Winslow Homer: poeta del mare, cronista di guerra

Alla National Gallery una scelta impeccabile di una cinquantina di opere dell’artista americano, in una mostra frutto della collaborazione tra il museo londinese e il Metropolitan Museum di New York

«The Gulf Stream» (1899) di Winslow Homer (particolare), Catharine Lorillard Wolfe Collection, Wolfe Fund, 1906, New York, The Metropolitan Museum of Art. © The Metropolitan Museum of Art, New York
David Ekserdjian |  | Londra

Se l’arte dell’800 americano resta terra incognita per la grande maggioranza dei britannici, non pare azzardato supporre che i suoi principali maestri siano ancora meno noti in Italia. Nel caso di Winslow Homer (1836-1910), il più grande poeta americano del mare, la National Gallery ci offre con la mostra a lui dedicata («Winslow Homer. Forza della Natura», fino all’8 gennaio 2023), la possibilità di godere una scelta impeccabile di una cinquantina delle sue opere, perlopiù dipinti unitamente a una ventina di luminosi acquerelli.

Non esiste una sola opera di Homer nelle nostre collezioni pubbliche, nonostante egli abbia vissuto nel Nord dell’Inghilterra per 18 mesi, dal marzo del 1881 al novembre del 1882, nel villaggio marittimo di Cullercoats nel Northumberland, proprio davanti al Mare del Nord. Fatta eccezione per svariati pezzi provenienti da non meglio identificate collezioni private, l’unico dipinto non concesso in prestito dagli Stati Uniti è «Signal of Distress» (1890-96) dal Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid (il barone Heini Thyssen è stato uno dei primi stranieri ad apprezzare la pittura americana dell’Ottocento).

La mostra è frutto della collaborazione tra la National Gallery e il Metropolitan Museum of Art di New York. Per quanto riguarda il contenuto, il Met ne ha garantito il successo con i suoi generosissimi prestiti a Trafalgar Square, mentre nel catalogo tre autori degli otto saggi provengono dalle due istituzioni, cinque da parte inglese e solo tre da oltre Atlantico. Nato a Boston nel Massachusetts e quindi uomo del Nord, Homer è vissuto in un periodo di immense trasformazioni per gli Stati Uniti. Pur non essendo un artista politico, volle rappresentare gli eventi tumultuosi del suo tempo, soprattutto la guerra civile americana degli anni 1861-65 e a seguire.

Più di una volta ha accompagnato l’esercito del Nord, «fotografando» fedelmente con i suoi schizzi quello che vedeva: nel 1865 il «New York Daily Tribune» lo lodava come «il miglior cronista di guerra». Così, in un dipinto come «Prisoners from the Front» del 1866, immortala l’incontro di un ufficiale unionista con un gruppo di prigionieri confederati, convincendoci, soprattutto grazie alla verità della sua arte, di registrare un episodio vissuto con i propri occhi. Ancora più affascinante è il suo «A Visit from the Old Mistress»» del 1876, che riesce a dimostrare la stessa simpatia per le persone sottoposte a schiavitù (e oggi libere) e per la vecchia signora elegantemente vestita che si reca in visita nel loro modesto domicilio.

Leggendo il catalogo ci si rende conto subito che nell’universo del politically correct di oggi è obbligatorio scrivere la parola «Nero» con la «N» maiuscola, e che gli Indiani sono necessariamente «nativi americani». Forse queste prese di posizione possono sembrare strane in Italia, dove la «Settimana Enigmistica» continua a utilizzare il termine «pellerossa», ma ci si abitua facilmente a parlare, o a scrivere, utilizzando questo nuovo lessico, ricordandosi sempre che i sentimenti contano molto di più del vocabolario (la parola corretta non garantisce il sentimento sincero). In ogni caso, ciò che va segnalato è il fatto che gli argomenti dei saggi sono così illuminanti che non farebbero arrabbiare nemmeno Giorgia Meloni.

Anche dopo la guerra civile americana, la figura umana non sparisce dai dipinti di Homer, ma sempre più fondamentale diventa il suo fascino con il mare, «la grande sinfonia dell’oceano», per riprendere le parole di un commento alla sua opera. Homer sapeva rappresentare il mare in tutti i suoi aspetti. Per molti il suo supremo capolavoro è una tela americana del 1873-76, opportunamente nella National Gallery of Art a Washington, dal titolo «Breezing Up» (titolo originale, «A Fair Wind») in cui un adulto con tre ragazzi (nella mia immaginazione padre e figli), godono di una perfetta giornata sull’acqua. La parola «Gloucester» sulla poppa del «catboat» (battello a una sola vela con albero prodiero) indica la sua provenienza dall’omonima città marittima del Massachusetts, e sottolinea quindi il fatto che Homer l’ha dipinto, per così dire, a casa (abitava davanti all’Oceano a Prouts Neck, sempre nel Massachusetts).

A guardare questo meraviglioso quadro si avverte tutto il caldo del sole e il sale sulle labbra. Come già spiegato, nella sua maturità Homer ha trascorso un anno e mezzo in Inghilterra, dove, almeno nella sua visione, il mare è sempre grigio e pericoloso. Al contrario, quando viaggia in Florida e nelle Antille tra il 1884 e il 1909, quest’ultima visita poco prima della sua morte, raffigura un altro mondo. In particolare nei suoi acquerelli delle Bahamas nel 1885, come «A Garden in Nassau», riesce a farci sentire il caldo dei Tropici, in parte grazie al suo utilizzo geniale del bianco della carta per rappresentare in primo piano il muro della proprietà e le nuvole sullo sfondo.

Verso il 1901 in un altro acquarello, «Natural Bridge, Bermuda», in cui all’inizio si può far fatica a scorgere il minuscolo soldato britannico nella sua rossa uniforme posto nell’angolo inferiore destro, sono la calma del mare infinito e l’intensità del suo azzurro che incantano. Condividere il suo cognome con il più famoso poeta dell’antichità può sembrare un inconveniente, ma uscendo da questa mostra non vi sono dubbi che almeno tra le sue mura questo Homer non sia mai venuto meno.

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