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Daniela Ventrelli
Leggi i suoi articoliSi deve ai Carabinieri Tpc il merito di aver ritrovato un importante e raro frammento di pittura murale dell’antica Daunia esposto in anteprima nell’ultima tappa della mostra «Forme e colori dall’Italia preromana. Canosa di Puglia» (fino al 18 maggio, a cura di Massimo Osanna e Luca Mercuri) nella prima ala fruibile del nuovo Museo Archeologico Nazionale di Canosa (nella sede dell’edificio scolastico «G. Mazzini»), per il quale sono stati stanziati oltre 7 milioni di euro grazie a Ministero della Cultura, Comune e Fondazione Archeologica Canosina.
Il reperto è stato recuperato a maggio 2023 in un maxisequestro nel deposito londinese di un noto trafficante d’arte (Robin Symes, Ndr). Le analisi condotte dall’Istituto Centrale per il Restauro di Roma ne hanno confermato l’autenticità, evidenziando gli interventi ricostruttivi rispetto alle porzioni originali. Lo studio della vivace policromia ha confermato, inoltre, la presenza di pigmenti antichi come il blu egiziano, il cinabro e l’ocra, mescolati con particolari sostanze per ottenere diverse tonalità di viola. Il dipinto, che rappresenta un corteo funebre, conta 5 figure maschili e 11 femminili (tra donne e bambine) realizzate su un fondo beige chiaro, identificabili da iscrizioni con caratteri apulo-messapici. L’uso dei colori, con una predominanza di toni rosa e viola, proprio come nei coevi vasi plastici dauni, è straordinario e contribuisce a definire forme e dettagli delle figure.
Nella ricostruzione proposta, il dipinto indicherebbe il viaggio nell’aldilà del giovane Artau. A lui, il dio Hermes indica con la mano destra la via per un futuro ultraterreno in cui ad accoglierlo ci sono Dama Dameiza e Bodau Etareu, forse suoi antenati. Lo circonda un corteo di familiari diviso in tre gruppi: un nucleo composto da un uomo, una donna e tre bambine, un gruppo di cinque donne e poi un uomo e una donna, forse una coppia. Un’altra lettura suggerisce che il defunto possa essere Bodau, alla sinistra di Hermes, la figura che il dio sfiora con la mano destra. Tutti, a eccezione delle due bambine più piccole, hanno la mano tesa verso Hermes. Le donne, inoltre, sollevano un «flabellum» costituito da una foglia cuoriforme a stelo lungo.
Il tema espresso è quello della «deductio ad Inferos», ben attestato nelle pitture funerarie della Daunia tra IV e III secolo a.C. Le iscrizioni, sebbene non facilmente leggibili, identificano quasi tutti i personaggi con un nome proprio e un’apposizione nominale, forse un patronimico. L’analisi congiunta degli elementi tecnici e iconografici ha condotto gli specialisti a ipotizzare che il dipinto facesse parte della facciata di un ipogeo canosino o arpano databile al III secolo a.C. L’originalità del reperto, l’eccezionale stato di conservazione, la presenza delle iscrizioni nella lingua degli antichi Dauni, seppure nella consueta assenza di dati sul rinvenimento da scavi clandestini, costituiscono una preziosa testimonianza dell’abilità artigianale, delle pratiche funerarie e della diffusione della scrittura in ambito locale.
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