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Petrit Halilaj e Marta Papini durante il sopralluogo a Dogliani © Andrea Guermani

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Petrit Halilaj e Marta Papini durante il sopralluogo a Dogliani © Andrea Guermani

Marta Papini

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« Al posto della vecchia scuola di Borgata Valdibà, propongo una casa di fantasia, decorata con scarabocchi e sogni ad occhi aperti provenienti sia dagli studenti di Dogliani sia da bambine e bambini da tutti i Balcani; una torreggiante fantasticheria che fluttua libera attraverso i confini geografici e politici »

Da quando mia figlia riesce a tenere una matita in mano il mondo è il suo foglio: porte, tavoli, pavimenti, cassetti, nessuna superficie si salva dalla furia disegnatrice di una bambina di un anno e mezzo. Non ho ricordi di me da così piccola, ma più avanti, in età scolare, so per certo di aver disegnato anche io sulla superficie verde acqua del mio banco singolo qualche messaggio per i posteri: una casetta stilizzata, le mie iniziali insieme a quelle delle mie amiche, un sole sorridente, un lapidario CIAO. Non credo mi spingesse la volontà di vandalizzare un bene pubblico, o il piacere della trasgressione: era più la necessità di fare mio quell’oggetto – così quotidiano eppure così anonimo – e di lasciare una traccia del mio passaggio, trasformando il banco nel testimone della mia esistenza nello spazio scolastico.

 

 

 

 

L'interno della scuola di Borgata Valdibà a Dogliani © Andrea Guermani

Petrit Halilaj, Marta Papini e l'assessore alla cultura Gianluca Navello durante il sopralluogo a Dogliani © Andrea Guermani

Petrit Halilaj, Abetare, 2024, “The Roof Garden Commission: Petrit Halilaj, Abetare,” 2024. Courtesy: the artist; Chert Lüdde, Berlin; kurimanzutto, Mexico City / New York; Mennour, Paris. © The Metropolitan Museum of Art. Photo: Hyla Skopitz

Abetare

Non mi ero mai soffermata su quel gesto fino a quando non ho visto Abetare, la serie che l’artista Petrit Halilaj (1986, Kostërrc, Kosovo) porta avanti da quasi quindici anni. Abetare, che prende il nome dal titolo dell’abecedario su cui i bambini studiano la lingua albanese, è un gigantesco archivio di disegni e incisioni trovate dall’artista sui banchi di scuola. La serie nasce nel 2012, quando l’artista torna a Runik, in Kosovo, il villaggio in cui era cresciuto e dove aveva frequentato le elementari, ormai quasi completamente distrutto dalla guerra. La scuola era uno dei pochi edifici rimasti in piedi e, mentre Halilaj filmava, ha notato che stavano cominciando a demolirla per far posto a una nuova scuola. I vecchi banchi erano impilati all’esterno, pronti per essere buttati, così l’artista ha iniziato a fotografarli, documentando graffiti e disegni che si erano stratificati negli anni, dall’epoca della Jugoslavia fino al dopo guerra. Halilaj ha poi esteso la ricerca ad altri territori nei Balcani, interrogandosi su cosa unisse e su cosa rendesse diversi le bambine e i bambini di generazioni e provenienze così distanti. Oggi l’archivio di Abetare raccoglie la memoria storica di tante epoche e territori sovrapposti, e unisce lo scorrere del tempo all’attraversamento dei confini geografici. Da questa enciclopedia di scarabocchi l’artista seleziona di volta in volta elementi differenti e trasforma il tratto bidimensionale in monumentali sculture in metallo piegato e modellato per riprodurre in grande scala e nello spazio tridimensionale il disegno originario.

Petrit Halilaj durante il sopralluogo a Dogliani © Andrea Guermani

Demolire per rivedere

Durante i sopralluoghi per la nuova edizione di Radis avevo in mente l’installazione dalla serie Abetare che Halilaj aveva da poco inaugurato sul tetto del Metropolitan Museum of Art di New York. Dalle ricerche nel territorio di Dogliani è spuntata una piccola scuola di borgata, un edificio di due piani in disuso dagli anni Settanta, situata in cima a una collina da cui si gode una vista mozzafiato sul paesaggio delle Langhe, fino alle Alpi. L’edificio è pericolante e il comune progettava da tempo di demolirlo, e al suo interno sono presenti ancora alcuni vecchi banchi di scuola. È stato in quel momento che ho capito di aver trovato lo spazio giusto per Abetare. Ho proposto a Halilaj di lavorare a un’opera d’arte permanente fuori dalle canoniche piazze o belvedere, in un punto della campagna cuneese che ha subito imponenti trasformazioni demografiche e di paesaggio dal dopoguerra a oggi. Come per la prima edizione di Radis, per la quale l’opera le masche di Giulia Cenci si è innestata in una radura di betulle voluta dall’essere umano, così la scuola di borgata in rovina, simbolo dello spopolamento del territorio, sorge in cima a una collina circondata da vigneti e noccioleti, una bi-coltura che progressivamente ha trasformato il paesaggio di questo territorio. Per Radis, Halilaj ha immaginato un’opera che andrà a sostituirsi alla ex scuola e che, grazie alla leggerezza delle sue linee, si integrerà con il paesaggio senza occultarne la vista. La scultura rappresenterà una casa stilizzata che l’artista ha trovato incisa su uno dei banchi della scuola di Dogliani, popolata da creature inventate provenienti sia dai banchi delle Langhe sia dei Balcani che, incontrandosi, la faranno diventare un monumento al linguaggio universale dell’immaginazione e della fantasia.

Marta Papini, 05 giugno 2025 | © Riproduzione riservata

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«Abetare» a Dogliani con Petrit Halilaj | Marta Papini

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