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Guglielmo Gigliotti
Leggi i suoi articoliFino al 28 gennaio 2024 il Palazzo delle Esposizioni ospita le retrospettive di due grandi testimoni del mondo all’epoca in cui era diviso a metà dalla Cortina di Ferro: il fotografo inglese Don McCullin (1935) e il collega ucraino Boris Mikhailov (1938). La mostra del primo, curata da Simon Baker, dispiega, in 250 fotografie scattate dagli anni Cinquanta ai nostri giorni, i tanti modi di osservare l’uomo, la storia e la natura.
McCullin è un narratore della realtà, di cui illustra croci e delizie. Le guerre in Vietnam, in Congo, in Libano, a Cipro, e più di recente in Iraq e in Siria, hanno visto McCullin tra i più pregnanti fotoreporter di prima linea, non meno che nella sua documentazione delle carestie in Biafra e nel Bangladesh. Le sue fotografie hanno fatto il giro del mondo. La sua specialità, anche in questi teatri del dolore, è stata sempre la capacità di intravede, nello scorrere dei fatti, la nota psicologica, che sia paura o disperazione. Lo stesso vale per i cicli dedicati, negli anni Cinquanta e Sessanta ai «caduti» di un’altra guerra, quella sociale: i senzatetto che vivono nelle periferie dei grandi centri inglesi del capitalismo, presi singolarmente in primi piani sconcertanti, o in gruppi, a volte di famiglia, di cui documenta condizioni di vita di grande indigenza.
McCullin proveniva da un mondo non distante da questo, quello del quartiere operaio di Finsbury Park, dov’era nato. Per lui, capire equivaleva a capirsi, cosicché, giunto al termine degli anni Settanta, decise di diradare l’osservazione del dolore per addentrarsi in altre sfere dell’animo umano, quelle dove regna la contemplazione: è il vasto ciclo dedicato ai paesaggi potenti e solitari del Somerset. Parallelamente ai suoi omaggi alla natura, si è andato sviluppando, soprattutto negli ultimi decenni, l’amore per la controparte, la cultura, quella antica e mediterranea di Marocco, Algeria, Libano, Siria e Turchia. Sono immagini dominate da maestosi ruderi della romanità, considerata come grande madre della civiltà europea.
La mostra di Boris Mikhailov è curata da Laurie Hurwitz, operativa presso la Maison Européenne de la Photographie di Parigi. L’eclettismo fotografico di Mikhailov rende inclassificabile la sua fantasia, sviluppatasi in un periodo (con l’Ucraina parte dell’Unione Sovietica) in cui fantasticare era pericoloso. Oltre a fotografia documentaria, alla relazione tra immagini e parole e ad accostamenti visivi, Mikhailov si dedicava clandestinamente anche alla composizione o alla coloritura di fotografie che esaltavano l’effetto dell’ideologia comunista sulla presunta felicità del popolo. Lavori con i quali Mikhailov ha più volte rischiato l’arresto. La persecuzione si è invece «solo» limitata alla distruzione di alcune macchine fotografiche. Tuttavia, dopo le menzogne e le miserie del comunismo, Mikhailov si è dedicato alle delusioni per il capitalismo, il trionfatore storico della scena politico-economica, ma non sempre esistenziale. L’Ucraina che esce fuori dalle sue fotografie degli anni Novanta e del primo decennio del 2000 è un Paese che credeva di averle passate tutte. Ma purtroppo non è così.

«Marine traumatizzato dai bombardamenti. Battaglia di Hué, Vietnam» (1968), di Don McCullin (particolare). © Don McCullin. Cortesia della Hamiltons Gallery
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