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Un render del Palaitalia-Arena Santa Giulia di Milano. © Onirism Studio

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Un render del Palaitalia-Arena Santa Giulia di Milano. © Onirism Studio

A che punto sono le Olimpiadi 2026 di Milano-Cortina?

Vogliono essere un «evento diffuso» (forse troppo: gli spostamenti saranno difficili soprattutto per il pubblico) e un modello di sostenibilità e di sviluppo turistico. Ma tra extra costi, ritardi e gare deserte, preoccupa il rispetto delle tempistiche. Che cosa resterà del «grande evento mediatico»?

Veronica Rodenigo, Michele Roda, Alessandro Colombo

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Con quattro cluster (Milano, Valtellina, Cortina e Val di Fiemme) e 14 sedi di gara Milano-Cortina è la macroregione alpina che dal 6 al 22 febbraio 2026 sarà teatro dei XXV Giochi Olimpici invernali.

Distribuendo tra Lombardia, Veneto, Provincie Autonome di Trento e Bolzano 16 discipline olimpiche e 6 paralimpiche, il dossier di candidatura propone l’evento diffuso come modello di sostenibilità ed efficienza, promettendo di ridurre al minimo l’impatto ambientale (con, negli intenti, 13 delle 14 sedi di gara già esistenti o da recuperare), d’integrare in maniera efficace le diverse componenti dell’offerta turistica delle regioni coinvolte e di migliorare nel complesso il posizionamento del Paese a livello globale.

Una nuova olimpiade diffusa a vent’anni da Torino 2006 su 22mila chilometri quadrati vede Milano come sede delle discipline di hockey su ghiaccio, short track, pattinaggio di figura e di velocità; Cortina d’Ampezzo per sci alpino, bob, skeleton, slittino, curling e wheelchair curling; Val di Fiemme per salto con gli sci, combinata nordica e fondo; Valtellina e Anteselva per sci alpino, sci alpinismo, freestyle skiing, snowboard e biathlon.

Ma mentre il cronometro scandisce veloce il conto alla rovescia, le cronache recenti riportano rialzi ed extra costi (come per Palaitalia Arena Santa Giulia a Milano) e ritardi nei lavori, gare deserte e offerte d’ipotesi sostitutive per impianti (con il ritorno in campo anche della pista da bob di Cesana (To), realizzata per Torino 2006, in luogo di una nuova a Cortina in seguito alla demolizione di quella delle Olimpiadi del 1956) anche oltreconfine, ripiegamenti logistici su strutture magari temporanee più «snelle», interventi infrastrutturali non ancora aperti e che vedranno il completamento a Giochi oramai terminati.

Dinamiche che gettano un’ombra sull’eredità spaziale e identitaria di un evento che proprio per la sua natura diffusa rischia di essere vissuto principalmente dagli addetti ai lavori relegando il pubblico più ampio a una fruizione tramite tv e social.

In questo quadro, tutt’ora in continua evoluzione, a preoccupare gli organizzatori e lo stesso Comitato Olimpico Internazionale è comunque il rispetto dei tempi che mette a serio rischio la fattibilità dell’evento con l’inevitabile ricaduta d’immagine sul Paese. In attesa di ulteriori sviluppi ecco ad oggi lo stato di fatto della situazione dal punto di vista infrastrutturale e delle principali strutture olimpiche. [Veronica Rodenigo]

Le principali strutture olimpiche
Anche identità, storia e futuro di stadi e arene che ospiteranno i Giochi riflettono il «carattere ibrido» dell’edizione italiana 2026. A partire dal luogo più simbolico, quello deputato a ospitare le sfilate delle Nazioni partecipanti e l’accensione del braciere olimpico, lo Stadio di San Siro a Milano. Per un secolo (nel 2026 compirà esattamente 100 anni di vita) tempio assoluto del calcio, è stato ed è al centro di un intenso dibattito.

