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Antonio Aimi
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È difficile dare una valutazione sintetica dell’asta parigina Christie’s del 4 aprile dedicata all’arte dell’Africa, dell’Oceania e dell’America Settentrionale. I dati che bene rappresentano questa difficoltà sono due. Il primo è costituito dallo scarto tra la percentuale del venduto per numero di oggetti, che ha registrato un non disprezzabile 66% (77 pezzi su 117), e quella del venduto per valore, che è arrivata al 90%, facendo registrare un fatturato complessivo di 5.604.750 euro. Il secondo è costituito dal divario tra le stime e i risultati finali, che in alcuni casi hanno superato di 3-5 volte la media del valore stimato, mentre in altri casi sono rimasti al palo. Questo andamento divergente è confermato in modo cristallino dai risultati dei primi top lot.
Al vertice delle aggiudicazioni abbiamo una rara maschera Dogon con un prestigioso pedigree collezionistico ed espositivo, che è arrivata a 2.370.500 euro a partire da una stima di 2,5-3,5 milioni; seguono un reliquiario Sango venduto a 948.500 euro ma stimato 400mila-600mila, una maschera del Sepik, schizzata a 290.500 euro a partire da una stima di 40-60mila e un moai kavakava dell’Isola di Pasqua, che si è fermato a 218.500, pur partendo da una stima di 200-300mila.
Nell’asta, naturalmente, erano presenti numerose opere di fascia medio-bassa a prezzi molto ragionevoli, forse a riprova del fatto che anche le grandi società di vendita sono convinte che il mercato dell’etnico non può ridursi solo a opere per sceicchi e nababbi. Tra quelle più interessanti si possono segnalare una figurina Bembe venduta a 1.875 euro (stime 4-6mila), una mazza Kanak venduta a 2.125 (stime 2-3mila) e una coppia di gemelli ibjei Yoruba venduti a 6.250 (stime 2-3mila). In questa fascia di prezzo il reperto più interessante era, forse, un cucchiaio Kongo-Vili che era offerto a 8-12mila ed è stato venduto a 7.500.
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