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Donatella Biagi Maino
Leggi i suoi articoliLa Fondazione Marignoli di Montecorona, a Spoleto, ci ha nel tempo abituati a esposizioni raffinate e di sicuro spessore culturale, e anche la mostra «Spazi umbri. Vedute e interni. Opere dalla Fondazione Marignoli di Montecorona» che è ospitata nel Complesso Museale di San Francesco di Trevi (Pg) fino al 27 luglio non smentisce questa vocazione che si sottolinea per coerenza e rarità, dato il panorama desolante di «eventi» dedicati a grandi nomi che, con pretesa di scientificità, nulla aggiungono alla conoscenza della storia dell’arte. Si ricordano, a suffragare l’affermazione, episodi eccellenti quali la riscoperta del miniatore perugino cinquecentesco Cesare Franchi, detto il Pollino, o la mostra del 2021 tenuta a Spoleto, nella sede della Fondazione, che ha reso note opere di Palazzo Collicola ma più ancora della collezione Marignoli, significativamente intitolata «Work in progress» a sottolineare la volontà del presidente Duccio K. Marignoli di continuare a raccogliere dipinti, sculture, miniature disegni e quant’altro per approfondire, per sé e per gli altri, la conoscenza di ambiti storici meno indagati e tuttavia importanti tasselli per la comprensione del divenire dell’arte, in particolare dell’Umbria.
E la mostra in corso, curata da Marignoli e Stefania Petrillo, è condotta secondo questo intendimento, con un esito positivissimo. Attraverso l’esposizione di 29 dipinti di scuole diverse, di epoche diverse e di autori anche lontanissimi tra loro, è possibile approfondire la storia paesaggistica dei luoghi dell’Umbria, dall’antico effigiati dai più grandi artisti italiani nel quieto splendore di sfondi e visioni oltre le sacre immagini (e un dipinto esposto, per me bellissimo, di Pietro Montanini, un «San Giovannino» immerso in un paesaggio strepitoso, ne è testimone), e di comprendere il fascino che tali vedute hanno esercitato su pittori di più generazioni, le medesime degli scrittori che venivano esaltando la bellezza della regione nei loro scritti, resoconti di viaggio ma anche, e forse soprattutto, nei loro romanzi. Quello che è stato definito il Petit Tour, per distinguere il viaggio in Umbria dai più impegnativi percorsi del Grand Tour che si sono imposti nel Settecento per l’aristocrazia europea e i ricchi borghesi, è un itinerario di suggestione sottile, affascinante, permeato dalla poesia di aspetti imprevisti per la spazialità ampia dei luoghi, nei quali al clima disteso concesso dalla visione limpidissima delle antichità succede la natura impervia di alcune manifestazioni della natura, che seducono gli inglesi (Richard Wilson, che in due vedute ha effigiato «Il Tempietto del Clitunno») e i francesi (Claude-Louis Chatelet, che ha ritratto, è il caso di usare questo termine, la «Cascata delle Marmore»).

Umberto Prencipe, «L’orto del Duomo», Spoleto, Fondazione Marignoli di Montecorona. Photo: Marcello Fedeli
Il raffronto tra quattro dipinti a essa dedicati è significativo per comprendere il diverso modo di cogliere la bellezza dei luoghi e il respiro della natura in ragione non solo dei temperamenti differenti ma anche del portato culturale dei pittori: lo Chatelet attento alla raffigurazione della potenza delle acque, delle quali coglie con raffinata grazia, nel dipinto n. 5, il fremito atmosferico del vapore acqueo, secondo una visione che ancora non dismette un lontano sentore di Arcadia; diversamente il tedesco Bellermann (n. 11) offre del medesimo soggetto una visione solare, attraente, nei toni caldi del colore e la stesura ricca di materia dei bianchi luminosi, a circa cinquant’anni di distanza dall’opera citata. Sul finire dell’Ottocento sarà lo svizzero Burkli a misurarsi con le difficoltà del vero impaginando una veduta della cascata costruita per piani scaleni, diversamente accentuati rispetto ai precedenti e proponendo, nel rigoglio degli alberi ai lati del fiume e con la presenza di due cervi in primo piano, un approccio alla conoscenza della natura secondo un canone che trova nello studio della scienza naturalistica la radice prima, pur mantenendo intatta la poesia dei luoghi.
Splendide, alcune vedute novecentesche quali quella di Umberto Prencipe, personaggio di spicco anche per l’attività svolta per la realizzazione del grande «Salone del paesaggio umbro», l’esposizione del 1930 della quale nel saggio del catalogo che accompagna la mostra Stefania Petrillo sottolinea il significato per la storia di questo particolare genere, le cui vicende con puntualità e senso della misura ha ripercorso per i tre secoli rappresentati dalle pitture in mostra, raccolte con passione da Duccio K. Marignoli che nel suo testo, vestiti gli abiti, a lui così congeniali, del collezionista riflette sui caratteri del collezionismo in generale e di quello paesaggistico in particolare. A Bruno Toscano il compito di introdurre, attraverso il calembour di una lezione universitaria, il significato di una raccolta che unisce capolavori a opere minori, e l’importanza per il visitatore di questa scelta che concede di uscire da consueti parametri, spesso indotti, di conoscenza dell’arte per un più consapevole approccio, di più grande soddisfazione.

Claude-Louis Chatelet, «La cascata delle Marmore», Spoleto, Fondazione Marignoli di Montecorona. Photo: Marcello Fedeli