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Monica Trigona
Leggi i suoi articoliLa Mamounia torna a fare parlare di sé come un diapason culturale: dal 5 all’8 febbraio Marrakech accoglie infatti la nuova edizione di 1-54 Contemporary African Art Fair, che quest’anno sembra muoversi con una sicurezza quasi «coreografica». Nelle sale e nei giardini dell’hotel, dove la luce filtra come un tessuto prezioso, si incontrano più di venti gallerie provenienti da 12 Paesi, con una presenza marocchina particolarmente significativa. È un ritorno che conferma la forza della scena locale, la sua capacità di muoversi tra eredità e sperimentazione, tra una memoria visiva stratificata e una ricerca che sa sorprendere per audacia e sensibilità materica. Le gallerie marocchine propongono un paesaggio complesso e vivace. La Galerie 38 presenta l’energia disarmante delle opere di Ines-Noor Chaqroun e l’audacia formale delle sue superfici ibride, che dialogano idealmente con l’eredità visionaria di Chaibia Talal. MCC Gallery, con un percorso che attraversa installazione, fotografia e gesti concettuali, riflette un modo contemporaneo di abitare il territorio, tra identità in trasformazione e tensioni intime. Allo stesso tempo, gallerie come Loft Art Gallery e L’Atelier 21 insistono su una ricerca più meditativa, mettendo in luce artisti che interrogano materiali, percezioni e ritmi del quotidiano.
Evan Cláver, «1975», 2025. Courtesy of the Artist and The Art Affair
Fatima Mazmouz, «08 Mauresque Voile». Courtesy of MCC GALLERY
Accanto alla «famiglia marocchina», l’arrivo di quattro nuove gallerie internazionali introduce uno scarto, un cambio di prospettiva chiaramente percepibile nella geografia della fiera. Da Montreal a Lusaka, da Luanda a Londra e Tunisi, il loro debutto porta con sé nuovi linguaggi: il segno denso e visionario di Stanley Wany, la fisicità pittorica di Geoffrey Phiri, l’intensità cromatica di Evan Cláver. È un innesto che rilancia l’idea di 1-54 come piattaforma in cui l’Africa si fa insieme di movimenti e dialoghi costanti. Anche il parterre degli artisti conferma questa espansione: dalle architetture morbide di Samuel Nnorom alle fotografie sospese di Girma Berta, fino alle cartografie intime e speculative di Aïcha Snoussi, la fiera costruisce un discorso plurale, in cui il contemporaneo africano appare come una costellazione in continua metamorfosi. La presenza di figure storiche come Roland Dorcély o Ibrahim El-Salahi introduce un’ulteriore profondità temporale, ricordando come la modernità africana abbia radici complesse, spesso ancora da leggere nella loro interezza.
Quest’anno, più che mai, 1-54 si dilata fuori dai suoi confini fisici. La città diventa un’estensione naturale del programma. MACAAL propone quattro mostre che esplorano il presente con lucidità museale, mentre LE 18 torna a interrogare la dimensione organica dei saperi con una mostra che sembra cucire legami tra memoria e gesto. Il Musée Yves Saint Laurent Marrakech accende un ulteriore livello di riflessione, e il distretto di Gueliz, con vernissage e notti «aperte», si conferma come uno dei centri più vivaci dell’ecosistema creativo marocchino.
Tra i progetti speciali, Constellations della Fondation TGCC appare come un vero manifesto generazionale: un gruppo di artisti emersi attraverso il Prix Mustaqbal che restituiscono un’idea di futuro come luogo di continuità e frattura, di visioni giovani ma sorprendentemente consapevoli. A DaDa Marrakech, «In Between Blues» costruisce invece un’esperienza immersiva dedicata al blu, inteso non solo come colore, ma come spazio emotivo e politico. È una proposta multisensoriale che unisce arte, musica e persino degustazioni, quasi a trasformare la percezione in una forma di conoscenza espansa. Tutto, in questa edizione, sembra suggerire che l’arte africana non sia più un’emergenza o tantomeno una scoperta ma una struttura portante del contemporaneo globale.
Amine El Gotaibi, «Désert de laine (Desert of wool)», 2022. Courtesy of MCC GALLERY
Adjei Tawiah, «Cosy day», 2025. Courtesy of So Art Gallery
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