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Nel 2021 le segnalazioni di operazioni sospette di riciclaggio sono aumentate del 23,3% rispetto al 2020 per importi di oltre 47 miliardi

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Nel 2021 le segnalazioni di operazioni sospette di riciclaggio sono aumentate del 23,3% rispetto al 2020 per importi di oltre 47 miliardi

Arte e criminalità. Siamo tutti sorvegliati speciali

Gli obblighi introdotti dalla Quinta direttiva europea sono difficili da gestire per aste e gallerie. Ma per Bankitalia nel 2021 le operazioni «segnalate» sono state 140mila, in crescita del 23,3%

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Elena Correggia

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A distanza di quasi tre anni dall’introduzione degli ultimi aggiornamenti normativi in tema di antiriciclaggio che cosa è cambiato nel mondo dell’arte per contrastare le operazioni illecite e l’infiltrazione di attività criminali? Le più recenti disposizioni in materia, strettamente collegate al mondo dell’arte, risalgono al recepimento della V direttiva europea con l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 125/2019, che ha visto l’ampliamento dei soggetti obbligati. A essere sottoposti agli obblighi antiriciclaggio rientrano anche coloro che commerciano opere d’arte o che agiscono in veste di intermediari delle opere stesse, qualora il valore dell’operazione o di operazioni tra loro collegate sia pari o superiore a 10mila euro.

Inoltre, sono «soggetti obbligati» tutti coloro che agiscono in qualità di intermediari nel commercio di opere d’arte, anche quando questa attività venga svolta da gallerie d’arte o da case d’asta e antiquari; sono in aggiunta obbligati i soggetti che conservano o commerciano opere d’arte ovvero che agiscono da intermediari nel commercio delle stesse, qualora tale attività sia effettuata all’interno di porti franchi e il valore dell’operazione, anche se frazionata, o di operazioni  collegate sia pari o superiore a 10mila euro.

«In merito agli adempimenti richiesti per queste categorie, non sono differenti da quelli previsti per gli altri soggetti obbligati come le banche o i professionisti, spiega Maria Grazia Longoni Palmigiano, avvocato dello studio LCA di Milano che ha di recente organizzato un webinar sul tema. Due sono quelli su cui si fonda l’intero presidio di prevenzione: adeguata verifica dei clienti e segnalazioni di operazioni sospette. Il primo ha come obiettivo, attraverso un approccio denominato “Know Your Customer” (Kyc), di identificare e verificare i soggetti coinvolti nell’operazione in modo così da assegnare loro una determinata profilazione e fascia di rischio.

L’attività di identificazione e verifica avrà altresì quale destinatario il cosiddetto “titolare effettivo”, cioè la persona fisica o le persone fisiche, diverse dal cliente, nel cui interesse, in ultima istanza, l’operazione (ad esempio e quindi, in questo caso, l’acquisto dell’opera d’arte) è realizzata. Tutte queste informazioni poi saranno la base per una corretta valutazione dell’operazione e, quando necessario, serviranno quale fonte per normalizzare un’anomalia o al contrario inviare una segnalazione di operazione sospetta all’Uif (Unità di informazione finanziaria di Bankitalia)
». 
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Proprio da un’analisi dell’Uif è emerso che nel 2021 ci sono state 139.524 segnalazioni di operazioni sospette di riciclaggio, in aumento del 23,3% rispetto all’anno precedente, e per importi totali per oltre 47 miliardi di euro. «È da evidenziare come nel report dell’Uif, e in particolare nella tabella dove sono riportati i dati di ripartizione per tipologia di segnalante, non vi sia menzione di nessuno dei soggetti rientranti nel mondo arte, prosegue Longoni Palmigiano. Questo dato si potrebbe tradurre in una ancora non valida percezione da parte delle gallerie d’arte e degli operatori del settore degli effettivi rischi in cui possono incorrere nel trovarsi coinvolti in operazioni di riciclaggio».

Secondo l’avvocato gli ultimi aggiornamenti normativi hanno al momento prodotto come effetto solo quello di aggiungere dei soggetti a presidio del sistema economico «sano», ma «c’è ancora troppo scarsa consapevolezza tra gli operatori del settore per produrre davvero una riduzione dei traffici illeciti di opere o delle operazioni di riciclaggio di denaro sottese all’acquisto di opere. È importantissimo informare ed è altrettanto importante che le gallerie e tutti i soggetti del mondo arte facciano formazione».

A supporto di ciò esistono gli «indicatori di anomalia», emanati dall’Uif. Questi indicatori hanno il compito di ridurre i margini di incertezza e definire particolari comportamenti anomali a cui prestare attenzione. Tra questi, ad esempio, il valore sproporzionato del bene rispetto alla quotazione di mercato o, ancor più importante, l’assenza di coerenza tra l’operazione e il profilo economico e finanziario del cliente.

Case d’asta: eccessivo carico di lavoro

Unanime però il punto di vista di gallerie e case d’asta, che giudicano le prescrizioni dell’antiriciclaggio un aggravio considerevole di lavoro in un settore già tracciato e sottoposto a numerosi obblighi di comunicazione. «Penso che difficilmente il riciclaggio di denaro passi da un mercato “in chiaro” come quello delle case d’asta: il mandato a vendere con il nome dei committenti viene comunicato in questura prima dell’asta, la vendita poi è pubblica e i pagamenti avvengono tramite bonifico bancario, più trasparenti di così», afferma Sonia Farsetti, dell’omonima casa d’aste e presidente dell’Associazione nazionale delle case d’asta (Anca).

