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Giulia Moscheni
Leggi i suoi articoliForse celando una richiesta nata da un’urgenza ancora più profonda di quanto il titolo lasci intendere, «I Only Want You To Love Me» è la prima antologica dedicata a Lovett/Codagnone, duo artistico formatosi nel 1995 dall’incontro tra John Lovett (Allentown, Pennsylvania, 1962) e Alessandro Codagnone (Milano, 1967-New Jersey, 2019). In programma al Pac-Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano dal 4 luglio al 14 settembre, la mostra non è solo un omaggio, ma un atto di riparazione e riconoscimento, tanto più necessario a sei anni dalla scomparsa di Codagnone. Un gesto che assume, inevitabilmente, i contorni di una dichiarazione d’amore verso un percorso artistico radicale, troppo spesso, e ingiustamente, dato per concluso. Il titolo, citazione esplicita dal film omonimo di Rainer Werner Fassbinder, non vuole provocare, ma dare voce a un bisogno primario che ha attraversato l’intera carriera del duo, come spiega il curatore Diego Sileo: «Avevano colto quel titolo, quella frase, perché racchiudeva il desiderio universale di essere amati. Ma conteneva anche un timore, una fragilità di fondo: quello di non essere capiti, accettati, valorizzati. Tutto il loro lavoro nasceva da questo, non dalla volontà di scandalizzare, ma dal bisogno sincero di raccontarsi, di mostrarsi per essere davvero visti».
Attivi dalla metà degli anni Novanta, Lovett/Codagnone si trasferiscono a New York nei primi anni Duemila: uno sviluppo quasi inevitabile per una ricerca come la loro, già orientata verso una poetica queer, maturata in un contesto attraversato da profondi cambiamenti culturali e sociali. Sono gli anni in cui l’emergenza Aids è ancora tangibile, e l’attivismo queer, rafforzato dalle battaglie precedenti, conquista nuovi spazi di visibilità. Mentre i gender study si affermano nelle università, artisti come Lovett/Codagnone sono chiamati a partecipare a un dibattito tanto teorico quanto profondamente radicato nella loro esperienza personale. Una scena, quella newyorkese, che soprattutto nella sua parte più underground, tra club, ambienti notturni e spazi alternativi, diventa terreno fertile di sperimentazione. È in questo contesto che il duo avvia una produzione che si rivelerà intensa e stratificata, destinata ad attraversare media diversi: dalla performance al video, dalla fotografia al suono, corredata da immagini spesso forti, ma che mirava a inserire quella realtà in un contesto quotidiano e normalizzante. «Bisognava dare una scossa alla società di quegli anni, perché altrove queste tematiche venivano già raccontate. Era l’arte italiana a essere rimasta indietro», osserva Diego Sileo, sottolineando così la natura pionieristica della ricerca di Lovett/Codagnone, capace di intercettare con coraggio e lucidità i nodi cruciali tra identità, corpo, sessualità e rapporti di potere.
Come racconta il curatore, il desiderio di questa mostra è stato quello di narrare non solo gli esordi degli anni Novanta, così carichi di innovazione, ma anche, e soprattutto, ciò che è germogliato in seguito, in una seconda fase della loro carriera forse meno esplorata. Per questo trovano spazio in mostra le opere più iconiche del duo, accanto a performance documentate attraverso video, fotografie e materiali d’archivio, insieme a installazioni e opere sonore e visive. Un percorso espositivo che attraversa quasi trent’anni di lavoro e si costruisce come un racconto in movimento, in cui lo spettatore è chiamato a interagire con uno spazio pensato non come semplice contenitore, ma come estensione della loro poetica. In questo tracciato si inserisce anche un progetto inedito, scoperto recentemente in un archivio privato, sul computer di Alessandro Codagnone: materiali lasciati in sospeso, che il Pac ha deciso di raccogliere e produrre per l’occasione. Un ritrovamento che diventa simbolo di un racconto mai davvero concluso e che continua a interrogare il presente.

«Candidate», performance al concerto di beneficienza per Participant Inc tenuto da Sikkema Jenkins & Co, 2011, New York. © Lovett/Codagnone. Courtesy Estate of Lovett/Codagnone. Photo: David Graham