Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
Olga Gambari
Leggi i suoi articoliAppaiono sulle pareti, con l’in/consistenza delle visioni. Sono evanescenti eppure con una presenza potente, misteriosa, che inquieta e ipnotizza. Le figure femminili di Monica Carocci (1966) che danzano sui muri della galleria Francesca Antonini (fino al 18 maggio) sono icone antiche e contemporanee insieme, in un gioco circolare di dimensioni, di profondità, dalle quali emergono per poi reimmergersi. Le avvolge un silenzio sacrale, icone di un rito, creature oniriche.
Vediamo silhouettes che danzano, sospese su fili, forse dentro a tendoni di circo, quattro scatti come fossero frames di un film, e poi una Marilyn nera, e una ragazza alla finestra. Altre, invece, sono in metamorfosi con farfalle e insetti (un nuovo ciclo che si ispira alle collezioni entomologiche del Museo di Scienze Naturali di Torino appena riaperto), indossano abiti/corazze di fotografie stampate su tessuto che donano loro una tridimensionalità, in un gioco di scatole cinesi di grande e continua sperimentazione, bellissime ed enigmatiche, evocando echi di antichi Greci ed Egizi, della Valle dell’Indo, ma anche mondi punk e cultura industriale e underground.
Una galleria di ritratti immaginifici di donne che l’artista torinese ha realizzato in momenti diversi nel tempo degli ultimi decenni, dalla fine degli anni Novanta alcune, appena sbocciate altre, molte le opere inedite, mai ancora stampate. Il suo caratteristico bianco e nero contrastato e profondo, denso e opaco, che sembra tinga le dita a sfiorarlo, e la grana sporca di una fotografia che si fa materia pittorica, e anche scultorea nella sua relazione fisica con la carta su cui sono stampate, dal perimetro irregolare, spesso strappato a mano. Pare che stiano bruciando, mentre le guardiamo, in una mutevolezza instabile di estetica e di forma che rende imprendibile la totalità dell’immagine.
Monica Carocci è un’artista che con la fotografia dipinge e scolpisce, una sciamana di apparizioni che sta sulla soglia di uno specchio, con un controllo totale del lavoro che plasma ben oltre alle caratteristiche del mezzo tecnico. Parte dal reale, da alcuni dettagli di paesaggi, di corpi e oggetti, per attuare inversioni di realtà, per con/fondere dimensioni parallele, illusioni ottiche e sogni. Nel testo che accompagna la mostra, dal titolo «La scelta del tempo», la curatrice Paola Ugolini cita Apuleio: «Per vivere proprio come per nuotare, va meglio chi è privo di pesi, perché anche nella tempesta della vita umana le cose leggere servono a sostenere, quelle pesanti a far affondare».

«Pupi» (2011), di Monica Carocci
Altri articoli dell'autore
«Oltre all’immaginario che il nome Alinari evoca subito, cioè le foto del centro di Firenze virate seppia prima dell’abbattimento del vecchio ghetto, c’è molto di più», racconta il direttore Giorgio Van Straten del celebre Archivio acquisito dalla Regione Toscana nel 2020
Con le opere di Rong Bao e Silvia Rosi la sede espositiva all’aria aperta della Pinacoteca Agnelli si arricchisce di quattro nuove installazioni
Ad ottobre, venticinque fotografie in bilico tra realtà e finzione, per un excursus della sua carriera dagli anni Ottanta ai giorni nostri, popoleranno gli spazi di Gallerie d’Italia-Torino
Il programma principale del festival di fotografia comprende anche l’Archivio di Stato, il cortile di Palazzo Carignano e luoghi diffusi in città tra gallerie e spazi culturali