«Da parte nostra c’è comunque stata subito collaborazione per ottemperare con precisione a tutti gli obblighi previsti. Abbiamo incaricato uno studio di professionisti per l’adeguamento della modulistica e per disporre di manuali di supporto, abbiamo organizzato seminari per gli altri associati, anche se poi ciascuna casa d’aste si adegua singolarmente, personalizzando la modulistica in base alle peculiarità della sua attività. Si è trattato di un impegno economico e gestionale non indifferente, avendo dovuto apportare modifiche ai nostri software, formare i dipendenti, gestire informazioni per un flusso di nuovi clienti che con le vendite online arrivano da tutto il mondo e portano un carico di lavoro spesso non programmabile. Il tutto a fronte di un’utilità che temo sia solo parziale, forse come deterrente. Noi raccogliamo tutte le informazioni, le dichiarazioni e i documenti prescritti ma ovviamente non siamo l’Interpol. A ciò si aggiunge il fatto che la V direttiva non è stata recepita da tutti i Paesi europei e quindi questo continua a creare una discrepanza fra un luogo e l’altro».

Anche una realtà globale come Christie’s conferma di aver da tempo assunto le giuste precauzioni per contrastare il rischio di fenomeni di riciclaggio di denaro. «Abbiamo messo a punto un solido programma che comprende un’accurata due diligence sui nostri clienti, sulle transazioni e sulle opere d’arte che trattiamo, dichiara Cristiano De Lorenzo, managing director di Christie’s Italia. Abbiamo inoltre attivato un programma di screening e imponiamo rigorosi limiti di pagamento in contanti.

Formiamo regolarmente il nostro personale per esser certi che i clienti siano monitorati correttamente e che tutti i dipendenti prestino attenzione a comportamenti insoliti o sospetti. Ove necessario, segnaliamo eventuali sospetti alle autorità competenti in conformità alle leggi locali. Per quanto riguarda la V direttiva antiriciclaggio, Christie’s era già a buon punto per raggiungere la piena conformità, avendo già introdotto il suo AML Compliance Programme molti anni fa. In tutti gli uffici di Christie’s nel mondo viene applicato uno standard globale di conformità di antiriciclaggio basato sulle normative vigenti in Gran Bretagna e nell’Unione Europea
».

Gallerie: la disparità normativa ci penalizza

Un aggravio di costi e di ore di lavoro è testimoniato da Andrea Sirio Ortolani, titolare della galleria Osart di Milano e presidente dell’Associazione Nazionale Gallerie d’Arte moderna e contemporanea (Angamc). «Fra il registro per le opere acquisite, quello in conto vendita e quello per l’antiriciclaggio, le incombenze si sono moltiplicate, meglio sarebbe poter far confluire i dati in un unico registro», afferma Ortolani, che auspica anche che la normativa sia adattata alle strutture dei diversi mercati: «Un conto è essere una banca d’investimento con una struttura legale dedicata, un altro invece gestire una galleria di quattro persone.

Dobbiamo verificare l’identità dell’acquirente, intervistarlo ma se si vogliono approfondire le dichiarazioni, ad esempio sulla provenienza dei fondi utilizzati per i pagamenti, è necessario usare software di ricerche dati o affidarsi a fornitori esterni. A livello di mercato italiano la clientela è spesso composta da soggetti ricorrenti, che si conoscono da tempo, ma le cose si complicano quando dobbiamo trattare con un soggetto estero nel cui Paese non ci sono gli stessi obblighi. Pensiamo solo alla Cina, dove diventa difficile svolgere i controlli anche perché i software non leggono neppure i caratteri della lingua cinese. Più in generale la mancanza di un’uniformità normativa internazionale può costituire per noi operatori un ostacolo alla conclusione degli affari
».
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«L’attività di raccolta di informazioni richiesta dagli obblighi della normativa antiriciclaggio è piuttosto gravosa, anche per una galleria strutturata come la nostra che conta cinque sedi in vari Paesi e 40 dipendenti. Di fatto il compito che ci è stato assegnato è come quello delle banche, ma non abbiamo un dipartimento legale interno in grado di svolgerlo e quindi dobbiamo rivolgerci a consulenti esterni aumentando i costi», afferma Pietro Vallone, direttore amministrativo-finanziario della galleria Massimo De Carlo.

«Inoltre, le nostre relazioni sono personalizzate su una platea ridotta di collezionisti e di operazioni importanti, e l’introduzione di obblighi impegnativi risulta particolarmente onerosa per una nicchia come quella delle gallerie, caratterizzata da margini bassi e dimensioni nella media contenute. Ad esempio, se sto per vendere l’opera di un emergente a un collezionista di primo piano o a una fondazione di prestigio che darebbe lustro all’artista e scopro che l’acquirente ha una causa pendente per problemi fiscali, come galleria non ho gli strumenti per fare una valutazione realmente esaustiva e alla fine rimane l’incertezza su come comportarmi».

Secondo Vallone sarebbe auspicabile che gli adempimenti richiesti fossero proporzionati ai volumi delle aziende, dato che con l’aumentare del fatturato di norma sale anche la complessità delle operazioni. «A penalizzarci è poi la mancanza di una disciplina internazionale omogenea, aggiunge. Un tempo alle grandi fiere internazionali come Art Basel eravamo abituati a fatturare all’istante, ora non è più possibile».

«Ma se i clienti europei si sono ormai abituati alle nostre richieste di dati e verifiche, negli Stati Uniti e in Cina, dove non esiste una normativa simile, c’è più resistenza e in un mercato dove non c’è l’esclusiva sugli artisti rischiamo di perdere competitività rispetto alle gallerie locali».

La parola a Sonia Farsetti

La parola a Sirio Ortolani. Cortesia Osart Gallery

Elena Correggia, 05 agosto 2022 | © Riproduzione riservata

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