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Heather Ackroyd e Dan Harvey

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Heather Ackroyd e Dan Harvey

ARTis. Non c’è arte senza artista | Heather Ackroyd e Dan Harvey

Alla vigilia della prima edizione di ARTis a Vicenza, una riflessione degli artisti sul ruolo dell’artista: costruttore di immaginari, figura professionale, motore di trasformazioni sociali e culturali

Marina Wallace

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In attesa della prima edizione di ARTis, la grande festa dedicata all’arte e agli artisti, che si svolgerà a Vicenza dal 10 al 16 novembre, vi proponiamo un ciclo di interviste dedicate al tema della prima edizione: «Non c’è arte senza artista». La parola a Heather Ackroyd e Dan Harvey.

ARTis intende definire l’arte prima di tutto come professione, attraverso l’artista: lei come definisce l’arte a livello professionale?
Heather: Grazie alla nostra collaborazione la creazione artistica è dinamica e dirompente. Per noi, l’arte interseca discipline che spaziano dall’arte all’attivismo, dalle scienze alle discipline umanistiche. Trascendiamo i confini disciplinari e integriamo la conoscenza per affrontare le forze complesse che stanno rapidamente rimodellando e riscrivendo i sistemi terrestri.
Dan: Per me, l’arte come professione è un modo per comunicare pensieri e idee attraverso strumenti visivi... Significa creare qualcosa di fisicamente presente a partire dalla miriade di pensieri e idee che ci affollano la mente...

A livello professionale: cosa la aiuta o la ha aiutata di più nella sua produzione artistica?
Heather: Dan ed io abbiamo ciascuno una vasta gamma di competenze, dalla pratica in studio alle interazioni con l’arte performativa. Questo ci ha aiutato a sopravvivere professionalmente senza essere rappresentati da una galleria e senza prendere occupazioni accademiche (part-time/permanenti). L’Arts Council of England è stato determinante nel sostenere il nostro lavoro nel corso degli anni. In particolare, abbiamo instaurato rapporti di lavoro con scienziati, storici, architetti, avvocati, ingegneri: persone di alto livello provenienti da ogni estrazione professionale che ci hanno dato un grande aiuto. Eppure, ritengo che le nostre interazioni con la Natura e il mondo in generale ci abbiano aiutato a sviluppare una profonda comprensione di una complessità squisita e in continua evoluzione che ci ispira tutt’ora.
Dan: Probabilmente io sono stato influenzato principalmente dai miei genitori – entrambi artisti – che avevano una profonda comprensione e rispetto per l’arte come professione, pur capendo che non era certamente la professione più facile.

ARTis, Festival dell’Arte, offre la possibilità di dialogare di arte, coinvolgendo il pubblico generale e gli addetti ai lavori senza costrizioni commerciali. Quali sono i vantaggi di un esperienza del genere?
Dan: La maggior parte del nostro lavoro è stata creata al di fuori della matrice della galleria - spesso lavoriamo in siti abbandonati e fatiscenti - per scelta, convinti che sia importante rendere l’opera d’arte facilmente accessibile a tutti, e non solo a chi è abituato a frequentare luoghi culturali o alla ricca élite delle gallerie.
Heather: Cerchiamo dialogo, dibattito e conversazione. È così che spesso si sviluppa il nostro lavoro artistico. Un germe emergente di un’idea, plasmato da interazioni e indagini. La curiosità è il catalizzatore creativo!

