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Marina Wallace
Leggi i suoi articoliIn attesa della prima edizione di ARTis, la grande festa dedicata all’arte e agli artisti, che si svolgerà a Vicenza dal 10 al 16 novembre, vi proponiamo un ciclo di interviste dedicate al tema della prima edizione: «Non c’è arte senza artista». La parola a Matilde Sambo.
ARTis intende definire l’arte prima di tutto come professione, attraverso l’artista: lei come definisci l’arte a livello professionale?
L’artista è una figura professionale difficilmente classificabile perché stratificata, dai confini sfumati, mimetici. La libertà di lavorare in studio è per me essenziale ma mi è sempre più chiaro che il lavoro non è solo in studio, dove ricerca, progettazione e produzione prendono forma, ma lavoro e parte della professione è anche la capacità di gestire e interfacciassi con regole, persone e dinamiche che appartengono al così detto sistema dell’arte contemporanea. Esso varia molto a seconda dei Paesi e della cultura. L’arte a livello professionale è la capacità di trovare il giusto un equilibrio costante tra idea, immaginazione e pragmatismo.
A livello professionale: cosa la aiuta o la ha aiutato di più nella sua produzione artistica?
Sviluppo il mio lavoro con differenti linguaggi e materiali. Per quello che concerne la parte scultorea e di incisione è stato da sempre per me fondamentale il dialogo e il contatto con figure artigiane. Ho sempre trovato persone con cui confrontarmi e da cui imparare, per poter davvero capire le possibilità e i limiti della materia. Per quello che è l’utilizzo del video e del suono è per me importante avere sempre a portata di mano la videocamera e il registratore ovunque io vada, soprattutto quando sono in viaggio. Quando lavoro con audio e video la produzione va di pari passo con la scrittura, dunque le narrazioni si formano lentamente, unendo ricerca ed esperienza. Essenziale è poi tornare in studio e dedicarsi alla parte di montaggio, che richiede mesi di lavoro, in quel momento tutto si modella. Un ruolo importante in questi anni, anche per la parte di produzione, l’hanno avuto alcune residenze artistiche.
ARTis, Festival dell’Arte, offre la possibilità di dialogare di arte, coinvolgendo il pubblico generale e gli addetti ai lavori senza costrizioni commerciali. Quali sono i vantaggi di un esperienza del genere?
Essere stata invitata a questa prima edizione del festival, dove la figura dell’artista è al centro, per lavorare a un progetto in dialogo con Palazzo Valmarana mi ha subito stimolato non solo da un punto di vista progettuale ma anche per la possibilità di dialogo e scambio che verrà a crearsi durante i giorni di festival. Non è solo un’occasione per esporre il mio lavoro ma anche un luogo dove poter raccontare, riflettere. Portare lo spettatore nelle profondità della ricerca, del fare, del confronto con spazi, corpi e percezioni. Penso sia sempre più necessario costruire e investire in progetti come ARTis che portano a una vera e propria piazza di confronto e dialogo, per non restare chiusi tra le sole mura delle gallerie e dei musei.
A Leonardo Da Vinci è attribuita l’affermazione: «L’arte non è mai finita. Solo abbandonata». Cosa ne pensa?
«Abbandono» è una parola che ai nostri giorni ha assunto un’accezione profondamente negativa e capendo cosa intendesse Leonardo, cioè che un’opera in qualche modo non è mai davvero conclusa, invece di «solo abbandonato» userei «solo lasciato riposare». Un lavoro, anche quando viene mostrato e fatto esperire non è statico, cambierà e si trasformerà sempre in base alla relazione con lo spazio, con il corpo dello spettatore con il tempo. Alcuni lavori si lasciano «riposare» per anni e poi si risvegliano attraverso nuovi input, forme, collegamenti, altra ricerca. Penso che ricordare questa frase aiuti l’artista a non fermarsi mai, a credere nella trasformazione e nella ricerca come motore di crescita.
Il contesto dell’arte contemporanea è ben diverso da quello dell’arte del passato. Secondo lei quali sono i momenti fondamentali che hanno segnato il passaggio dal passato al contemporaneo attraverso il moderno?
Domanda che apre a moltissime discussioni, si dovrebbe partire da molto lontano, perché il passaggio non è avvenuto in maniera repentina ma attraverso decadi. L’arte e l’operare dell’artista sono specchio, assorbimento, visione di ciò che accade nel mondo, è un sentire intimo e sociale al tempo stesso. È sempre in cambiamento e varia a seconda della cultura. Sarebbe riduttivo e forse scontato dire che uno momenti fondamentali lo identifico nel lavoro e nel genio di Duchamp, capace di rompere schemi e di esprimersi attraverso infiniti linguaggi e forme. Grazie e d tutti gli artisti, scrittori, poeti, cineasti che gravitavano attorno al Dada e al Surrealismo tutto ha cominciato a sembrare possibile e proprio in quella infinita possibilità ancora oggi ci si muove ma con altre dinamiche, con altre spinte. Il contesto dell’arte oggi si è modellato e continua a modellarsi su continui cambiamenti e complessità che un tempo solo gli scrittori di fantascienza avrebbero potuto immaginare…