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Franco Marzatico

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Franco Marzatico

«L'autonomia dei grandi musei, una scelta oculata e indispensabile»

Franco Marzatico, nella rosa dei finalisti alla direzione dei 20 istituti autonomi statali, riflette sulle conseguenze della riforma del Mibact

Veronica Rodenigo

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Trento. La nomina dei 20 nuovi dirigenti per altrettante grandi realtà museali della Penisola dotate di autonomia rimane segnata da polemiche che non accennano a placarsi. A due mesi dalla comunicazione ufficiale diffusa dal Mibact e avvenuta il 18 agosto scorso, Franco Marzatico, già alla guida del Castello del Buonconsiglio di Trento e finalista, su di una rosa di 40 candidati, della selezione per quattro musei archeologici nazionali (Napoli, Reggio Calabria, Taranto e Paestum), sposta l’attenzione su di una riflessione generale, anche di metodo, in merito ai temi di tutela e valorizzazione.

Una serie di considerazioni che travalica l’attuale diatriba per interrogarsi sulla valenza di Soprintendenze, Musei e sugli obiettivi più prossimi da raggiungere. «Gli articoli pubblicati sui quotidiani nazionali e le reazioni all’impostazione e agli esiti del concorso per i grandi musei sono lo specchio del vivace dibattito in corso da alcuni anni sul sistema culturale italiano, osserva Marzatico. Nel quadro della questione della "modernizzazione" del Paese, i temi centrali sono quelli del ruolo delle Soprintendenze e dei musei e del rapporto fra tutela e valorizzazione. Il ventaglio delle opinioni a riguardo è molto ampio, come si può desumere con immediatezza dalla lettura del libro Istruzioni per l’uso del futuro. Il patrimonio culturale e la democrazia che verrà di Tomaso Montanari seguito, come risposta, da L’Italia agli italiani: istruzioni e ostruzioni per il patrimonio culturale di Daniele Manacorda.
Gli interrogativi sollevati riguardano da un lato la Crisi del museo, già ravvisata da Jean Clair e da Alessandra Mottola Molfino che nel volume L'Etica del museo, pubblicato da Allemandi, ha segnalato la "...mutazione epocale che corrodeva progressivamente l’integrità fisica, intellettuale e morale dei musei ...".
Dall
’altro lato anche le Soprintendenze e l’attività di tutela sono esposte a una crisi profonda. Non si tratta di aspetti legati esclusivamente alla diminuzione della disponibilità di risorse economiche e umane: sono cresciuti l’insofferenza per gli apparati burocratici e il grado di attesa nei confronti dei servizi erogati dall’amministrazione pubblica, sia per garantire la conservazione e promuovere la fruizione, intesa come una sorta di imprescindibile diritto all’accesso, sia per favorire le ricadute economiche. Nell’attività di tutela si misurano del resto punti di vista e interessi che non di rado entrano in conflitto, ora fra quello pubblico e privato, ora fra quello di ordine scientifico e quello legato ad attività economiche. Per quanto la legislazione preveda forme di compensazione, non va sottovalutato che il riconoscimento per un bene di un interesse culturale di natura pubblica si traduce per il proprietario in vincoli e limitazioni nella disponibilità, con riflessi anche di ordine economico. Credo sia pertanto doveroso porsi degli interrogativi su questi aspetti critici, cercando di rafforzare al tempo stesso i sentimenti di condivisione e di coesione sociale che il patrimonio culturale è in grado di generare. Tutti guardiamo con sgomento l’Isis che distrugge con brutale ignoranza i monumenti. È evidente, pur nella damnatio memoriae che intende sancire l’inizio di una nuova era, l’altissimo valore simbolico attribuito da questo nuovo totalitarismo, come da altri, alle testimonianze del passato. Al di là delle reattività più immediate alla cronaca, lo sguardo occidentale rivolto al patrimonio culturale è più laico e distaccato, talvolta incline ad assecondare interessi di natura essenzialmente economica, mentre passano in secondo piano i messaggi più profondi di civiltà e di umanità consegnati dalla Storia. Lungo queste traiettorie di pensiero appare opportuno interrogarsi anche sulla reale percezione dei beni culturali presso i non addetti ai lavori, tenendo conto che i fenomeni del consumo culturale di massa sono comunque espressione di un largo interesse e di una richiesta di partecipazione.
D’altra parte è ben noto "l’oligopolio", per usare un’espressione di Antinucci, che vede la fruizione culturale favorire i soliti noti musei, mentre il patrimonio culturale diffuso che contrassegna il nostro Paese rimane isolato sullo sfondo. Pensando alla grande diffusione di piccoli musei archeologici nati dall’entusiasmo di scoperte effettuate sul territorio, bisogna riconoscere che il ciclo di vita e il loro appeal è in genere piuttosto effimero: richiedono risorse ma le ricadute culturali ed economiche sono limitate. Credo che l’attività di conservazione e di tutela debba essere valutata attentamente con un’ottica che sia ispirata a criteri di sostenibilità.

