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Ritratto di Nerone in marmo pario (particolare), proveniente dal Palatino a Roma (59-64 d.C.). Roma, Parco archeologico del Colosseo. © Parco archeologico del Colosseo. Foto: Bruno Angeli

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Ritratto di Nerone in marmo pario (particolare), proveniente dal Palatino a Roma (59-64 d.C.). Roma, Parco archeologico del Colosseo. © Parco archeologico del Colosseo. Foto: Bruno Angeli

Alla Domus Aurea, Nerone, Roma e l’Egitto

Nessun pannello esplicativo, attribuzioni che lasciano perplessi e un generale stato conservativo non ottimale, oltre a un catalogo irreperibile

Francesco Tiradritti

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Sono venuto a conoscenza della mostra «L’amato di Iside. Nerone, la Domus Aurea e l’Egitto» quasi per caso, a non più di una settimana dalla sua inaugurazione il 22 giugno. Sono infine riuscito a visitarla un mese dopo prenotando senza problemi online. Il biglietto acquistabile su internet è l’unico modo per accedere sia alla mostra sia alla Domus Aurea e mentre aspettavo di entrare, almeno una decina di ignari visitatori ha dovuto rinunciare alla visita del monumento. Ho anche appurato che tale procedura non serve a contingentare l’affluenza del pubblico, quanto piuttosto a formare gruppi guidati. Non è infatti possibile visitare né la mostra né la Domus Aurea senza essere accompagnati. Sul bancone dello spazio in cui mi hanno fatto accomodare era poggiata una copia del catalogo (artem). Ho chiesto dove avrei potuto acquistarlo. Mi è stato risposto che, finché non avranno termine i lavori di ristrutturazione dell’ingresso, lo si trova soltanto nelle librerie o su internet.

Dopo una decina di minuti arriva una signora trafelata e accaldata che si profonde in scuse. È la nostra guida. Il primo reperto egizio del percorso espositivo è la Iside Donati. Mirabile scultura del Museo Egizio di Torino in cui risulta pienamente esaltata la morbida eleganza dell’arte di Amenofi III (prima metà del XIV secolo a.C.). La guida racconta alcuni fatti salienti sulla vita di Nerone davanti alle teste delle statue in marmo dell’imperatore e di alcuni familiari. Si raggiunge la Sala ottagonale il cui pavimento è attraversato da una linea luminosa che unisce un pannello con la cartina dell’Egitto alla proiezione di una cascata. L’installazione ricorda la spedizione alla ricerca delle sorgenti del Nilo voluta da Nerone. Due spazi dell’ambiente sono dedicati a proiezioni di ricostruzioni virtuali (un po’ datate) dei templi di Dendera e File, dove alcuni lavori di ristrutturazione furono eseguiti all’epoca di Nerone. L’accenno ai due famosi santuari giustifica la presenza dei due capitelli hathorici (la dea Hathor era adorata a Dendera) dal Palatino e della Testa di imperatore romano ritratto come faraone (detta venire da File) del Museo Archeologico Nazionale di Firenze. Lascia perplessi l’attribuzione di questo reperto, visto che la scultura non ha nulla che motivi una «romanità». Magari è scritto nel catalogo dov’è probabile che si trovino anche le ragioni per cui sono qui esposte le statue di Thutmosi I e dei funzionari Qen e Peftjauimen da Torino, quelle di Horemheb e Amasi da Firenze e quella di Serapide da Pozzuoli. Sono sculture che destano sicura meraviglia, anche se sfugge il nesso con Nerone.

Malgrado, infatti, ogni reperto sia corredato di un’ineccepibile etichetta, la mostra è sprovvista di qualsiasi pannello che scandisca il percorso espositivo. Per capire la ragion d’essere dei reperti si è perciò costretti a dipendere dalle spiegazioni delle guide. La nostra dimostra un’ottima preparazione sul mondo romano, anche se ha evidenti carenze in Egittologia. Lo si percepisce quando, nel descrivere il fazzoletto sulla testa dei sovrani egizi, lo chiama «naos» invece che «nemes». Lo dice anche descrivendo la scultura egittizzante ritrovata in una villa romana lungo la Via Giustiniana. Il cartellino indica che raffigura «probabilmente Nerone». La fattura del monumento abbastanza approssimativa la fa sembrare però poco imperiale.
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Nel corridoio successivo alcuni frammenti di sculture «egittizzanti» sono immersi in una luce blu fluttuante che evoca le acque del Tevere. Vi sarebbero stati gettati in seguito alla «damnatio memoriae» nei confronti di Nerone. L’acqua è anche protagonista dello spazio espositivo successivo: una rapida serie di gocce bagna uno dei miei compagni di visita che volge, smarrito, lo sguardo al soffitto. La guida lo tranquillizza. Si tratta di acqua di scolo. L’ambiente è intonacato e dipinto, io non lo trovo affatto rassicurante. Mi cade allora l’occhio sulle vetrine in cui sono esposte due teste e una statua in marmo. La condensa è ben visibile nella parte superiore. La pietra non ha nulla da temere, ma le sculture appaiono essere state pulite e consolidate. Mi chiedo se anche i materiali utilizzati dai restauratori non abbiano a soffrire di tanta umidità.

Una serie di oggetti egizi ed egittizzanti precede il grande criptoportico che ai miei occhi rappresentava la parte più importante della mostra. Ne conoscevo la decorazione egittizzante e desideravo saperne qualcosa di più. La nostra guida liquida invece le figurine, troppo in alto per essere ben visibili, come divinità egizie, tagliando corto con «ma il discorso è troppo complicato per approfondirlo». Qui ci sarebbe stata bene una realtà virtuale.

Mi devo consolare con quella della Sala della volta dorata dove ha anche termine la nostra visita. Indosso il visore e vengo trasportato nel tempo. Emozionante la carrellata finale che termina con una vista dai giardini della Domus Aurea. A qualche giorno di distanza mi interrogo sul valore della mostra che ho visitato e che resterà aperta fino al 14 gennaio 2024. Mi trovo purtroppo a dare ragione a chi sostiene che se ne organizzino troppe. Le «opere esposte per la prima volta» non sono sufficienti a giustificarla (e sono molte meno delle 150 di cui parla il comunicato stampa). Io sono uscito perplesso. I visitatori del mio gruppo, a eccezione di una minuta signora francese che fotografava tutto, hanno dimostrato di averne abbastanza d’Egitto già dopo la Sala ottagonale. Unica soddisfatta, un’adolescente che si faceva selfie con le statue alle quali poteva accostare il viso.

Resta il mistero del catalogo. In una grande libreria romana non ne sapevano nulla. Sui siti specializzati o risulta «non disponibile» o i tempi di consegna sono compresi tra agosto e settembre. La curiosità di leggerlo è molta. Il sommario che si trova sul sito di artem (gentilissimo ed efficientissimo l’ufficio stampa) elenca articoli che potrebbero illuminare su qualche contenuto della mostra, accanto ad altri che vorrei leggere soltanto per capire perché sono stati inclusi in un volume che, in fin dei conti, dovrebbe parlare del rapporto tra Roma e l’Egitto in epoca neroniana.

Francesco Tiradritti, 06 novembre 2023 | © Riproduzione riservata

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