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Piero Gilardi, «Fiori e mangos», 2010

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Piero Gilardi, «Fiori e mangos», 2010

Alla Biennale di Berlino il segreto sta nel «foxing»

La 13ma edizione della mostra tedesca parte dal simbolo della volpe, sempre più presente nei parchi cittadini, per invitare all’esplorazione di ciò che non si conosce. Dei 60 artisti invitati, sei sono italiani: Piero Gilardi il nume tutelare

Per la 13ma edizione della Biennale di Berlino, allestita dal 14 giugno al 14 settembre, la curatrice Zasha Colah (Mumbai, 1982) e l’assistente curatrice Valentina Viviani (Córdoba, Argentina, 1991) sono partite dal simbolo della volpe, sempre più presente nei parchi della città, e del «foxing», che nello slang urbano indica l’esplorazione libera, al confine con l’illegale, e che porta all’incontro con ciò e chi non si conosce, con un inaspettato che rifiuta i pregiudizi. Zasha Colah lo racconta a «Il Giornale dell’Arte».

Che cosa può farci scoprire questa volpe?
Nelle leggende e storie di tanti Paesi del mondo, la volpe è un animale truffaldino, ma anche uno a cui piace giocare, che ha quindi un aspetto più tenero. Essere una volpe significa far convivere parti così diverse e incontrare una volpe può lasciare una persona un po’ confusa e disorientata. È un incontro che crea un tempo sospeso, che può trasformare. Ogni artista, attraverso il proprio lavoro, fa foxing. E foxing è anche un invito per il nostro pubblico al gioco, all’andare oltre i classici modi, le regole del fare (arte), e, magari, trovare nuovi modi per aggirarle, o proprio nuove regole. Ma per farlo dobbiamo disorientarci.

Il percorso, a partire dalla sede storica della Biennale, il KW Institute for Contemporary Art, si estende nel quartiere. Come avete scelto le sedi espositive e che cosa possiamo aspettarci?
Come delle volpi, abbiamo esplorato i giardini, i piccoli teatri di Berlino, e siamo state fortunate negli incontri, con un light designer che ci ha fatto indagare sulle storie di un teatro, una collega che durante una festa ci ha parlato del tribunale. Il KW continua a essere il cuore della Biennale, con un valore rinnovato, considerata la sua storia di spazio occupato dagli artisti, così in linea con il nostro approccio curatoriale. Due i temi sviluppati qui: come l’immaginazione può cambiare una situazione avversa, trasformandosi in azione, e il tema del carnevalesco, il rovescio temporaneo del potere, come accade sin dal Medioevo, e come lo troviamo ovunque, in mondi culturalmente diversi. C’è poi il Sophiensäle, teatro che conserva la storia degli ultimi cent’anni di Berlino. È stato un campo di lavoro forzato in città, la sede di una corporazione di artigiani, ha ospitato gli interventi pubblici di figure cruciali del comunismo come Rosa Luxemburg, oltre che, ovviamente, un teatro. Per noi è diventato il pretesto per parlare della città, integrando con l’arte la storia di questo spazio. Il tribunale di Lehrter Straße è interessante per il suo ruolo futuro: è infatti al centro di interventi di riqualificazione che lo trasformeranno in atelier per artisti. Il carattere «poroso» dato dai carotaggi del cantiere di restauro ha stimolato le nostre domande sul concetto di legalità, quindi sulla legge come una costruzione umana, e sul suo fallimento, quando si fa violenta dentro e fuori dai contesti democratici. Siamo partiti da questo, poi le proposte degli artisti ci hanno spinto ad allargare il tema al ruolo dell’arte nella società, al linguaggio rigido quando l’estetica ha affiancato il potere o la religione, a quando invece è diventata essa stessa potere. Perché l’arte e la cultura sono le prime espressioni a essere temute e controllate quando acquistano troppo potere? Il teatro e il tribunale sono luoghi di oralità, ma rispondono a una diversa idea di performatività. In che modo le storie si trasmettono oggi, come passano alle prossime generazioni? Come si trasmettono quelle che non possono essere pronunciate ad alta voce? Il circuito si chiude con l’Hamburger Bahnhof, in uno spazio espositivo che si sviluppa in lunghezza, e che ci ha consentito di approfondire un’idea di processione e movimento. Qui ci focalizziamo sulla camminata come atto politico, che richiama anche certe esperienze di non violenza in India o il Malón de la Paz, la discesa degli aborigeni dalle Ande verso Buenos Aires. E poi, curiosamente, una famiglia di volpi si rifugia ogni notte negli spazi esterni al museo. Ci è sembrato un segno bellissimo.

Metà della Biennale è costituita da nuove commissioni e la presenza di artisti italiani è particolarmente alta.
Lavoriamo a Torino e siamo parte del tessuto artistico italiano. Discutiamo spesso con la comunità su come da noi gli artisti non abbiano grandi opportunità istituzionali, senza la possibilità di testarsi con budget più ambiziosi. Questa è stata la possibilità di creare uno spazio su una piattaforma dialogica internazionale. Su una mostra di circa 60 artisti, gli italiani sono sei, con nuove commissioni maturate attraverso un lungo dialogo. Abbiamo dato una posizione concettualmente centrale a Piero Gilardi, che ci ha ispirato con la sua ricerca più politicamente impegnata e con l’esperienza del Parco d’Arte Vivente di Torino, un atto di immaginazione, un «foxing» come spazio artistico. Gilardi ci ha dato l’occasione di aprire la riflessione su certi aspetti di fare politica, attraverso il carnevalesco e l’irrisione del potere come arma.

Avete scelto un titolo molto poetico, «passing the fugitive on».
È un invito di responsabilità, quella di passare qualcosa all’altro e custodirla, se necessario. Magari qualcuno non ha la libertà per l’azione, in questo momento, e tu sei colui che può custodire questo fuoco in attesa che arrivi il momento propizio, per l’altro, per far risuonare la propria voce. Quindi il nostro è un invito ad andare oltre la contemplazione e divenire complici. Un’istruzione per l’uso per il visitatore: sii partecipe, apriti alla poesia, all’incognito.

Cos’è per voi questa fuggitività? 
Per noi il potere dell’arte di fare le proprie leggi e di proporre immaginativamente e praticamente il suo mondo e le sue leggi. Ma anche la possibilità del movimento laterale, di sfuggire, di non mostrarsi del tutto, come le volpi. 

Micaela Deiana, 09 giugno 2025 | © Riproduzione riservata

Alla Biennale di Berlino il segreto sta nel «foxing» | Micaela Deiana

Alla Biennale di Berlino il segreto sta nel «foxing» | Micaela Deiana