Come valuta questa riforma epocale nella riorganizzazione dei musei statali?
La riforma mi trova in perfetta sintonia per l’attribuzione di autonomia ai grandi musei: una scelta oculata e assolutamente indispensabile. In questo senso ho vissuto un’esperienza positiva al museo del Castello del Buonconsiglio che, una decina di anni fa, da semplice ufficio dell’organo di tutela è diventato un ente funzionale della Provincia autonoma di Trento, dotato di ampia autonomia e proprio budget. La formula adottata in via sperimentale è stata quella di una direzione monocratica, in quanto priva di un Consiglio di amministrazione, coadiuvata da un comitato scientifico con funzione consultiva e da un collegio di revisori dei conti. Dopo avere lasciato la direzione del Castello del Buonconsiglio, durata quasi venti anni, il mio percorso professionale mi ha visto partecipare alla selezione dei direttori dei musei nazionali indetta dal Ministero.
Nel corso del colloquio è emersa una particolare attenzione per le problematiche di ordine gestionale e al ruolo sociale del museo. Dopo di che l’esito della selezione, compresa l’apertura agli stranieri, risponde come previsto a una combinazione di valutazioni di natura tecnica e politica che sono ovviamente suscettibili di giudizi contrastanti.

Non pensa che riponendo troppe aspettative in questi deus ex machina si rischi in parte una deresponsabilizzazione da parte dello Stato nell’attuale panorama di risorse limitate?
Il margine di rischio c'è, ma se alla riforma segue un impegno economico adeguato si può dare risposta a quelle aspettative di sviluppo di cui i musei si devono sempre più fare carico nell’interesse pubblico, peraltro senza tradire la loro mission culturale. Certo è che un uomo solo al comando non è sufficiente; la leadership ha bisogno di essere esercitata, con una squadra che possa essere vincente. Il pensiero è anche in riferimento alle mie prospettive di lavoro nella Soprintendenza che, secondo i principi olistici oggi in voga, riunisce in un’unica struttura gli uffici un tempo separati dei beni archivistici, architettonici, storico artistici e archeologici. Staff e organi di controllo sono garanzie perché il deus ex machina operi nell’alveo della legalità, secondo principi di efficacia, efficienza, economicità e della accountability. L’assunzione di responsabilità richiesta alla direzione di musei autonomi, secondo la mia esperienza, non rappresenta affatto un passo indietro ma un modo per provare a migliorare i servizi offerti al pubblico. Resta inteso che non ci si può attendere dai musei risultati sempre in crescita, basti pensare agli effetti della stagionalità e alla loro “meteoropatia”. Non dimenticandoci poi che i grandi musei, le cosiddette corazzate del sistema, devono intervenire, in una logica di sistema, a sostegno delle realtà minori sparse nel territorio. Conta in questo senso anche la capacità della direzione del museo di mettersi in relazione, di fare rete nel contesto del tessuto territoriale individuando, con precisione scientifica, gli stakholder pubblici e privati.
Oggi si deve prendere atto che è richiesta una direzione museale di tipo manageriale, termine che non deve peraltro implicare la negazione delle proprie competenze disciplinari specialistiche. In ogni caso resta fondamentale non perdere di vista la componente qualitativa, alla ricerca dell’audience a tutti i costi. L’impegno risiede dunque nell’elaborazione di progetti culturali che siano ineccepibili sul piano tecnico-scientifico ma, al contempo, risultino accessibili e accattivanti.


Lei crede che attraverso la nomina di questi 20 nuovi dirigenti si risolverà il problema delle mostre blockbuster organizzate da società esterne al museo?
Personalità di alto profilo possono concorrere, con il loro background di esperienze e relazioni, a consolidare o costruire collaborazioni internazionali, dallo studio all’organizzazione di mostre, alla stipula di accordi per cercare di utilizzare i fondi europei ma anche nella ricerca di nuove forme di storytelling del museo. A ben vedere in genere le mostre incuriosiscono più del museo, non solo perché l’impegno promozionale e pubblicitario è normalmente più consistente, ma anche perché l’utenza ha la percezione che siano eventi irripetibili e imperdibili, realizzati con una maggiore cura e attenzione nei confronti dei non addetti ai lavori. Le mostre blockbuster, volenti o nolenti, danno un’idea di dinamicità e incontrano ampio favore. Non vanno peraltro a priori demonizzate o imitate, quanto comprese come fenomeno sociale per proporre vie alternative, qualora i presupposti scientifici e qualitativi siano trascurati. Il museo pubblico può ricorrere alle aziende private o lavorare in proprio cercando le soluzioni più adeguate: l’importante è che le scelte siano rispettose delle regole e rispondano alla massima trasparenza e agli interessi della collettività.

Che cosa l’attende nel prossimo futuro?
Sono in attesa di rispondere alla chiamata di un altro processo di selezione per la nomina di dirigente della Soprintendenza per i beni culturali della Provincia autonoma di Trento. Eventualmente dovrò occuparmi di un processo di riorganizzazione che deve tenere conto, analogamente a quanto avviene a livello nazionale, delle crescenti difficoltà di ordine sia economico, sia di prospettive, del sistema istituzionale della tutela e della valorizzazione. Il confronto su questi temi è ormai annoso, con risvolti anche di natura ideologica, laddove sono in gioco equilibri di potere, competenze tecnico-scientifiche e interessi dei molteplici attori, non solo istituzionali e pubblici, coinvolti a vario titolo nell’ampio spettro di attività presupposte dalla governance del patrimonio culturale. La percezione è che si parli molto delle logiche di sistema ma che di fatto si viva un po’ da separati in casa con concorrenzialità e personalismi. Quello che mi riprometto di fare è di mettere attorno a un tavolo tutti i soggetti portatori di interessi legati al patrimonio culturale, dall’Università ai musei, ai centri di ricerca, al mondo degli appassionati, dell’associazionismo e anche agli esponenti del settore del turismo culturale. Forse, ragionando nella definizione di ruoli e obiettivi, si può essere utili all’attività di tutela che è sempre più alla ricerca di una sua legittimazione.

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Franco Marzatico

Veronica Rodenigo, 08 ottobre 2015 | © Riproduzione riservata

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