«Jean Cocteau, New York» (1949) di Philippe Halsman

© Philippe Halsman / Magnum Photos

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«Jean Cocteau, New York» (1949) di Philippe Halsman

© Philippe Halsman / Magnum Photos

A Venezia l’universo estetico del «giocoliere» Cocteau

Nella Collezione Guggenheim prima grande retrospettiva in Italia del più versatile e sorprendente sperimentatore delle avanguardie del XX secolo

«In un certo senso Cocteau deve biasimare sé stesso per essere stato considerato un saltimbanco o un clown e non un genio eccelso», scrive in catalogo Kenneth E. Silver, curatore della mostra «Jean Cocteau. La rivincita del giocoliere», prima grande retrospettiva in Italia che la Collezione Peggy Guggenheim dedica a Cocteau (1889-1963) dal 13 aprile al 16 settembre. Versatile e imprevedibile, sperimentatore delle avanguardie, poeta, sceneggiatore, scrittore, drammaturgo, pittore: il multiforme ingegno della sua personalità non consente semplicistiche definizioni o categorizzazioni. Ognuna apparirebbe riduttiva e banale. 

Ed è con questo approccio che la proposta espositiva riunisce oltre 150 lavori incluse opere grafiche e disegni, gioielli come l’eccezionale spada d’Accademico realizzata nel 1955 per Jean Cocteau da Louis Cartier, e adornata di smeraldi, rubini, diamanti, opale bianco, onice e smalto. E poi ancora arazzi, riviste, libri e film. Il tutto grazie a una rete di prestatori internazionali (anche privati) che spaziano dal Pompidou di Parigi al Phoenix Art Museum fino al Nouveau Musée National de Monaco. Cercando di restituire un’estetica unica ed eclettica, la proposta ordina il percorso attraverso diversi capitoli corrispondenti ad altrettanti temi: l’Orfeo e la poesia, l’eros, il classico nell’arte, Venezia e i rapporti con Peggy Guggenheim, con il design (nel gioiello e nelle arti applicate), con il Cubismo, il Dadaismo e il Surrealismo e con il mondo cinematografico e pubblicitario. 

«Oedipus, or the Crossing of Three Roads (Œdipe ou le carrefour des trois routes)» (1951), di Jean Cocteau. © Adagp/Comité Cocteau, Paris, by Siae 2024

Interrogato su quali siano le opere più importanti della mostra, Silver replica con fermezza: «Non c’è nessuna opera in questa mostra che non sia importante, tutte partecipano a raccontare la storia di Cocteau e del suo universo estetico. L’opera proveniente da più lontano (dal Phoenix Art Museum in Arizona) e che raramente si può vedere, è il disegno, con buona probabilità il più grande che Cocteau abbia mai realizzato, una volta di proprietà di Peggy Guggenheim, intitolato “La Peur donnant les ailes au courage” (La paura che dà le ali al coraggio) del 1938». Ed ecco intrecciarsi il rapporto con Peggy. Nel 1938 la mecenate e collezionista è infatti impegnata su suggerimento di Duchamp a organizzare una mostra di Cocteau presso la galleria londinese Guggenheim Jeune. «Fu piuttosto difficile, racconta Peggy Guggenheim nel suo libro Una vita per l’arte. Per parlargli si doveva andare nel suo albergo a rue de Cambon (a Parigi) e cercare di discutere mentre era a letto che fumava l’oppio. L’odore era estremamente piacevole, ma quel modo di trattare gli affari era quanto meno strano». 

L’esposizione in galleria comprende studi, costumi e arredi della commedia «I cavalieri della tavola rotonda» (1937) oltre a due disegni realizzati appositamente per la mostra. «Uno era un soggetto allegorico dal titolo La paura dona le ali al coraggio, scrive ancora Peggy, e includeva un ritratto dell’attore Jean Marais che, con altre due figure molto decadenti, compariva con i peli del pube scoperti». Sequestrata dalla dogana britannica per la sua licenziosità, l’opera alla fine non verrà esposta in galleria, entrerà a far parte della collezione di Peggy (arrivando anche a Venezia), per poi essere venduta a un lontano parente. A sua volta quest’ultimo nel 1965 la donerà al Phoenix Art Museum. Dopo 60 anni il grande disegno torna dunque a Palazzo Venier dei Leoni come tassello di un percorso espositivo che, come specifica ancora il curatore, «offre l’opportunità più che unica di riscoprire l’arte di Cocteau con lo sguardo nuovo di chi vive nel XXI secolo. La sua sorprendente versatilità artistica, per la quale in vita è stato spesso criticato per essersi dedicato a troppi interessi, ora ci appare un elemento precursore, un modello per quel tipo di fluidità culturale che oggigiorno ci si aspetta dagli artisti contemporanei. Tutto questo, unito alla sua esplicita omosessualità e alla sua lotta pubblica contro la dipendenza dall’oppio, lo rendono ancora più attuale». 

Veronica Rodenigo, 12 aprile 2024 | © Riproduzione riservata

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