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Luca Zuccala
Leggi i suoi articoliA due mesi dall’entrata in vigore della nuova tassazione sulla vendita di opere d’arte, che ha portato l’Iva al 5%, parliamo con Andrea Sirio Ortolani di quanto resta da fare per rendere l’Italia un hub di riferimento europeo. Ortolani, 45 anni, è il presidente 2022-26 dell’Angamc, l’Associazione Nazionale Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, nonché proprietario e curatore di Osart Gallery a Milano, fondata nel 2008.
Portata a casa l’Iva migliore d’Europa, qual è il prossimo passo?
L’Iva al 5% è sicuramente un passo storico per il sistema dell’arte e della cultura italiana. Il prossimo passo fondamentale per fare in modo che il mercato dell’arte italiana emerga a livello globale è riuscire a riformare il sistema normativo che regola la circolazione delle opere d’arte.
Quando?
Il settore auspicherebbe una riforma nel più breve tempo possibile, mi auguro entro la fine del mio mandato di presidente di Angamc, il prossimo aprile. C’è una proposta di legge (Pdl), «Italia in scena», che è dedicata proprio alle eccellenze delle arti. Questo sarebbe sicuramente un mezzo normativo perfetto. Questa proposta nasce grazie alla volontà del presidente della Commissione Cultura della Camera Federico Mollicone, uno dei protagonisti dell’abbassamento dell’Iva, di voler migliorare e far crescere il sistema della cultura italiana.
Qual è il modello?
Il modello francese. La Francia sta crescendo in maniera maggiore rispetto al resto del mondo. Ha delle soglie di valore che sono il doppio rispetto a quelle europee, ad esempio 300mila euro per i dipinti. Bisognerebbe innalzare inoltre la soglia temporale a 70 anni. Se questo venisse fatto, si farebbe un salto di qualità notevole.
Che cos’altro manca al sistema italiano per attirare investimenti dall’estero?
Oltre alla circolazione, c’è da lavorare su tre punti: la possibilità di portare in detrazione le opere e i costi di produzione per eventi culturali per le società, l’obbligo di acquisto per i beni soggetti a notifica come avviene in Francia e Inghilterra e, infine, certezza nei tempi e nelle regole.
L’Italia potrà mai diventare un hub di riferimento europeo?
Assolutamente sì, ma devono essere fatte delle altre riforme in maniera urgente per completare un’opera che è stata iniziata con grande lungimiranza dalla politica e dalle istituzioni. E può essere conclusa trionfalmente: incominciando con un processo più snello e semplice nella circolazione delle opere, sempre garantendo la protezione del patrimonio artistico.
Si può già dire qualcosa a due mesi dall’entrata in vigore della nuova tassazione?
Sicuramente ha sbloccato molte trattative che erano ferme da quando erano usciti i primi rumors dell’abbassamento, molti collezionisti erano bloccati dall’Iva al 22%. Non credo ci possano essere effetti immediati finché la situazione politica ed economica mondiale non torna in una situazione di equilibrio, l’incertezza dovuta ai conflitti e ai dazi porta a un immobilismo e una paralisi su qualunque mercato. Questo sta avendo sul mercato dell’arte dei risultati preoccupanti: gli Stati Uniti sono il primo mercato al mondo con circa il 40% delle transazioni a livello globale. L’unico fatto certo è che ad oggi l’Italia, quando ci sarà la ripartenza, può finalmente essere una terra fertile per il futuro. Oggi comprare arte in Italia conviene!
Quanto vale l’industria del mercato dell’arte ora in Italia?
L’indotto per tutta la filiera è di 3,86 miliardi di euro e coinvolge 36mila lavoratori.
E intanto cambiano anche i rapporti di potere, specialmente tra enti fieristici e gallerie…
Il rapporto tra gallerie e fiere, sia a livello italiano che a livello internazionale, sta cambiando in una maniera che auspico da tempo. In passato era fondamentale per le gallerie dover essere presenti a tutti costi anche a fronte di progetti antieconomici. Le gallerie adesso stanno capendo che, considerate tutte le difficoltà che stanno affrontando, devono selezionare le fiere e soprattutto i progetti per raggiungere un equilibrio tra la qualità espositiva e la sostenibilità economica. Penso che sia necessario che le fiere tengano dialoghi continui e costruttivi con le gallerie per capire dove sta andando il mercato in una fase di trasformazione così radicale come quella odierna.
C’è un altro fronte caldo aperto, quello con la Siae, la Società Italiana degli Autori ed Editori. A cosa state lavorando?
La volontà dell’Angamc, che ha instaurato un dialogo costruttivo con la Siae da diversi anni, è trovare una soluzione equilibrata e sostenibile in breve tempo per quanto riguarda il diritto di riproduzione ed il diritto di seguito per le gallerie che lavorano direttamente con gli eredi, le fondazioni e gli archivi degli artisti.
Parlando proprio di Angamc: quali sono gli obiettivi raggiunti e quali le speranze per il futuro?
Sono a fine mandato e considerando quanto è stato fatto finora sono soddisfatto. Grazie al Gruppo Apollo di cui sono vicepresidente e di cui Angamc è parte fondamentale, abbiamo raggiunto l’abbassamento dell’Iva, un obiettivo inseguito da decenni. Per il futuro a breve termine il grande obiettivo è quello di riuscire a rendere il sistema sempre più competitivo attraverso una riforma sulla circolazione delle opere d’arte e un rapporto migliorativo con la Siae. Guardando il medio e lungo termine penso che sia necessario lavorare sull’ArtBonus e su un aiuto concreto per tutte le forme di mecenatismo.
Parlando di gallerie, non possiamo non menzionare la sua Osart a Milano. «Visioni» nel breve e lungo periodo?
Osart ha in programma una mostra su due protagoniste della ricerca «verbo visuale» degli anni ’70 e abbiamo un progetto istituzionale molto suggestivo che coinvolgerà la Galleria e la Panza Collection, con cui collaboriamo da alcuni anni. Sono convinto che a questo punto, per la crescita della galleria, è necessario selezionare in maniera decisa i progetti, che siano mostre o fiere, aumentando la qualità e diminuendo la quantità.
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