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Cecilie Hollberg ritratta assieme al «David» di Michelangelo

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Cecilie Hollberg ritratta assieme al «David» di Michelangelo

Cecilie Hollberg: «Ho protetto il David di Michelangelo dallo sfruttamento»

A giugno la storica dell’arte lascia la direzione della Galleria dell’Accademia di Firenze, dopo essere stata al centro delle polemiche per la sua frase sulla città «meretrice»: «Ho sempre puntato sulla qualità della fruizione, non sulla quantità degli ingressi. Ma siamo comunque sicuramente il museo con più visitatori al metro quadro», spiega

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Laura Lombardi

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La storica dell’arte Cecilie Hollberg (Soltau, Germania, 1967), dal 2015 direttrice della Galleria dell’Accademia di Firenze, terminerà in giugno il suo incarico (il secondo) alla direzione del museo autonomo statale che, tra gli altri capolavori, conserva il «David» di Michelangelo, uno dei grandi feticci della storia dell’arte.

Iniziamo proprio da quella scultura che Michelangelo scolpì come emblema di Firenze repubblicana: lei si è impegnata a preservarne l’immagine da un punto di vista legale. Vuole spiegarci questa sua battaglia contro brand molto noti quali Longchamp, «GQ» (Condé Nast) e altri?
Il mio impegno l’ho dedicato fin dall’inizio alla tutela delle opere d’arte del museo che mi è stato affidato, e ciò comprende la tutela dell’immagine per proteggere icone dell’arte europea, che sono svendute, sfruttate a scopo di lucro. La figura di «David» include significati importanti e variegati che si riferiscono all’identità di questa Nazione e ogni abuso comporta uno svilimento di questo simbolo. Il tema è nuovo dal punto di vista della giurisprudenza, ma l’immagine dell’opera d’arte è protetta dalla Costituzione. La prima vittoria l’ho ottenuta nel novembre 2017 e mi sono appoggiata all’Avvocatura di Stato: un’azione che potevano compiere tutti, ma siamo stati per così dire l’apripista per tutti i beni culturali del Paese. Abbiamo ottenuto molte vittorie e centinaia di migliaia di euro sono così entrate nelle casse del museo. Anche se lo scopo primario era di tutelare il rispetto e la dignità delle opere.

La Galleria dell’Accademia non è però solo il «David». Ritiene di aver raggiunto l’obiettivo di valorizzare la fruizione dell’intero patrimonio del museo?
Assolutamente sì: ne è testimonianza il flusso dei visitatori in ogni sala. Ho sempre puntato sulla qualità della fruizione e non sulla quantità degli ingressi, facendo fuoco sulla conservazione, sulla ricerca scientifica e sulla didattica, cercando di educare i visitatori tramite contenuti espressi in modo intelligente ma semplice e mai banale, in grado di coinvolgere pubblici diversi. Dopo tre anni di importanti lavori abbiamo condotto questo museo nel XXI secolo, rendendolo un luogo attraente, sicuro, accessibile, inclusivo, con una segnaletica molto più chiara, e che dà a ogni opera l’attenzione che le spetta. In questo modo i flussi turistici non sostano più solo sotto il «David». Oltre ai lavori di conservazione, adeguamento degli impianti (tra cui un sofisticato impianto di climatizzazione) abbiamo portato avanti grandi progetti di conservazione e digitalizzazione che hanno riguardato ogni opera del museo; ci sono stati restauri, spolverature, revisioni delle opere. E poi sono state riviste tutte le didascalie. È stato inoltre realizzato il primo repertorio dei dipinti dell’intero museo.
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Quali sono stati i principali riallestimenti?
Tanti… La sala del Colosso che ospita capolavori del Quattro e del Cinquecento è stata completamente riallestita, dopo aver messo in sicurezza il soffitto perché le capriate erano in condizioni molto trasandate e precarie. Ho chiamato a collaborare come esperto Carlo Falciani, abbiamo lavorato su una maquette di cartone che conservo tuttora ed è stato molto efficace e consensuale. Sono state poi completamente riallestite le sale del Duecento e del Trecento, che prima erano solo sale di passaggio, e poi la Gipsoteca di Lorenzo Bartolini che è, nel suo insieme, un’opera d’arte in grado di rivaleggiare per attrattiva con la Tribuna. Un’attenzione particolare è stata riservata alle cromie delle pareti nelle diverse sale, scelte in rapporto alle opere conservate e con colori sostenibili con un effetto di superficie quasi polverosa, molto delicato. Ovviamente non ci sono colori nella Tribuna, dove a dominare è l’architettura, con la luce che filtra dal lucernario. Tra i riallestimenti va ricordato quello della sala degli strumenti a tastiera nel museo che conserva gli strumenti dei granduchi medicei e lorenesi; si tratta di una collezione di proprietà dell’adiacente Conservatorio Luigi Cherubini ma in deposito presso il nostro museo e per questo motivo ho organizzato spesso concerti e altri eventi per valorizzare quel patrimonio.