Destinato alla demolizione (con conseguente ricostruzione a poca distanza di una struttura nuova, più «efficace» per gli standard dello spettacolo calcistico attuale) nei desiderata delle società di Milan e Inter, il recentissimo vincolo monumentale imposto ad agosto dalla Soprintendenza (e non apprezzato dal Comune) sul secondo anello ne impone invece la conservazione. Con il risultato che Milan e Inter troveranno altrove il «teatro» per le loro partite e San Siro dovrà riscrivere il suo futuro. Proprio, paradossalmente, nel punto più alto della sua storia. Una volta gli stadi venivano costruiti per le Olimpiadi, San Siro dopo le Olimpiadi (a cui arriverà con limitati interventi di maquillage) rischia di trovarsi disoccupato e senza appeal.

Non succederà a un monumento italiano, senza dubbio riconosciuto da tutti, come l’Arena di Verona. Qui gli anni di storia non sono cento ma circa duemila. Con la cerimonia conclusiva di Milano-Cortina 2026, l’anfiteatro romano aggiungerà i «cinque cerchi» a un curriculum che ha abbracciato, in epoca recente, una straordinaria varietà di eventi musicali, ma anche sportivi con l’arrivo di tappe del Giro d’Italia. E proprio quest’anno a Ferragosto, nell’atmosfera suggestiva dell’Arena si è svolta la partita inaugurale del campionato europeo di pallavolo femminile tra Italia e Romania.

Con stadi delle cerimonie così storicamente definiti, la palma di edificio simbolico delle Olimpiadi italiane va al PalaItalia-Arena Santa Giulia di Milano, tassello della mai conclusa rigenerazione della periferia sudorientale della città, intorno a Rogoredo. Costruzione completamente nuova su progetto di David Chipperfield Architects con la collaborazione di Arup, ospiterà le partite di hockey su ghiaccio contenendo fino a 15mila persone. A Giochi conclusi, entrerà a far parte della dotazione di spazi polifunzionali per la città.

Dal punto di vista architettonico, lo stadio ha forma ellittica che rimanderebbe secondo i progettisti all’archetipo dell’anfiteatro e appoggerà su una sorta di podio rialzato a cui si accederà da un’ampia scalinata, sviluppandosi in altezza grazie a 3 anelli aggettanti con finitura metallica e tubi in alluminio. Scintillanti per definire un landmark visibile anche di notte e che prevede generosi spazi, in parte verdi, per spettacoli all’aperto in una grande piazza. Il cantiere (privato, del gruppo Cts Eventim, che ha acquistato il lotto da Risanamento) è iniziato da pochi mesi e già ci sono allarmi sugli extra costi che hanno portato a una previsione aggiornata di circa 280 milioni. Che non dovrebbero però frenare un processo di avanzamento che ha invece conosciuto in questi giorni, sempre a Milano, un importante cambio di programma.

La seconda arena per l’hockey non sarà (come previsto inizialmente) in un rinnovato ex Palasharp (a Lampugnano), che aveva bisogno di significativi interventi di ripristino (costosi e di difficile quantificazione), ma nei padiglioni 22 e 24 di Fiera Milano-Rho. Sempre in Fiera ci saranno le gare di pattinaggio su velocità, che nel programma di candidatura avrebbero dovuto svolgersi a Baselga di Pinè con un nuovo Ice Rink. La logica è chiara e si allontana sempre di più da una visione di Olimpiade che costruisce un’eredità di strutture e spazi per la città. Si opta per soluzioni temporanee, più agili ed efficienti, con fondi spesso privati, meno complesse dal punto di vista autorizzativo e realizzativo, più comode anche per accesso e logistica.

I cantieri per la nuova area sportiva sono stati avviati da parte di Fondazione Fiera Milano, interessata ad accreditarsi per ospitare grandi eventi (impianti utilizzabili, secondo i programmi, per la metà del 2025). Sono luoghi trasformabili come set cinematografici che durano poche settimane, risparmiando investimenti significativi, ma forse rinunciando (oltre all’eredità spaziale) anche a un’identità che un evento olimpico potrebbe e dovrebbe lasciare.

