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«Il Mercato Vecchio a Firenze» (prima metà del XVII sec) di Filippo Napoletano

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«Il Mercato Vecchio a Firenze» (prima metà del XVII sec) di Filippo Napoletano

C’era una volta il ghetto ebraico di Firenze

Voluto da Cosimo I de’ Medici, sorgeva nell’attuale Piazza della Repubblica: a Palazzo Pitti una storia di segregazione ma anche di fioritura di un importante microcosmo culturale

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Laura Lombardi

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Arrivando una sera a Firenze, Camillo Boito descrive i ruderi «scuri e sanguinanti» che si contorcevano accanto ai «monumenti del secolo decimo nono impassibili e senza vita, stecchiti ghiacciati e lustri come figure di cera»: l’architetto e scrittore si riferisce alle demolizioni operate verso la fine del secolo per risanare il centro storico, con la costruzione di Piazza della Repubblica, radendo al suolo il mercato vecchio e, tra il 1892 e il 1895, il ghetto ebreo. Proprio il ghetto, voluto da Cosimo I (poco prima di diventare granduca nel 1569) con Carlo Pitti, ingrandito da Cosimo III tra il 1705 e il 1715 (fino a raggiungere 155 appartamenti e 55 botteghe), ma progressivamente abbandonato nell’Ottocento con l’integrazione degli ebrei nella vita cittadina, già iniziata sotto i Lorena, rappresenta un tassello significativo della cultura fiorentina. 

Quella storia di segregazione, ma anche di fioritura di un importante microcosmo umano, culturale e spirituale, è raccontata in modo avvincente nella mostra «Gli ebrei, i Medici e il Ghetto di Firenze. Frammenti di una memoria storica», a cura di Piergabriele Mancuso, Alice S. Legé e Sefy Hendler (The Medici Archive Project), che fino al 28 gennaio 2024 riunisce a Palazzo Pitti documenti (testi sacri, libri di preghiere, contratti di matrimonio), dipinti e arazzi (Bronzino, Volterrano ecc.), sculture, commessi di pietre dure, oreficerie, fotografie. È esposto anche un efficace modello tridimensionale, frutto di un decennio di ricerche condotte dallo Eugene Grant Jewish History Program del The Medici Archive Project, illustrato dal video che scorre sullo sfondo. 

La mostra si apre prima della creazione del ghetto, con la Firenze quattrocentesca di Cosimo il Vecchio e di Lorenzo il Magnifico, in cui già sono manoscritti miniati di commissione ebraica e medicea, in prestito dal Jewish Theological Seminary di New York e da molte biblioteche italiane, quali la «Bibbia Medici» che vedono la collaborazione tra scribi ebraici e miniaturisti cristiani. Seguono poi anni difficili per gli ebrei, legati alle predicazioni di frate Girolamo Savonarola, ricordato dal «Ritratto» di Fra Bartolomeo. L’immagine biblica più forte a Firenze è certamente quella del «David», di cui è esposto un bronzo di derivazione donatelliana dai Musei di Berlino, ma importante anche la figura di San Giuseppe evocata dall’arazzo del «Sogno dei manipoli» (della serie tessuta nelle Fiandre su disegno di Pontormo, Bronzino e Salviati), dove Giuseppe, giovane e bellissimo che nell’Antico Testamento viene nominato a diciassette anni, offriva a Cosimo I un modello di identificazione, avendo lui preso il potere alla stessa età.

C’è però anche la presenza dell’ebreo cattivo, Giuda, il traditore, nel dipinto del Maestro di Marradi e un «Ecce homo» nel quale la figura negativa dell’ebreo comincia ad assumere le fattezze di un nero. In quanto proprietà esclusiva di Cosimo I, il ghetto costituisce un unicum assoluto in termini politici e amministrativi, svelando un aspetto importante della strategia medicea. La mostra permette di scoprire personaggi dell’ebraismo fiorentino quali l’esploratore Moisè Vita Cafsuto (coi suoi strumenti del mestiere) o il pittore ebreo Jona Ostiglio, con una selezione di 7 dipinti di commissione medicea, paesaggi ma anche una notevole natura morta, oltre all’autoritratto di Isaia o David Tedesco, probabile allievo dell’Ostiglio.

Tra gli oggetti più preziosi della mostra, la «Medaglia di Napoleone e del Gran Sinedrio», voluta da Vivant Denon, nella quale Mosé si inginocchia al cospetto dell’imperatore francese porgendogli le Tavole della Legge, a ricordare gli anni in cui Francesco Bartolozzi invia a Napoleone, tramite Elisa Bonaparte, uno studio sullo «stato politico e religioso degli ebrei a Firenze». Acquerelli ottocenteschi ritraggono il ghetto e un corredo fotografico dall’archivio Alinari di autori come Giuseppe Baccani ma anche anonimi ce ne illustrano la distruzione, ma anche l’uso che ne fu fatto poco prima, quando, ormai disabitato, quel quartiere diviene un teatro sempre dell’«altro», con feste di carnevale in costumi orientali e addirittura cammelli in carne e ossa. Infine, un’immagine di piazza della Repubblica, un tempo sede del ghetto, con gli allestimenti per la visita di Hitler nel 1938 e un ricordo di Giorgio Castelfranco, allora direttore di Palazzo Pitti, che dovette, per le leggi razziali, abbandonare il suo incarico.

«Il Mercato Vecchio a Firenze» (prima metà del XVII sec) di Filippo Napoletano

Laura Lombardi, 26 ottobre 2023 | © Riproduzione riservata

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