Qualche settimana fa lei è stata al centro dell’attenzione, anche oltre i confini cittadini, per aver usato in un’intervista sull’«overtourism» la metafora di «una città meretrice»: una dichiarazione molto criticata dal sindaco uscente (e in campagna elettorale), il quale le attribuì la colpa di aver trattato Firenze da «prostituta», ma che le ha portato però anche molte espressioni di solidarietà.
Con quelle parole, comunque estrapolate da un contesto metaforico, io ho solo espresso una preoccupazione profonda per l’amata città di Firenze, preoccupazione peraltro condivisa da moltissime persone, di ogni ambito istituzionale e anche di notevole rilievo culturale. Ho ricevuto centinaia di messaggi, di mail, di lettere e mi hanno addirittura fermata per la strada. Ho usato termini italiani «per lo stato delle cose a Firenze, che furono già impiegati da Dante per l'Italia tutta, con un volgare molto colorito (Purg. VI); e una volta questi versi si imparavano a memoria e a monito nelle nostre scuole», come mi conferma una mail mandatami da un professore.

Certo che le code fuori dal museo sono impressionanti ed essendo via Ricasoli stretta, queste folle hanno forte impatto sulla vita cittadina.
Firenze ha circa 360mile abitanti e viene visitata da 11 milioni di turisti all’anno. So bene che fuori dal museo la situazione è critica, ma non è di mia competenza quanto avviene in coda, l’abusivismo, il bagarinaggio ecc. Io mi devo preoccupare di quanto succede all’interno del museo. Per questo motivo tengo gli ingressi sempre molto al di sotto dei numeri concessi dai Vigili del fuoco. Ma in compenso, per cinque mesi all’anno, dalla primavera all’autunno, ci sono due aperture serali a settimana che allargano considerevolmente l’offerta. Tengo molto al decoro del museo, al quale stiamo infatti rifacendo ora la facciata. Ma il resto purtroppo non dipende da me.

E se dovesse paragonare il suo museo a uno ancor più visitato, come la Galleria degli Uffizi?
Non mi interessa stare sul piano della concorrenza, anche se i numeri, guardando certi report del Ministero, non sono affatto così distanti, considerando i numeri ufficiali Istat pubblicati dal MiC nel 2019 con 2,1 milioni per gli Uffizi mentre la Galleria dell’Accademia (forse 10 volte più piccola) nel 2023 ne ha fatti oltre 2 milioni. Io applico una strategia che punta sulla destagionalizzazione, scegliendo anche di inaugurare grandi mostre durante la bassa stagione. E innumerevoli lunedì, giorno di chiusura, ci sono iniziative per i cittadini che hanno ingresso gratuito, i «dietro le quinte» dei restauri, i concerti, gli incontri con figure del mondo della cultura. Siamo comunque sicuramente il museo con più visitatori al metro quadro.
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Lei ha una formazione da storica. Cosa l’ha avvicinata all’arte e perché scelse di concorrere per la Galleria dell’Accademia?
Io sono una medievista (oltre ad avere una laurea in Scienze politiche), ma lavoro da ventitré anni nei musei. Il mio primo incarico è stato nelle Collezioni statali di Dresda dove è nata la mia passione per questo mestiere. Ho lavorato a grandi mostre a livello europeo e nel 2015 ero già direttore di museo in Germania con un contratto a tempo indeterminato: un posto fisso che ho lasciato per venire a Firenze come direttore alla Galleria dell’Accademia con la riforma Franceschini. Adoro l’Italia, ci ho vissuto da bambina con i miei genitori che mi hanno fatto crescere nel bello e nella cultura. Non potevo quindi resistere a questo incarico, perché mi piace cercare di cambiare le cose in meglio.

