Braccialetto achemenide in oro, datato tra il V e il IV secolo a.C., proveniente dal tesoro di Oxus. Londra, British Museum. © The Trustees of the British Museum

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Braccialetto achemenide in oro, datato tra il V e il IV secolo a.C., proveniente dal tesoro di Oxus. Londra, British Museum. © The Trustees of the British Museum

Al British opere degne di Dario e Alessandro Magno

«Lusso e potere» esamina le civiltà del Sud-est dell’Europa, del Medio Oriente e dell’Asia Centrale dal 550 a.C. circa al 30 a.C., focalizzandosi sul V e IV secolo a.C.

Di norma le grandi mostre necessitano di anni di preparazione. Ogni tanto ciò non avviene, anche se è sempre un obbligo chiedere i prestiti non meno di un anno prima dell’apertura. La ragione è semplice: per i musei un anno è il minimo sindacale per organizzare una mostra. Dunque il fatto che a Londra si sia aperta una rassegna riguardante il potere di sovrani come Dario di Persia e Alessandro Magno di Macedonia due giorni prima dell’incoronazione di Carlo III, un re di tutt’altro tipo, è una pura coincidenza.

La «storia dell’arte» ha due componenti, che nelle mostre più riuscite si uniscono per educare il cervello e dilettare l’occhio. Fino al 13 agosto il British Museum presenta «Lusso e potere: dalla Persia alla Grecia», che esamina le civiltà del Sud-est dell’Europa, del Medio Oriente e dell’Asia Centrale dal 550 a.C. circa al 30 a.C., focalizzandosi sul V e IV secolo a.C. Grazie all’intelligenza di James Fraser e dei suoi colleghi Lloyd Llewellyn-Jones e Henry Cosmo Bishop-Wright, la mostra e il suo catalogo hanno un vero argomento, spiegando, tra le tante cose, un vero paradosso, ovvero i rapporti tra i Greci e i loro nemici Persiani chiamati anche barbari per via della lingua, che alle loro orecchie suonava come un continuo «bar-bar».

I Greci erano convinti che il lusso eccessivo dell’impero persiano fosse la causa delle sue sconfitte militari, ma lo sdegno provato verso i Persiani non impediva loro di emularli sul piano artistico, e non solo. Tra le innumerevoli importazioni dalla Persia, bisogna ricordare pantaloni e parasole. Ogni tanto sono proprio i Persiani ad aver imparato dai Greci e non viceversa. Data la ricchezza delle collezioni del British, non deve sorprendere se la maggior parte delle opere in mostra fanno parte delle collezioni di casa.

In teoria, sempre che siano esposte e non chiuse nei depositi, si possono ammirare ogni giorno senza pagare 15 sterline per accedere alla mostra (l’entrata al British, come in tutti i musei nazionali del Regno Unito, è gratuita). Accade spesso però che senza lo stimolo di una mostra non guardiamo le opere con la stessa attenzione. Come diceva il critico letterario inglese Samuel Johnson in un contesto leggermente diverso: «Posso garantire, signore, che quando un uomo sa che verrà impiccato tra una quindicina di giorni, ha l’effetto di concentrare il suo intelletto in una maniera meravigliosa». Inoltre, lo studio di oggetti minuscoli ma squisiti, come sigilli cilindrici, anse, spille, tetradrammi, necessita di una concentrazione molto particolare.

Pezzi come l’Apollo di Chatsworth, una testa in bronzo meravigliosa databile verso il 490-480 a.C., che in origine faceva parte di una statua a figura intera, e l’insieme del Tesoro di Oxus, 180 pezzi lavorati in oro e argento scoperti verso il 1877-80 nell’attuale Turkmenistan, dovrebbero essere l’apoteosi di qualsiasi visita al British Museum, ma temo che di solito non vengano apprezzati abbastanza. Per il resto, sono i visitatori che restano incantati e in questo caso i pezzi più miracolosi provengono senza eccezioni da Paesi lontani.

Uno è un rhyton (recipiente usato per bere, modellato a forma di corno ricurvo, spesso terminante con una testa di animale) in argento scoperto nella Fortezza di Erebuni a Erevan in Armenia e ora nel Museo Storico Archeologico della città. È unico per varie ragioni e ciò spiega l’incertezza della sua datazione (nel catalogo si propone il periodo dal 500 al 300 a.C.). Invece di una testa di animale, la sua parte terminale rappresenta un cavaliere barbuto a cavallo. Però, non è tanto la sua iconografia ma piuttosto la raffinatezza della sua fattura che gli fa meritare il titolo di capolavoro.
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Ancora più indimenticabili sono i nove oggetti in oro, otto rhyton (uno a forma di anfora) e una phiale, che costituiscono il Tesoro di Panagjurište. Furono scoperti nei pressi della cittadina di Panagjurište in Bulgaria l’8 dicembre 1949 da tre fratelli, Pavel, Petko e Michail Deikovs, alla ricerca di argilla per una fabbrica di mattoni nella zona. Custodito di solito nel Museo Nazionale di Storia a Sofia, il Tesoro è già stato esposto a Londra 47 anni fa, nel 1976, ma per molti sarà la prima volta. Non si sa come o perché sia finito in questo luogo, ma una possibilità è che appartenesse a qualche re degli Odrisi come ad esempio Seute III, che visse verso la fine del IV secolo a.C.

Senz’altro, una testa di Seute in bronzo, iperrealista e terrificante, ritrovata nella sua tomba nel 2004, ora anch’essa a Sofia e nel Museo Nazionale di Archeologia, sottolinea l’altissimo livello delle arti visive alla sua corte. Dal Rinascimento in poi, materiali preziosi come argento e oro sono diventati quasi imbarazzanti nel loro luccichio, ma qui il fatto che questi oggetti siano in oro non ha importanza, non è un plus e nemmeno un minus. Sono troppo belli per non ipnotizzarci e anche un ignorante in materia come chi scrive capisce subito che provengono dalla stessa bottega o cerchia. Comunque sia, il più grande degli oggetti, l’anfora con le anse a guisa di centauri, è anche il più perfetto, assolutamente degno di un re di qualsiasi epoca.

«Lusso e potere: dalla Persia alla Grecia»,
a cura di James Fraser, Lloyd Llewellyn-Jones e Henry Cosmo Bishop-Wright, Londra, British Museum, 4 maggio-13 agosto 2023

L’autore è professore ordinario di Storia dell’arte all’Università di Leicester

I nove oggetti in oro del Tesoro di Panagjurište. © Todor Dimitrov, Museo Nazionale di Storia, Bulgaria

David Ekserdjian, 28 giugno 2023 | © Riproduzione riservata

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