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Davide Landoni
Leggi i suoi articoliIl mercato dell’arte ha perso la testa. Non ci riferiamo solo alla confusione che un momento di incertezza implica, ma anche alla ragione principale che dopo il fantastico 2022 post Covid (con un fatturato globale del mercato dell’arte di 68,1 milioni) ha portato il sistema a perdere il 4% nel 2023 (65,2 milioni) e il 12% nel 2024 (57,5 milioni di dollari). Con il 2025 che, al momento, non sembra l’anno giusto per invertire la tendenza. La ragione è lampante: da un paio d’anni, non esistono le condizioni per esitare i lotti di prima fascia, quelli milionari, quelli che trainano l’intero sistema. Nel 2024 le opere vendute oltre i 10 milioni sono calate del 44,2%, solo tre hanno superato i 50 milioni. Nel 2023 furono il doppio e quasi il triplo nel 2022. Nel 2025 siamo a zero. Solo Mondrian, il 12 maggio da Christie’s, ha sfiorato la soglia con «Composizione con grande piano rosso, grigio bluastro, giallo, nero e blu» (47,5 milioni di dollari). Ad oggi, è il top lot dell’anno. Poco importa dunque, almeno per i fatturati, che il volume complessivo delle vendite in asta sia cresciuto nell’ultimo anno del 6%, trainato dalla fascia inferiore del mercato (+8% nel segmento più ampio delle vendite inferiori a 50mila dollari), se nel frattempo quelle superiori a 1 milione di dollari sono diminuite di un terzo e quelle sopra ai 10 milioni di quasi la metà rispetto all’anno scorso.
L’unica leva per smuovere un contesto altrimenti timoroso, rinunciatario, ridotto all’inerzia, sembra essere una: la novità. Il 15 maggio, nell’asta che Sotheby’s ha dedicato alle collezioni di Barbara Gladstone, Daniella Luxembourg e Roy Lichtenstein, il 67% delle opere non erano mai passate all’asta. Risultato? 186,1 milioni di dollari totali, +31% rispetto all’appuntamento analogo che la maison ha tenuto a novembre 2024. Opere fresche di artisti consolidati, come «Crazy Nurse» di Richard Prince (4 milioni di dollari) o «Reflections: Art» di Roy Lichtenstein (5,5 milioni di dollari), o anche lavori di autori non certo inediti, ma che ancora non erano entrati nel salotto delle grandi aggiudicazioni. Dunque, soprattutto artiste e artisti nati negli anni ’60-80, oppure artiste moderne di cui si sta tendando una seria rivalutazione. L’idea è chiara: esplorare ambiti artistici dove l’offerta è ancora ampia e la domanda è ingolosita dalla possibilità di anticipare i tempi e mettere le mani sui capolavori di domani. Caso emblematico in tal senso è «Miss January» di Marlene Dumas (1953). Il 24 maggio, venduto da Christie’s New York per 13,65 milioni di dollari, il dipinto è diventato l’opera di un’artista vivente più costoso mai passato all’asta. Alto quasi tre metri, il ritratto rappresenta la figura intera di una donna bionda, nuda dalla vita in giù, con un solo calzino sul piede sinistro, nello stile fumoso ed espressionista dell’autrice. Discorso analogo per Simone Leigh (1967). Con i suoi 3 metri di altezza, la colossale scultura in bronzo «Sentinel IV» è stata aggiudicata per 5,73 milioni di dollari, superando di poco la stima massima di 5,5 milioni. E raddoppiando il precedente record di Leigh.
Negli stessi giorni un dipinto spettrale della surrealista spagnola Remedios Varo (1908-1963), «Revelación (El relojero)», è stato venduto per 6,22 milioni di dollari dalla stessa maison, superando di poco il precedente record. «Endgame» di Dorothea Tanning (1910-2012), una reinterpretazione onirica di una scacchiera, è stata venduta per 2,34 milioni di dollari, superando la stima massima di 1,5 milioni e il precedente record d’asta della pittrice. Sullo stretto contemporaneo, sempre Christie’s ha registrato nuovi record per Louis Fratino («You and Your Things», 756mila dollari), mentre Sotheby’s ha fatto lo stesso con Michael Armitage («Mpeketoni», 2,37 milioni). Senza dimenticare la rara «Double Pedestal Lamp», da oltre vent’anni assente dal mercato, e a maggio nuovo record per Frank Lloyd Wright (7,49 milioni di dollari). Improbabile che stimolare la curiosità dei collezionisti basti a superare tensioni geopolitiche, inflazione incalzante, tassi d’interesse in ascesa e spettri di dazi che minacciano di fiaccare tutti i mercati. In particolare, quello di prima fascia, che qui stiamo prendendo in esame come sineddoche dell’intero sistema. Ma nel frattempo, insieme alla cautela, un po’ di freschezza sta garantendo al meccanismo di continuare a reggere. Certo, se in sala d’asta le palette non ricominciano ad alzarsi con continuità, gli incanti tenderanno ad assomigliare, passando all’ossimoro, a delle private sale pubbliche (tanto che già nel 2024 sono cresciute del 14% rispetto al 2023), con i grandi lotti protetti da garanzie poste anzitempo. Per il resto, lo scenario ci racconta che domanda e offerta si stanno ritrovando in un punto al ribasso, dove sempre più opere vengono aggiudicate a prezzi contenuti. Un salvagente a cui non conviene affidarsi a lungo per non andare incontro a un pericoloso ridimensionamento, ma che momentaneamente permette al corpo-mercato di muoversi anche se la testa ciondola chissà dove.
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