«Cucendo la vela», 1896, di Joaquin Sorolla. Fondazione Musei Civici di Venezia

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«Cucendo la vela», 1896, di Joaquin Sorolla. Fondazione Musei Civici di Venezia

Alla National Gallery «quel diavolo» di Sorolla

Per Gabriele Finaldi nessuno ha dipinto la luce del sole del Mediterraneo come il maestro spagnolo

Nella primavera del 1908 una galleria londinese, la Grafton Gallery, pubblicizzava la sua nuova mostra con uno slogan audace, vantandosi di esporre «il più grande pittore vivente del mondo»: Joaquín Sorolla. Lo slogan altisonante, che ignorava bellamente rivali come Matisse, Monet, Cézanne o Picasso, imbarazzò anche il pittore spagnolo. Non vi furono acquirenti per i suoi tetri ritratti ispirati a Velázquez e John Singer Sargent, né per i cupi dipinti sulla piaga della povertà dei lavoratori spagnoli, né per le vedute dove la luce del sole si rifrangeva sull’acqua e donne biancovestite passeggiavano su spiagge dorate. Rimase invenduto anche il suo nudo più seducente, che su uno sfondo di seta rosa ritraeva una donna distesa in una posa presa direttamente dalla Venere di Rokeby.

Quella di oltre un secolo fa è stata la prima e ultima mostra inglese dell’artista spagnolo, prima di «Sorolla. Spanish Master of Light» che la National Gallery gli dedica dal 18 marzo al 7 luglio (da agosto a novembre sarà alla National Gallery of Ireland a Dublino). Joaquín Sorolla Bastida era una celebrità in patria e un eroe a Valencia, la città  in cui era nato nel 1863. Figlio di negozianti morti di colera quando era ancora bambino, era stato cresciuto da uno zio. Il suo talento si manifestò sin da ragazzino, quando lavorava per un fotografo (di cui avrebbe poi sposato la figlia, Clotilde) con il compito di ritoccare i ritratti. Iscrittosi a una scuola d’arte, vinse ben presto premi e borse di studio che gli consentirono di studiare in Italia. Già nel 1900 il Prado aveva acquisito sue opere, e all’Esposizione Universale di Parigi vinse il Grand Prix.

La sua dimora di Madrid, dove si era trasferito, è la riprova di quanto in alto fosse arrivato l’orfanello, figlio di mercanti di stoffe. La villa rivestita di marmi, zeppa di oggetti antichi e immersa in uno splendido giardino (dove nel 1920 Sorolla subì l’emorragia cerebrale che ne interruppe la carriera e che nel 1923 l’avrebbe portata alla morte), fu lasciata in eredità dalla sua vedova con una destinazione museale, insieme a centinaia di tele donate dai tre figli. Da qui arrivano un terzo delle opere esposte alla National Gallery, tra cui teneri ritratti di famiglia ed enormi vedute di spiagge dipinte en plein air, con i granelli di sabbia inglobati nei colori.

Tra i prestatori figurano il Prado di Madrid e il Metropolitan di New York; l’unica opera di Sorolla in una collezione nazionale britannica è un ritratto insolitamente cupo della principessa Beatrice nella National Portrait Gallery. La pronipote di Sorolla, Blanca Pons-Sorolla, consulente della mostra, sta lavorando al primo catalogo completo dell’artista, che ha già superato la soglia dei 4mila dipinti. Sorolla una volta disse che se non avesse potuto dipingere velocemente non avrebbe dipinto affatto. Ma completare grandi tele in poche ore spesso lo lasciava fisicamente ed emotivamente provato. Con un po’ di invidia Giovanni Boldini, in un’occasione lo descrisse come «quel diavolo».

Per il direttore della National Gallery, Gabriele Finaldi, non ci sono dubbi: «Nessuno prima o dopo ha dipinto la luce del sole del Mediterraneo come Sorolla»

«Cucendo la vela», 1896, di Joaquin Sorolla. Fondazione Musei Civici di Venezia

Maev Kennedy, 15 marzo 2019 | © Riproduzione riservata

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Alla National Gallery «quel diavolo» di Sorolla | Maev Kennedy

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