A Leonardo Da Vinci è attribuita l’affermazione: «L’arte non è mai finita. Solo abbandonata». Cosa ne pensa?
Heather: Beh, secondo la fisica e il Primo Principio della Termodinamica, nulla può essere distrutto. Ma allo stesso tempo non si può creare nulla. Quindi, la percezione di Leonardo da Vinci è interessante. Energia e materia cambiano semplicemente forma. Mutano. Mi piace. Germinazione, crescita, erosione, deposizione sono processi con cui interagiamo continuamente. Un’opera d’arte può essere abbandonata tramite compostaggio... Qualcos’altro crescerà da quell’atto di abbandono.
Dan: Non sono sicuro di essere d’accordo, per me la pratica artistica non è mai completa o finita, ma anche mai abbandonata. Si continua sempre a metterla in discussione, per poter continuare. Ma alcune opere arrivano al punto in cui devono essere abbandonate e quindi, a quel punto, potrebbero essere classificate come «finite». A volte è facile esagerare con un’idea, quindi è importante sapere quando è il momento di fermarsi. A volte qualcosa che semplicemente non funziona deve essere abbandonato, ma questa non è una perdita: fa tutto parte del processo creativo e di una curva di apprendimento. Leonardo Da Vinci disse anche: «La natura è la fonte di ogni vera conoscenza».

Il contesto dell’arte contemporanea è ben diverso da quello dell’arte del passato. Secondo lei quali sono i momenti fondamentali che hanno segnato il passaggio dal passato al contemporaneo attraverso il moderno?
Dan: Questa è una domanda complessa... Lavorare nel sistema delle gallerie e nel mondo dell’arte commerciale è qualcosa con cui Heather ed io non ci siamo mai confrontati per vari motivi. Per me, principalmente, fare arte non significa farla per vendere e guadagnare, ma piuttosto per la sensazione di mettere sempre in discussione il mondo che ci circonda e il modo in cui lo vediamo. Per me l’arte non dovrebbe solo essere bella e piacevole da guardare, ma dovrebbe stimolare pensieri e domande, non dovrebbe essere semplicemente una «caramella per gli occhi». Lo sviluppo del pensiero per me deriva da una prospettiva completamente diversa. Noi facciamo molti esperimenti sia con materiali che con procedimenti diversi, la maggior parte dei quali non riescono come avevamo originariamente ideato - ma fa tutto parte del processo, e le linee di indagine si sviluppano lentamente. Se le cose funzionano, lo si capisce istintivamente... Credo che alcuni dei cambiamenti più grandi siano avvenuti attraverso la monetizzazione dell’arte come merce in cui investire: è una delle poche cose il cui valore può variare da quasi zero a milioni di dollari da un giorno all’altro.
Il prezzo che qualcuno è disposto a pagare per qualcosa diventa poi il suo valore. L’arte primitiva era più legata alla documentazione di eventi, come nelle prime pitture rupestri, che alla trasmissione di messaggi, come visioni religiose, in modo pittorico. Anche il mecenatismo divenne molto importante: ho avuto mecenati molto ricchi, come Sir Robert e Lisa Sainsbury, che compravano molte mie opere semplicemente perché gli piacevano, ma questo tipo di persona ora purtroppo è rara, anzi credo che non esistano più.  Ho la sensazione che oggigiorno molta «arte» che si vede nelle gallerie viene acquistata come investimento finanziario, piuttosto che come investimento nell’artista e nelle sue idee... Anche se questa è una generalizzazione difficile in un campo così ampio. Gran parte del nostro lavoro è effimero: dura per un po’ o cambia e alla fine viene riciclato.
Heather: Bisogna affrontare il contesto culturale. I movimenti artistici sono plasmati tanto dalle realtà culturali, politiche e sociali. Credo che sia necessario rivedere e riscoprire la percezione della storia dell’arte. Chi è osannato a seconda dei canoni dell’arte e chi è stato escluso o continua a esserlo? Per fortuna questo sta accadendo in molte gallerie d’arte affermate. L’Impressionismo e il Puntinismo sono movimenti stilistici all’interno del più ampio periodo modernista, eppure la mia recente visita all’opera dell’artista australiana Emily Kam Kngwarray alla Tate Modern ha nuovamente sconvolto gli storiografi dell’arte europea, con la sua cultura pittorica che ha radici risalenti a migliaia di anni fa quando donne e uomini dipingevano senza oppressione di genere. Ci sarebbe molto altro da aggiungere su questo argomento…
 

 

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Marina Wallace, 25 settembre 2025 | © Riproduzione riservata

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