Eredità che il nostro Paese si era invece costruito nella prima Olimpiade invernale ospitata, Cortina 1956. E che trova, pur in maniera paradossale, un riscontro nelle vicende di questa terza (in mezzo c’è stata Torino 2006, che in effetti ha lasciato una ricca dotazione di spazi, primi fra tutti, in città, il Pala Alpitour progettato da Arata Isozaki, che è poi stato sede di eventi internazionali come, solo in tempi recenti, l'Eurovision Song Contest del 2022 e, per almeno cinque anni, le Atp Finals di Tennis, Ndr).

Una delle vicende più dibattute degli ultimi mesi è infatti stata la localizzazione delle gare di bob. Le piste sono costruzioni a loro modo emblematiche, serpentoni che scendono dalle montagne, impattanti e costose da realizzare, ancora di più da mantenere. Per un’attività che ha, almeno in Italia, pochissimi fruitori. Il dossier di candidatura la prevedeva a Cortina, con completo rifacimento della «mitica» Eugenio Monti sul Col Drusciè alle Tofane (anche questa una costruzione con 100 anni di vita, teatro dei Giochi ’56). Quella pista è abbandonata dal 2008 perché senza uso (sostituita dalla gemella di Cesana Torinese, costruita per i Giochi 2006, e abbandonata pure essa) ma inadatta oggi a ospitare le gare.

Gli altissimi costi e le complessità ambientali, hanno spinto a considerare opzioni alternative: da un clamoroso ritorno a Cesana (pista più moderna e con meno necessità di interventi) fino all’opzione austriaca. Ma la questione è diventata anche fortemente politica e allora, nei mesi scorsi, marcia indietro: si torna a Cortina con un progetto di ricostruzione della Monti. Con forti polemiche e, soprattutto, storia di fine luglio, una prima gara (bandita da Simico spa, Società Infrastrutture Milano Cortina 2020-2026, base d’asta di oltre 80 milioni) andata deserta. Si sta procedendo quindi, ad agosto, con inviti a 5 imprese per trovare l’appaltatore adatto per un intervento che preoccupa, più che per i costi, per le complessità realizzative mentre Webuild smentisce uno scontato affidamento d’incarico come invece circolato negli ultimi giorni. Prima ancora delle perplessità sull’eredità (e sostenibilità) possibile di un’infrastruttura di questo tipo, ci sono le strette curve di un processo tortuoso e difficile. [Michele Roda]

Il lascito dell’evento tra infrastrutture «indifferibili» ed «essenziali»
La mappa delle infrastrutture riporta 73 punti di intervento dislocati fra Lombardia, Veneto, Trentino-Alto Adige, dei quali 26 classificati «indifferibili», 47 «essenziali». Se si consulta il sito di Società Infrastrutture Milano Cortina 2020-2026 (la società istituita allo scopo a fine 2021 è Simico), una serie di pallini blu e azzurri vanno a coprire molto la Lombardia, un poco meno l’area dolomitica. I numeri sono freddi, ma eloquenti nell’indicare quasi 2,7 miliardi di euro di investimenti. La differenza sembra sottile da un punto di vista semantico, ma è radicale dal punto di vista fattuale.

I progetti le cui difficoltà di realizzazione iniziano a rimbalzare su tutti i media (pista di bob a Cortina e campi da hockey a Milano, tanto per citarne due) ricadono nella prima categoria degli «indifferibili», quella cioè delle strutture senza le quali non si possono semplicemente svolgere i Giochi Olimpici. Tutte le infrastrutture stradali e ferroviarie ricadono invece negli interventi «essenziali», cioè quelli che, in una certa misura, già sin d’ora si sa che andranno a completarsi a giochi terminati, lasciando, speriamo, una buona eredità sul territorio. Alcune difficoltà sono contingenti, e seguiamo con apprensione i singoli casi, altre sono strutturali e legate alla concezione stessa di questo evento.

