi, The Medici Conspiracy di Peter Watson e Cecilia Todeschini (2006) e I predatori dell’arte perduta. Il saccheggio dell’archeologia in Italia di Fabio Isman (2009) e oggetto di numerosi articoli del nostro giornale.

Symes con il compagno Michaelidis

Symes, tra i maggiori antiquari al mondo, accumulò una fortuna insieme al suo socio, con case a Londra, New York, Atene e Schinoussa, piccola isola delle Cicladi. Watson e Todeschini raccontano che era lui a trovare gli oggetti e i compratori, mentre Michaelidis si occupava dell’aspetto finanziario del loro fiorente commercio. Negli anni d’oro, conducevano una vita da super ricchi: «Gstaad a febbraio; Bahamas a marzo; la clinica spa Prairie in Svizzera per il check-up di primavera; Londra a giugno; Grecia in estate; New York a novembre per le vendite. Uno stile di vita quasi perfetto». E ancora una Rolls Royce e una Bentley, un Rolex fatto a mano degli anni ’50, orologi e gemelli Cartier, l’arredamento Decó della loro casa londinese a Chelsea firmato da Eileen Gray e così via.

Ma Symes, che oggi ha 77 anni, è soprattutto una delle figure centrali di quella terribile stagione predatoria, con decine di migliaia di reperti che transitano per le sue mani, compresi grandi capolavori. Ne ricordiamo alcuni tra i più celebri: la cosiddetta Venere di Morgantina, comprata nel 1988 per 18 milioni di dollari e restituita all’Italia nel 2011 dal Getty (cfr. n. 310, giu. ’11, p. 7), che alla Sicilia ha riconsegnato altre opere scavate dallo stesso sito, passate per Symes e finite nelle sue collezioni; gli acroliti di Demetra e Kore nel 2009 e la «testa di Ade» lo scorso gennaio; il trapezophoros dipinto con due grifoni che sbranano una cerva, pezzo unico al mondo, scavato tra 1976 e 1978 in una tomba ad Ascoli Satriano, in provincia di Foggia, acquistato nel 1985 per 5,5 milioni di dollari sempre dal Getty e restituito nel 2007; il volto d’avorio, il più grande e meglio conservato reperto delle rarissime statue crisoelefantine, scoperto dal «re dei tombaroli» (così lo definì il «Wall Street Journal») Pietro Casasanta vicino ad Anguillara Sabazia, a nord di Roma, e riconsegnato nel 2003 sia perché ormai il pezzo era «bruciato» dalla notorietà, sia perché il mercante sperava in tal modo di alleggerire la sua posizione nei confronti della giustizia italiana. 

Symes in quegli anni è attivissimo, a capo di un giro di società tra cui la Xoilan Trader Inc. con sede a Ginevra, casualmente allo stesso indirizzo dell’Edition Service di Giacomo Medici, altro mercante d’antichità condannato a 10 anni in primo grado e a 8 in appello (la Cassazione ha respinto il ricorso), con 10 milioni di euro di provvisionale allo Stato (cfr. n. 299, giu. ’10, p. 58).

Tutto cambia nel 1999 quando Christo Michaelidis muore cadendo dalle scale e battendo la testa contro un termosifone nella villa affittata in Umbria da Leon Levy e Shelby White, grandi collezionisti americani, dove «i Symes» sono ospiti. I rapporti tra Robin e la famiglia di Christo, dapprima buoni, presto si guastano. Il compagno viene declassato a «dipendente», per non dover nulla alla famiglia, che gli fa causa e la vince dimostrando che i capitali iniziali dell’attività provenivano dalla famiglia stessa. La discesa è rapida, i Michaelidis rivendicano la metà del suoi beni, che vengono congelati, e si scopre che i magazzini a lui riferibili non sono cinque, come dichiarato, ma 33, con 17mila pezzi per un valore di 125 milioni di sterline (160 milioni di euro). Nel 2003 fa bancarotta, nel 2005 finisce in carcere, dove sconta solo 9 mesi dei 2 anni di condanna. Tutto passa nelle mani della Bdo, la società incaricata di liquidare i beni della Robin Symes Ltd.

Nel 2007 un accordo riservato con il Mibact permette al nostro personale archeologico di analizzare la collezione e 700 reperti, soprattutto etruschi, vengono individuati come autentici, scavati in Italia ed esportati illegalmente. Ma, scrive Fabio Isman, i curatori non li restituiscono, anzi: prima propongono al nostro Paese di acquistarli, poi ne mettono alcuni all’asta da Bonhams e solo in extremis le autorità italiane ne ottengono il ritiro dalla vendita. Seguono altri tentativi di cessione, il fisco britannico creditore di Symes rivuole i suoi soldi, si moltiplicano voci di tentativi con il Medio Oriente, l’avvocato di Stato Maurizio Fiorilli, «monument man» in prima linea in questa battaglia, tenta di tutto per farsi restituire gli oggetti. Non ottenendo risultati a inizio 2014 l’Italia manda una diffida ufficiale alla Bdo, poi una richiesta di risarcimento per danni allo Stato.

L’epilogo si preannuncia positivo, la Bdo «finalmente capisce che non può rimanere inerte all’infinito, rivela l’avvocato di Stato Lorenzo D’Ascia che sostituisce Fiorilli ora in pensione, smette il muro contro muro, si mostra più flessibile e piano piano si sta arrivando a un accordo, che ci auguriamo di chiudere entro l’anno». Trattativa top secret ovviamente, nulla trapela sui pezzi che rientreranno, si sa solo che c’è stato un ulteriore approfondimento per individuare i reperti di sicura provenienza italiana.

Federico Castelli Gattinara, 03 marzo 2016 | © Riproduzione riservata

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