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Una sala della mostra di Coco Fusco al Macba

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Una sala della mostra di Coco Fusco al Macba

A Barcellona Coco Fusco, amata e odiata in egual misura

Al Macba un centinaio di opere di una delle voci più autorevoli della scena artistica cubana in esilio

«He après a nedar en sec» (Ho imparato a nuotare senza acqua), la prima frase di un racconto dello scrittore cubano Virgilio Piñera, serve da titolo per la grande mostra che il Museu d’Art Contemporani de Barcelona (Macba) dedica a Coco Fusco (New York, 1960). L’artista, che afferma di essere statunitense «per strategia, concepita affinché la famiglia ottenesse il permesso di soggiorno», è uno dei personaggi più rilevanti della scena artistica cubana in esilio. La mostra, visitabile fino all’11 gennaio 2026, è stata realizzata con la collaborazione del Museo del Barrio di New York e della Ford Foundation e presenta un centinaio di opere suddivise in 5 ambiti con la curatela di Elvira Dyangani Osé, direttrice del Macba.

Amata e odiata in egual misura, Fusco ha dedicato tutta la sua carriera a combattere il governo di Cuba e a sviscerare le grandi problematiche della contemporaneità. Patria, potere, identità, genere, storia, colonialismo, razza e diritti umani, animano creazioni multidisciplinari che comprendono videoarte, performance, fotografia e saggistica. L’obiettivo è creare opere in cui convivano la sensibilità artistica e la critica sociale e politica. Per farlo, Fusco parte dalla ricerca, dal lavoro sul campo e da una pratica di creazione collettiva per identificare storie individuali che risignifica artisticamente con il fine di trasformarle in realtà collettive.  

La mostra viene presentata dalla curatrice come un progetto decoloniale, una parola così inflazionata da aver perso buona parte del suo contenuto, ma la definizione non convince tutti, anzi è specialmente criticata da artisti e curatori del Sud globale. Fusco fu una degli artisti che, dagli Stati Uniti, orchestrarono il boicottaggio della Biennale de L’Avana del 2021, uno dei pochi eventi culturali a cui hanno accesso gli artisti dell’isola per attivare la loro precaria economia.

I limiti dell’arte politica spesso sono proprio le sue convinzioni e la prospettiva parziale. Fusco denuncia il governo di Cuba, ma non si chiede che sviluppo avrebbe avuto il Paese dopo la rivoluzione senza decenni di sanzioni ed embarghi, un’aggressione economica che continua da cinquant’anni e ha messo l’isola in ginocchio, colpendo non tanto la classe dirigente e i politici quanto la popolazione più vulnerabile. Per questo molti artisti latino-americani e cubani la accusano di rinforzare le narrative che giustificano e puntellano questo assedio economico sistematico. In un certo senso Fusco si appropria delle epistemologie decoloniali e delle estetiche forgiate in America Latina nelle lotte contro la dittatura, ma le priva di contesto e quindi di potere effettivo. Questo non toglie che siano opere di enorme impatto visivo, capaci di creare ambienti e situazioni di grande forza e di catturare lo spettatore. È il caso di «Operación Atropos», un documentario sugli interrogatori dei prigionieri di guerra e sull’addestramento per sopportarli, che trasmette una sensazione di malessere quasi fisica e dimostra l’indiscutibile capacità di Fusco di convertire un’idea in un’opera d’arte. In questo video la mancanza di informazioni sui paramilitari che interrogano un gruppo di donne sottoposte a un livello di violenza e crudeltà inumana, lo rende più simile a una fiction, mentre si tratta disgraziatamente di una storia reale.

Fusco non nasconde la sua visione politica, ma la stempera dietro il politically correct, come si apprezza nelle tre opere inedite che ricordano rispettivamente gli «Attivisti ambientalisti assassinati in tutto il mondo nel 2023», i «Giornalisti uccisi sul lavoro in tutto il mondo nel 2023-24» e gli «Artisti in carcere in tutto il mondo nel 2024». È inedita anche «Aponte’s Lost Podcast», un’installazione prodotta dal Macba, realizzata con l’artista e attivista Luis Manuel Otero Alcántara, che sta scontando una pena nel carcere di Guanajay. Durante la sua detenzione, Alcántara non ha mai smesso di dipingere e disegnare, ma non può esporre le sue opere. Per aggirare la proibizione Fusco gli ha chiesto telefonicamente di descrivere le opere che aveva realizzato, poi ha inviato le sue parole registrate ad artisti amici affinché le replicassero.

Elvira Dyangani Osé e Coco Fusco. Foto: Miquel Coll

Roberta Bosco, 01 giugno 2025 | © Riproduzione riservata

A Barcellona Coco Fusco, amata e odiata in egual misura | Roberta Bosco

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