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Anton Raphael Mengs, «Giove e Ganimede», 1760 ca, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini (particolare)

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Anton Raphael Mengs, «Giove e Ganimede», 1760 ca, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini (particolare)

A Madrid la rivincita di Mengs e del Settecento

Al Prado la più ampia retrospettiva (158 opere da tutto il mondo) dedicata al pittore che voleva diventare il nuovo Raffaello ma che è stato emarginato da Romanticismo, Impressionismo, Espressionismo, Cubismo...

Roberta Bosco

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Dal 25 novembre al primo marzo 2026 il Museo del Prado presenta la mostra monografica più ampia e completa mai dedicata al pittore Anton Raphael Mengs (Aussig, 1728-Roma, 1779). La rassegna, sponsorizzata dalla Fondazione Bbva, presenta 158 opere tra oli, acquerelli, pastelli, disegni e l’affresco «Giove e Ganimede», oltre a sculture, medaglie e manoscritti, provenienti dalla collezione del Prado, da altre 44 istituzioni e vari collezionisti privati spagnoli e internazionali. La mostra ripercorre la carriera di Mengs, i suoi modelli e le sue influenze, mettendo in luce il suo rapporto con grandi maestri come Raffaello, Correggio e Pompeo Batoni. Ne abbiamo parlato in anteprima con Andrés Úbeda, responsabile della Collezione di Pittura italiana del XVIII secolo del Museo del Prado e curatore della rassegna insieme a Javier Jordán de Urríes, conservatore del Museo del Patrimonio Nazionale.

Perché il Museo del Prado decide di dedicare una grande mostra a Mengs?
Il programma di mostre del Prado si concentra su temi o artisti che non hanno ricevuto l’attenzione che meritano. In questo caso l’obiettivo è sia dare a Mengs il posto che gli spetta nella storiografia sia proporre un’altra visione di un secolo che non è solo sinonimo di parrucche, cipria e noia. Consideriamo Mengs un artista eccezionale: tecnicamente è un prodigio e concettualmente riformula la pratica e la teoria dell’arte del suo tempo, tanto che le sue proposte sono argomento di discussione per quasi un secolo in tutta Europa. La sua fu una vera rivoluzione, anche se finora non è stata considerata tale. 

Mengs fu molto ammirato dai suoi contemporanei, ma poi la sua reputazione ebbe un rapido declino. La mostra del Prado contribuirà a rivalutarlo e a risvegliare un nuovo interesse nel pubblico moderno?
Lo spero! Credo che per una gran parte del pubblico sarà una vera sorpresa. È una mostra che vuole fare giustizia, ripensando e rivalutando la figura di Mengs così come la storia di un secolo, il Settecento. Mengs visse in un momento in cui il paradigma artistico che aveva funzionato per 200 anni, segnato dalla supremazia di Raffaello, entra in crisi e gli artisti dell’epoca come Agostino Masucci, Placido Costanzi o Marco Veneziali, oggi dimenticati, non riescono più a innovare sulle basi del Raffaellismo come prima avevano fatto i Carracci, Domenichino o Andrea Sacchi. Mengs è consapevole che questo paradigma si è esaurito e con Johann Winckelmann propone un nuovo approccio, mettendo la scultura classica al centro del dibattito. La visione di Mengs rimane valida fino al 1830 quando l’avvento del Romanticismo lo annichilisce, perché mentre lui crede nella bellezza oggettiva fornita dalle proporzioni delle sculture classiche, i romantici credono in una bellezza soggettiva. Mengs è protagonista di un processo storico che non riconosco in nessun altro artista: tutti i movimenti successivi, Impressionismo, Espressionismo, Cubismo e così via, per ragioni diverse lo detestano. Così Mengs è stato interpretato attraverso il paradigma del pittore tedioso, senza creatività e questa visione, che ci hanno lasciato i suoi peggiori nemici, è quella che perdura e che con questa mostra vogliamo mettere in discussione. Vogliamo eliminare i pregiudizi e proporre una visione nuova in linea con la realtà storica.