Durante il suo incarico, dal 2015 all’agosto del 2019 (interrotto per qualche mese per volontà del ministro Bonisoli) e poi dal febbraio 2020 ad oggi, lei ha acquisito diverse opere.
Diciassette nuove opere hanno arricchito il percorso filologico del museo provenienti da donazioni, confische da parte del Nucleo dei Carabinieri o da acquisti. Alcune di queste opere ci hanno permesso di ricomporre almeno in parte polittici smembrati, come nel caso dell’altare Ardinghelli di Giovanni di Francesco Toscani o la pala d’altare di Mariotto di Nardo. Importante è stato anche l’acquisto presso l’antiquario Fabrizio Moretti alla Biennale di Firenze del «Crocifisso» del Maestro del Crocifisso Corsi ed è proprio l’opera che dà il nome all’ignoto artista del quale avevamo un’altra Croce che era stata trasferita nel 2019 agli Uffizi e quella sala così non funzionava più. L’Associazione degli Amici della Galleria dell’Accademia ci ha donato un marmo di Lorenzo Bartolini del quale avevamo il gesso nella Gipsoteca che ritrae Giovan Battista Niccolini, colui che darà il nome al teatro qui vicino. Per il museo ho invece acquistato, dall’antiquario Carlo Orsi, il busto di Napoleone Bonaparte sempre di Bartolini: una scultura che ritenevo significativa per il museo, perché Bartolini lo ammirava appassionatamente, chiamando persino due figli Gerolamo Napoleone e Paola Napoleona. Era protetto da Elisa Baciocchi (sorella di Napoleone), ma proprio per questo, alla sconfitta di Napoleone, ebbe lo studio distrutto, dovendo ricominciare da zero. Il busto ritrae Napoleone come un giovanotto quasi paffuto, senza insegne di potere, ma emana quel fascino che aveva colpito tanti, tra cui Bartolini stesso.

La mostra più recente, dedicata a Pier Francesco Foschi, riscopre un artista praticamente dimenticato dal grande pubblico. Con quale spirito decide le sue esposizioni?
Le mostre sono sempre nate dalle collezioni. Importante per la città era l’esposizione «Tessuto e ricchezza a Firenze nel Trecento. Lana, seta, pittura». La prima monografica è stata dedicata a Carlo Portelli, poi a Giovanni dal Ponte e infine a Pier Francesco Foschi sul quale il 4 marzo ci sarà qui una giornata internazionale di studi. Ritengo il compito di un museo sia proprio di ristudiare le opere che conserva e avvicinare il pubblico a maestri o argomenti meno noti. Foschi ebbe commissioni importanti specie per la chiesa di Santo Spirito e per la mostra abbiamo promosso vari restauri, tra cui quello di una grande pala proprio in Santo Spirito, sebbene questa non sia stata esposta in mostra a causa delle sue dimensioni. Riscoprire un artista significa valorizzarlo anche al di fuori delle mura del museo e il catalogo della mostra contiene un repertorio generale di tutte le opere da lui dipinte.

Lei ha avuto un forte sostegno dagli Amici della Galleria dell’Accademia. Quali iniziative avete promosse grazie a loro?
L’ho fondata per riconnettere questo museo alla città da cui mi pareva invece svincolato. Ricondurlo alle sue radici, insomma, anche per persone che non vivono più a Firenze ma che hanno ora la Galleria come riferimento, che la curano, la conservano, chiamano amici a visitarla. E questo approccio mi auguro coinvolga cittadini anche di generazioni future. Il sostegno dell’Associazione ha contribuito alle donazioni e a permettere le aperture straordinarie.

Ha progetti dopo la fine di questo mandato? Cosa farà da grande?
Ho tanti progetti e sarò ben lieta di comunicare le mie decisioni in futuro.

Laura Lombardi, 06 marzo 2024 | © Riproduzione riservata

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