Se facciamo un salto indietro alla Cortina del ‘56, ma allo stesso modo potremmo prendere Roma ’60 (sede dei Giochi Olimpici estivi) e tutte quelle «venue» che, fino ad anni abbastanza recenti, si sono identificate con una località o con una valle, era evidente come l’evento olimpico andasse a concentrarsi in un luogo delimitato nello spazio e a renderlo, per così dire, all’avanguardia per organizzazione e attrezzature in quel momento. Gli interventi avevano anche dei padri nobili, architetti che diedero forma ai Giochi: Edoardo Gellner nella conca di Ampezzo, Pier Luigi Nervi lungo il Tevere, Kenzo Tange a Tokyo, Otto Frei a Monaco di Baviera, fino a Herzog & De Meuron a Pechino: l’elenco sarebbe lungo...

Ma già a Torino 2006, una delle prime Olimpiadi svolte in un comprensorio abbastanza ampio, l’intervento e l’immagine si sono stemperate in una teoria di realizzazioni con una riconoscibilità ridotta e, di conseguenza, anche con un lascito relativo. Perché l’evento olimpico è circoscritto nel tempo, solo due settimane, ma duraturo negli effetti sulla città e sui territori, almeno sino a che questi erano delimitati. Il nuovo corso legato a eventi territoriali porta a una diluizione che rischia di non lasciare traccia, ma solo effetti collaterali.

La vicenda paradossale dello stadio San Siro a Milano (struttura da demolire, anzi no da tutelare, «ma poi guardate che dobbiamo inaugurarci le Olimpiadi»...) è solo uno dei segnali delle distorsioni e dello scollamento fra missione olimpica e governo del territorio. Il Villaggio Olimpico, «topos» di ogni edizione che in un’unità di tempo e luogo dava origini a narrazioni epiche, di costume, di sport, di architettura, perde di senso nella diaspora che obbligherà gli atleti a essere vicini ai campi di gara lontani centinaia di chilometri e ore di viaggio gli uni dagli altri. In questo modo anche quest’ultimo si stempera in una grande operazione immobiliare urbana, quella del «recupero» meneghino dello scalo di Porta romana, e non diventa un punto di riferimento.

Così come le strade, le grandi vie di collegamento e le loro sistemazioni rimarranno percorsi lunghi e accidentati, che un pulviscolo di microinterventi non migliorerà in modo sostanziale. Così si interviene a macchia di leopardo sulla via per la Valtellina da Milano, percorso difficile sia su gomma che su ferro e sempre a rischio di chiusura da decenni, su quella per Cortina dal Veneto sostanzialmente immobile a dispetto dello sviluppo dei territori indipendentemente dalle Olimpiadi. O ancora i collegamenti stradali e ferroviari di Malpensa, hub aeroportuale nato senza infrastrutture di collegamento che decenni di uso non hanno ancora completato.

Del resto, anche nel 2026 quando mai il pubblico potrà pensare di spostarsi da Milano a Livigno e poi ad Anteselva e ancora a Cortina per assistere alle gare in quelle due settimane speriamo innevate? No di certo: saranno spostamenti per addetti ai lavori e per i pochi fortunati che disporranno di mezzi aerei e corsie preferenziali. Del resto, queste Olimpiadi non sono fatte per il pubblico e neanche per le valli, ma per soddisfare un impianto mediatico che via streaming colmerà di contenuti i social globali, e molto meno i nostri «sensi» sul campo. [Alessandro Colombo]
 

Un render del Villaggio Olimpico a Milano

I siti di gara, distribuiti su tre Regioni tra Lombardia, Veneto e Province Autonome di Trento e Bolzano

La Pista di Bob Eugenio Monti di Cortina. © Sofia Podesta

Un render del Nuovo Stadio di San Siro a Milano. © Populous

Il «teatro Olimpico»

Veronica Rodenigo, Michele Roda, Alessandro Colombo, 28 agosto 2023 | © Riproduzione riservata

A che punto sono le Olimpiadi 2026 di Milano-Cortina? | Veronica Rodenigo, Michele Roda, Alessandro Colombo

A che punto sono le Olimpiadi 2026 di Milano-Cortina? | Veronica Rodenigo, Michele Roda, Alessandro Colombo