Antonio Raphael Mengs, «Ottavio e Cleopatra», 1760, Stourton, Wiltshire, Stourhead House, The National Trust

Mi può parlare delle opere in mostra? 
Mengs inizia a lavorare per Carlo III sia a Roma sia a Madrid, motivo per cui ci sono molte opere nelle collezioni reali e in raccolte private spagnole. Per questo è una mostra che non si potrebbe fare in un altro museo. Inoltre il suo biografo e grande amico José Nicolás de Azara comprò molte sue opere, perché anche se l’artista guadagnò moltissimo, spese tutto e alla sua morte lasciò la famiglia in una situazione deplorevole. Si tratta di opere quasi sconosciute che vengono esposte per la prima volta. Abbiamo ottenuto prestiti da 44 istituzioni internazionali e numerosi collezionisti privati. A Roma abbiamo individuato la «Santa Cecilia» che cercavamo, ma purtroppo non ci è stato accordato il prestito. In cambio abbiamo ritrovato l’originale di un’«Immacolata» dipinta a Torino, che era conosciuta solo attraverso copie e che è stata restaurata per la mostra. Esponiamo anche un cartone molto raro, perché questi modelli usati dai frescanti erano molto fragili. Molto importante anche «Ottavio e Cleopatra», un’opera di 3 metri che illustra un capitolo importante della vita di Mengs: il suo soggiorno nell’amata Roma, dove raggiunse il suo massimo successo. Quando Carlo III lo chiamò per decorare il nuovo Palazzo Reale di Madrid insieme a Tiepolo, Mengs non voleva lasciare l’Italia ma la proposta economica era straordinaria. Tornò a Roma, a cui è dedicata la sala più grande della mostra, solo nel 1774 per morire, pochi anni dopo, a 51 anni a causa dell’umidità e dei prodotti tossici utilizzati per gli affreschi.

Com’è strutturato il percorso espositivo?
Secondo un ordine cronologico e tematico. Al Prado non esponiamo solo opere, ma raccontiamo le storie che le circondano e nel caso di Mengs illustriamo momenti chiave della sua biografia, come il rapporto con Winckelmann attraverso l’affresco «Giove e Ganimede», ora conservato a Palazzo Barberini. Mengs lo realizzò proprio per ingannare quello che fu il suo migliore amico e collega per molti anni. Winckelmann cadde nel trabocchetto, considerandolo autenticamente antico e questo fatto, che conosciamo attraverso le sue lettere, provocò la rottura della lunga e fruttuosa amicizia tra i due. Le opere parlano anche della vita familiare di Mengs e del suo rapporto con il padre Ismael, anch’egli artista, di cui esponiamo un autoritratto. Mengs era molto ambizioso nell’accezione più positiva del termine, voleva emulare artisti come Correggio o Raffaello, considerato il principe dei pittori. Per questo presentiamo lo «Spasimo di Sicilia» di Raffaello accanto a «La discesa dalla Croce» che Mengs, considerato il nuovo Raffaello, dipinse per Carlo III, con le stesse dimensioni e la stessa scala di figure. Mengs fu anche un innovatore della pittura religiosa, più illustrata e in una versione più razionale e meno emozionale, e con meno martiri e crudeltà rispetto alle rappresentazioni precedenti. Il percorso si chiude con una sala denominata «L’eredità di Mengs», nella quale analizziamo la fortuna della sua proposta teorica attraverso le opere di Canova e di un giovanissimo Goya, che nel suo Quaderno italiano conserva una lettera diretta a Mengs in cui gli chiede di intercedere presso il re affinché gli conceda una pensione (quella che ora è chiamata borsa di studio) per soggiornare a Roma. 

Antonio Raphael Mengs, «Carlos III, re di Spagna e delle Indie», 1765, Copenhagen, Statens Museum for Kunst; depositato nel Patrimonio Nazionale, Collezione Reale, Madrid, Galería de las Colecciones Reales

Roberta Bosco, 13 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

A Madrid la rivincita di Mengs e del Settecento | Roberta Bosco

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