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Che cosa si è lasciato scappare, finora, il nostro sistema restrittivo?

Che cosa si è lasciato scappare, finora, il nostro sistema restrittivo?

Maurizio Badiani

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Ho troppa stima per il professor Tomaso Montanari, per la sua cultura e la sua intelligenza, per accontentarmi dei contenuti che esprime in un breve articolo («I venditori occulti», «la Repubblica», 4 aprile). Che il nostro patrimonio culturale vada protetto credo che sia un fatto incontestabile. Che il vigente regime che regola l’import e l’export dei beni d’arte vada rivisto e allineato il più possibile almeno a quello degli altri Paesi europei, penso sia un fatto altrettanto inconfutabile.


L’esistenza di regole e regimi diversi, infatti, fa sì che il mercato globale dell’arte si orienti sempre altrove e scarti a piè pari il nostro Paese. La perdita economica è evidente. Nel giro di pochi anni, complice anche la crisi, un altissimo numero dei nostri antiquari (c’è chi parla di una percentuale superiore al 50%) ha chiuso. Il danno che ne è derivato si è esteso all’indotto: falegnami, lucidatori, doratori, intagliatori, restauratori hanno perso una fetta dei loro già modesti introiti. Ma questo sembra non preoccupare minimamente chi ci amministra.


Dovrebbe far riflettere il fatto che i (pochi) giovani antiquari che ancora credono nella loro professione sono stati costretti a emigrare lontano dal nostro Paese, dalle sue lungaggini, dalle sue leggi eccessivamente restrittive. James Tomilson Hill, un colto e facoltoso collezionista americano di bronzi rinascimentali, ha dichiarato di recente: «Compro ovunque ma non in Italia: ci sono troppi problemi per l’esportazione!». E fuori dai nostri confini esistono schiere di signori Hill che si comportano come lui. Il professor Montanari teme che, se dovesse passare una legge troppo permissiva, il nostro Paese si troverà di fronte a una fuga incontrollata di Caravaggi, Tintoretti e Guidoreni. Ma lo crede davvero? Crede davvero che il nostro Paese conservi ancora così tanti tesori nascosti? Dopo tutte le alienazioni, confische, requisizioni e ruberie che lo hanno segnato nei secoli? Ma ammettiamo pure che da qualche parte, relegato in una soffitta o appeso a una parete ammuffita, si nasconda ancora qualche capolavoro. È proprio sicuro il professor Montanari che i funzionari delle nostre Sovrintendenze abbiano la capacità di riconoscerlo? Io qualche dubbio lo avrei. Che cosa me lo fa pensare? Beh, una serie di episodi.


A partire dall’incredibile caso del Romanino (in assoluto uno dei quadri più belli mai entrati a Brera) che un improvvido «tutore» non si curò di tutelare lasciando così che il capolavoro (già patrimonio dello Stato e, quindi, della collettività tutta, con i cui soldi era stato acquistato) lasciasse il nostro Paese per non farvi più ritorno. Ricorda la vicenda, professore? Immagino proprio di sì. Le risulta per caso che qualcuno per quell’episodio intriso di faciloneria e di imperizia abbia pagato per l’errore fatto? Se sì, me lo faccia sapere. Vogliamo parlare della Collezione Contini Bonacossi? Del modo ignominioso in cui fu condotta tutta la vicenda e di quali capolavori lo Stato lasciò scappare per imperizia, leggerezza, insipienza, indolenza, apatia, mancanza di iniziativa e chi più ne ha più ne metta? Facemmo uscire la «Susanna» di Lotto per poi ricomprarla (a ben più caro prezzo) solo qualche anno dopo. Solo Tafazzi avrebbe saputo fare peggio!


E la vicenda Terruzzi dove la mettiamo? 1.300 opere del ’700 donate dal grande industriale perché fossero concesse al godimento di tutti: che fine hanno fatto? Anche questi episodi, professore, rientrano nella «luminosa storia plurisecolare di tutela» di cui parla nel suo articolo? Converrà che, almeno nei casi che ho citato, forse qualche lume si era spento. Per non farci ulteriormente del male lasciamo perciò gli «esperti» alle loro mancanze e ai loro errori e torniamo al punto di partenza. Forse la legge proposta e di cui si sta discutendo non sarà perfetta, forse sarà eccessivamente liberista, ma anche continuare a far finta che il problema non esista non è cosa degna di un Paese civile. E tanto meno di un Paese che una volta era considerato la «culla del diritto». Occorre prenderne atto: l’attuale legislazione è solo stupidamente restrittiva (se vado all’estero con in tasca un vecchio bignamino rischio di essere incriminato per esportazione clandestina di bene culturale!) e non porta da nessuna parte. O meglio ha già portato, purtroppo, decine di mercanti d’arte sull’orlo del baratro. Dipende ora dal legislatore porgere loro una mano oppure dare loro l’ultima spinta.


Maurizio Badiani, collezionista
 

Maurizio Badiani, 09 maggio 2017 | © Riproduzione riservata

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